La
cosiddetta questione del “Nucleare Iraniano” è sicuramente una
delle vicende Geopolitiche più interessanti degli ultimi decenni;
essa è infatti legata contemporaneamente a diverse istanze
economiche, politiche, militari e strategiche. Parimenti all’altra
questione nucleare, quella Nord Coreana, porta con sé vaste
implicazioni per molte delle nazioni del mondo, ognuna delle quali
per motivi differenti, con esiti possibili differenti e su diversi
piani di lettura esclusivi o contemporanei.
Il caso
rappresentato dalla guerra scatenata all'Iraq sulla base di un suo
presunto possesso di armi di distruzione di massa, rivelatesi poi
inesistenti, rende più difficile un'azione unilaterale da parte
delle potenze occidentali non appoggiate oggi come all'ora dalle
proprie opinioni pubbliche interne.
E'
necessario un più lungo lavoro di convincimento e la fornitura di
prove, o pretesti, più forti per muoversi ad una guerra che potrebbe
rivelarsi ben più impegnativa di quella dichiarata a Saddam Hussein.
La pressione
sull’opinione pubblica nazionale ed europea viene mantenuta
costante tramite una copertura mediatica sull’argomento che
presenta dei picchi in occasione di eventi particolari come riunioni
dell’AIEA, test missilistici iraniani, discorsi del presidente
Rohuani o del Leader supremo Khamenei ma vengono riportate anche
questioni prettamente interne come esecuzioni di condannati a morte,
incidenti aerei e ferroviari, contestazioni studentesche o fatti di
costume; difficilmente l’Iran ne viene fuori con un immagine
positiva.
Il modo in
cui viene trattato questo argomento presenta i tratti di quella che
il lessico della “Geopolitica Critica” definirebbe un “discorso”
: una sequenza di immagini mentali, sillogismi, affermazioni
perentorie e metafore per descrivere l'Iran.
Come
sostiene Claudio Minca nella sua analisi in merito ai cosiddetti
“Rogues States”, esiste un “oggetto geopolitico chiamato Iran”
o meglio, ne esiste uno per ogni paese che abbia rapporti con esso.
La fine
della Guerra Fredda, infatti, sgretolando rapporti consolidati da 60
anni almeno, ha messo ogni nazione di fronte all'esigenza di
costruire nuovi rapporti in politica estera per poter far fronte al
futuro.
Ecco allora
che luoghi i cui nomi sono rimasti sepolti per decine di anni sotto
la polvere calata sulla Storia, e quindi sulla geografia, ritornano
di attualità : Baku, Teheran, la Crimea, Aden, Malacca.
L'attenzione sull'Iran si situa in questo quadro.
Nonostante
quanto sostenga Thomas Friedman, il mondo infatti “non è piatto”
e l'Iran è proprio una di quelle espressioni geografiche e culturali
che non lo rendono tale.
Ruotando una
cartina del mondo dalla sua posizione canonica, con l'Europa al
centro, ad una, diciamo così, “Persianocentrica”, il mondo
appare totalmente diverso e forse più comprensibile anche agli occhi
di un osservatore occidentale.
Molti sono i
paesi interessati alle sorti della Repubblica Islamica, anche perché
dalla possibilità di ottenere una parte dei suoi vasti giacimenti di
gas e petrolio dipende il loro sviluppo e la propria sopravvivenza.
I motivi per
cui l'Iran vuole dotarsi della tecnologia nucleare sono molteplici,
complessi e a volte intrecciati tra loro:quello che emerge è che, a
differenza di quanto accaduto con l'Iraq, la presenza di un
programma nucleare conclamato non ha portato ad una guerra ma bensì
ad una lunga ed estenuante trattativa.
La
Geopolitica Critica rivolge il suo sguardo al “come” vengano
prodotti gli eventi geopolitici analizzando appunto le modalità
attraverso le quali le forze in campo modificano o cercano di
modificare le relazioni internazionali secondo i propri progetti e
come questa operazione costituisca una “costruzione di senso” per
i cittadini e per gli stessi attori geopolitici.
Autori come
O Tuathail, Routledge o Dalby, per la scuola di stampo anglosassone,
focalizzano la loro attenzione sulle pratiche messe in atto dai
detentori del potere per descrivere la realtà ad una opinione
pubblica ormai divenuta globale oltre che agli altri attori sulla
scena mondiale.
Dalby, ad
esempio, sostiene che il compito della Geopolitica Critica debba
essere non solo l’analisi dei discorsi geopolitici dominanti ma
anche di quelli alternativi che ad essi si contrappongono poiché
entrambi concorrono alla formazione della realtà sociale. Egli nota
però che ogni discorso che si afferma sopprime necessariamente altri
discorsi non necessariamente in virtù di una maggiore forza
esplicativa o inattaccabilità logica ma, spesso, per la maggior
forza con la quale esso viene reiterato e sostenuto.
L’apporto
di O Tuathail alla riflessione post-moderna di stampo geopolitico è,
tra gli altri, che l’analisi dei discorsi di questa natura debba
essere fatta tenendo sempre a mente il quadro storico più ampio e le
sue contingenze sociali e politiche. Egli inoltre afferma che sia
necessario decostruire i discorsi Geopolitici dominanti che tendono
surrettiziamente a tralasciare alcuni aspetti delle questioni in
esame per metterne in luce altri più funzionali alle esigenze delle
Elite dominanti e fare anzi della Critical Geopolitics “il” nuovo
discorso geopolitico dominante.
Centrali
sono quindi la nozione di “discorso” già messa in luce dal
francese Michel Focault, inteso come quell’insieme di pratiche che
permettono la “produzione di senso” che rende “reale”quanto
avviene ed in definitiva lo legittima e quella Gramsciana di “senso
comune” prodotto dall’egemonia che i poteri dominanti applicano
culturalmente. Il concetto di potere espresso da Foucault è
straordinariamente attuale: esso è prima di tutto un discorso,
ovvero una proliferazione di discorsi, guidato verso una direzione di
senso piuttosto che un altra.
Citando il
famoso saggio di Berger e Luckmann, ”La Realtà come costruzione
Sociale” possiamo affermare che “nessun pensiero umano è immune
dalle influenze ideologizzanti del proprio contesto sociale” e ciò
è tanto più vero per quanto riguarda la conoscenza delle questioni
inerenti “l’altro”, ciò che è “Straniero”, ciò che è
diverso da Noi, argomenti, questi, centrali nei discorsi
geopolitici.
In un’epoca
di comunicazioni di massa come quella nata dai giornali
dell’ottocento, proseguita con la radio e la televisione nel
ventesimo secolo e giunta fino alla vasta diffusione di internet dei
nostri giorni, molti argomenti sono ormai patrimonio di tutti e non
solo di chi ha la possibilità di recarsi fisicamente in luoghi
lontani; il prezzo da pagare è però l’accettazione implicita che
queste informazioni portino con sé una dose più o meno elevata di
distorsione, di polarizzazione, che non può non riflettere i valori
di chi le diffonde e, in una certa misura, della società in cui esse
vengono veicolate.
Quanto
avvenuto con la Guerra nei Balcani o l’invasione dell’Iraq del
2003 o dell’Afghanistan esemplificano bene quanto detto poc’anzi
: le opinioni pubbliche dei paesi che hanno aderito o meno a questi
avvenimenti hanno maturato la propria posizione grazie alla massiccia
dose di informazioni fornite dai Mass Media messe in atto nelle
rispettive Nazioni.
Ciò
introduce una definizione particolare di Geopolitica messa in
luce,tra gli altri, da Joanne Sharpe che va sotto il nome di “Popular
Geopolitics” ovvero l’effetto che i discorsi prodotti dalle Elite
dominanti producono sulle persone comuni attraverso l’uso che le
prime fanno dei mezzi di comunicazione di massa, di cui dispongono,
per influenzare le seconde.
Sharpe
afferma che i discorsi “Formali” o “Pratici” di stampo
Geopolitico altro non sono che le ricadute a livello alto o basso
delle decisioni prese dalle Elite dominanti ed è perciò importante
non tanto l’analisi di questi stessi discorsi ma delle cause e
degli effetti che questi discorsi creano nella realtà.
In
Italia, la parzialità o meno della rappresentazione
mediatica “mainstream” rispecchia l'atteggiamento della politica
del paese, dell'opinione pubblica, delle necessità dettate dalle
alleanze, o è frutto di una misurata equidistanza?
Un
recente studio dell'ISTAT ha messo in luce come la consistente
maggior parte della popolazione italiana si rivolga quasi
esclusivamente alla televisione per ottenere le informazioni
riguardanti la sfera della politica nazionale quella internazionale.
Una
scarsa percentuale legge i giornali quotidianamente e, di questi,
molti fruiscono esclusivamente della “free press” (Leggo,City,
ecc..) sbocciata negli ultimi anni.
Aggiungiamo
inoltre che spesso la fruizione delle notizie è fugace, basata sui
titoli più che sul reale contenuto, compressa dai tempi veloci
della quotidianità. Nel caso della free press, diffusissima nelle
grandi città, le notizie di politica estera non appaiono neanche o
sono soffocate da servizi di gossip e di cronaca.
La
radio ovviamente copre la quasi maggioranza della popolazione per cui
possiamo dire che ogni giorno, ogni cittadino italiano è immerso in
un “brodo informativo”, somministrato tramite un continuo “info
mix”, ovvero l'equivalente del “marketing mix”, tradizionale
strumento del Marketing pubblicitario.
La
radio lancia la notizia, la TV la amplifica, la stampa la spiega, il
giorno dopo ed internet. La approfondisce. Questa è la sequenza con
cui i media gestiscono il flusso informativo.
Difficilmente,
però, quella che gli statistici chiamerebbero “la maggioranza
degli italiani”, verifica le fonti, la loro esattezza, il reale
alternarsi degli eventi e della catena causa/effetto delle
informazioni che riceve, a maggior ragione se vengono dall'estero o
ad esso si riferiscono.
Dipingere
l'Iran come “oggetto geopolitico” è quindi piuttosto semplice.
Ciò può
avvenire quindi attraverso l'uso di metafore, ovvero “mezzi che
trasformano il non familiare in qualcosa di consueto”
(Dell'Agnese); vere e proprie “immagini mentali” vengono
costruite tramite l'uso di semplici sillogismi (Ahmadinejad è un
“nuovo Hitler” quindi il Nucleare Iraniano porta ad un nuovo
Olocausto) o traduzioni distorte dal Farsi (“spazzare via Israele
dalle mappe geografiche”) portano a costruire una immagine definita
ed una sola dell'Oggetto Iran.
Volenti, o
nolenti, quello che accade è che “una certa idea di Iran” viene
veicolata attraverso i media e non altre.
Per dirla
ancora con le parole di Dell'Agnese “Il centro della questione non
è cercare di capire cosa sia vero e cosa sia falso, ma quello di
comprendere il processo di costruzione” ed evitare di aderire a
certi costrutti logici in maniera acritica.
La
decostruzione dell'informazione tradizionale e la contemporanea
ri-costruzione di un senso più ampio, tramite le molto più ricche
fonti informative reperibili in rete, è un processo per cui può
però accadere di comprendere la situazione come antitetica a quella
diffusa dalla informazione mainstream o almeno ben più complessa e
dall'esito ottimale non ben definito.
Come detto
Internet permette l'approfondimento di qualsiasi argomento o quasi e
basta infatti digitare “nuclear Iran” per ottenere 29.100.000
risultati: 29.100.000 modi di “farsi un'idea” di questo
argomento.
L'ottenimento
delle informazioni aggiuntive tramite la rete può avvenire però a
patto di conoscere almeno un'altra lingua (preferibilmente
l'inglese). Tutti o quasi i maggiori quotidiani mondiali hanno in
rete una versione in lingua inglese del quotidiano stampato, con
aggiornamenti frequenti e buona parte dei blog di giornalisti e
ricercatori internazionali è in quella lingua. Inglese e internet
sono ormai patrimonio di buona parte di giovani italiani nella fascia
13-30 ed in maniera minore anche in quella più ristretta 30-50 che
però fruisce in modo più assiduo delle informazioni diffuse dalla
carta stampata.
Fondamentale,
nell'ambito della comunicazione, è l'opera di “gatekeeping”
(letteralmente “portieraggio”), rappresentata dalla
concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione in pochi
gruppi che determina quali delle tante notizie lanciate dalle
agenzie ogni giorno meritino di essere diffuse e approfondite. Il
Gatekeeper decide appunto a quale delle varie notizie aprire le porte
dell'informazione verso il pubblico. Chiaramente il processo è
guidato dai valori e dagli obiettivi di chi le diffonde e dalla
necessità o meno che certe informazioni vengano diffuse.
Al contrario
di quanto accade all'estero, dove la politica estera trova sempre un
discreto spazio sulle pagine dei quotidiani, in Italia certi
argomenti sono meno presenti ; un caso particolare è rappresentato
da Limes che è l'unica rivista italiana esclusivamente dedicata
alla geopolitica diffusa quasi capillarmente nelle edicole. Se si
aggiunge poi che, come detto, i media tradizionali hanno
proprietari certi, il cui coinvolgimento con il potere è evidente o
presumibile, si può immaginare come le opinioni da essi veicolate
non possano non essere influenzate dagli scopi del potere stesso. La
molteplicità dei siti sull'argomento reperibili in rete, fatti
salvi i siti ufficiali dei quotidiani esteri, rende invece difficile
l'attribuzione della paternità dell'informazione e gli eventuali
interessi che si celano dietro di essa.
Il “collages
informativo” composto da porzioni di informazione prelevate da
questo e da quel sito o blog e confermate tramite triangolazione (la
verifica contemporanea di una informazione dubbia su più fonti:siti
ufficiali, agenzie e quotidiani on-line, il sito in questione ed
altri siti in rete) delinea una situazione del tutto nuova. Potremmo
dire che aumentando e differenziando il numero delle fonti
informative e diminuendo in esse la quota di condizionamento patente
o latente esercitato dal potere di riferimento si arriva a
“scrivere” la propria visione dell'argomento. Non è ovviamente
possibile accedere a tutte le fonti disponibili sull'argomento ma la
sola ricerca del termine “Iran”, o “guerra all'Iran” su un
motore di ricerca rende bene l'idea di quanto sia popolato il
dibattito sull'argomento lontano dalle telecamere o dalle prime
pagine che invece propongono una sola immagine polarizzata.
Per molti
versi infatti la diffusione di notizie riguardanti l'Iran si inscrive
in quelle che la moderna strategia militare chiama “spy-ops” o
“psychological warfare” ovvero operazioni di “conquista delle
menti”. In assenza di una idea specifica su un argomento si presume
che un cittadino sia più incline a sposare le idee ripetute più
spesso e su più canali informativi meglio se ritenuti “autorevoli”.
La ripetizione di clichè e stereotipi, poi, determina la
plausibilità delle continue informazioni sul tema e le inscrive in
un panorama cognitivo e simbolico che si rafforza ad ogni successiva
nuova notizia. Questo processo viene definito “framing”
Ciò che
viene “raccontato” diviene , per dirla con O'Thuathail,
“l'unico reale possibile” e su questo vengono costruite le
motivazioni che legittimano l'agire, se necessario anche con la
forza. Se oltre a questo aggiungiamo che
l'informazione “altra” da quella ufficiale viene bollata come
“complottista” se non addirittura di appoggio o di matrice
filo-terrorista, il quadro si completa con la demonizzazione non
solo dell'avversario ma anche dei suoi difensori e alleati.
L'Oggetto
geopolitico Iran è tornato sui giornali, tra le notizie di politica
estera, dopo una lunga assenza. Negli anni '80 era genericamente, per
gli italiani, il primo termine della guerra Iran-Iraq sebbene la sua
visibilità fosse amplificata dalle notizie sullo Shah, la sua
consorte Fara Dibah e le loro frequentazioni italiane.
I
rapporti tra l'Italia e la Repubblica Islamica si mantennero buoni
nonostante la presa del potere da parte di Khomeini nel '79 e
d'altronde l'Eni ha sempre avuto, dal dopoguerra in poi, rapporti
commerciali e di estrazione nel golfo persico, sia con l'Iraq che con
l'Iran e la FIAT vi possedeva uno stabilimento fino agli anni 50.
Dal
2003 prima e, con più vigore, dal 2005 l'Iran è stato scelto come
uno dei punti caldi (hot spot) della politica internazionale grazie
anche al suo inserimento tra i paesi facenti parte dell'asse del male
e presunto “stato canaglia” da parte dell'amministrazione Bush le
cui tecniche sono state ben descritte nel saggio “Rogue State” di
Claudio Minca (vedi Bibliografia).
La
stampa italiana ha da allora in poi seguito frequentemente tutte le
vicende legate a questo paese.
E'
un tema che appare e scompare dalle prime pagine, passando per le
pagine interne, proposto con un certo timing, nell'ambito della
campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, ormai,
mondiale, circa la presunta volontà di dotarsi di armi nucleari da
parte di Teheran.
I
commenti da parte degli attori della politica nazionale si inscrivono
nell'ambito della fedeltà al Patto Atlantico (NATO) e sono pertanto
concordi con quelle diffuse dai quotidiani occidentali.
Secondariamente, per mantenere sottotraccia l'attenzione
sull’argomento, vengono diffuse e commentate notizie di costume
sulla società iraniana. Il tratto comune è la caratterizzazione
negativa che si deduce da esse: l'Iran è l'ennesimo paese brutale e
oscurantista che viola le libertà dei suoi cittadini e vuole imporre
il suo potere su tutto il mondo.
Nelle
immagini e nei racconti sull'Iran sono ben rappresentati tutti gli
stereotipi ben descritti e tipizzati da Edward Said nel suo celebre
saggio,”Orientalismo” quindi, generalmente, le donne vi vengono
rappresentate velate ma orgogliosamente “contro” (ricordiamo
anche il film a fumetti, ”Persepolis”), vengono enfatizzate le
immagini di masse urlanti durante i discorsi dei leader politici e
religiosi, le parate militari, servizi sul come i giovani iraniani
non possano vivere le normali abitudini dei loro corrispettivi
occidentali.
I
quotidiani on-line nazionali riportano generalmente più notizie
sull'argomento e su più giorni ma non esistono, come su alcuni
quotidiani esteri, link a sezioni monotematiche sull'intera vicenda,
segno questo già di per sé evidente sulla reale volontà di
delineare un quadro chiaro in cui inscrivere una politica nazionale
sull'argomento. Capita spesso, infatti, che informazioni errate
vengano diffuse con enfasi ed in maniera capillare e pervasiva dai
titoli dei giornali e dei TG salvo poi essere smentite o “precisate”
giorni dopo nelle pagine interne o in trafiletti affogati in articoli
di altro genere. E' questo un metodo che permette ai mezzi di
informazione di poter mantenere la loro aurea di “correttezza”
diffondendo però al contempo un'informazione distorta nel
messaggio e nella modalità. In conclusione nella definizione
dell'Oggetto Iran, quindi, entra in gioco sia ciò che viene
menzionato esplicitamente sia quanto viene taciuto, concordemente con
quella che viene definita “l'agenda” della politica estera delle
principali potenze mondiali che formano la cosiddetta “Comunità
internazionale”.
La
retorica americana ha fatto largo uso dei media nei paesi arabi per
ottenere l'appoggio delle opinioni pubbliche di quei paesi prima
della guerra in Iraq,così come anche questo paese ed i suoi
sostenitori hanno fatto per dipingere l'intervento americano come
ingiusto ed immorale. Infatti, come Ó Tuathail and Dalby hanno già
affermato :”... la Geopolitica satura la vita di ogni giorno di
Stati e Nazioni. I luoghi della sua produzione sono multipli e
pervasivi,sia in “alto” (come un memorandum di sicurezza
nazionale) che in “basso” (come le pagine di un giornaletto
popolare), sia “visuali” (come le immagini che muovono gli stati
ad agire) che “discorsivi” (come i discorsi che giustificano le
azioni militari)...”
I
media sono perciò il veicolo fondamentale,in una società moderna,
per trasmettere ed istituzionalizzare idee,immagini e propositi di
stampo geopolitico. Il punto focale
del testo citato è rappresentato dal concetto di “Language
Engineering” ovvero dell'utilizzo del linguaggio e delle sue
sfumature per veicolare concetti a proprio favore facendo leva su
elementi già condivisi con l'uditorio o creandone di nuovi
utilizzando espressioni accuratamente studiate dagli esperti del
settore,i cosiddetti “spin doctors”.
In
questo processo i media trasferiscono ed amplificano di questi
concetti preconfezionati verso l'opinione pubblica che li rende
propri e familiari ma in una maniera tale per cui, vista la continua
produzione di nuovo lessico sui diversi argomenti da parte delle
relative fonti, i giornalisti si ritrovano ad essere meri
trascrittori di concetti anziché reporter di notizie.
Neologismi
quali “guerra umanitaria”, “danni collaterali” o “missione
di pace” hanno riempito pagine di giornali e sono diventati comuni
nel lessico quotidiano ma attorno ad essi continuano a svolgersi
aspri dibattiti non solo di carattere semantico ma anche di stampo
politico e filosofico. Battezzati spesso come propaganda, svolgono il
loro specifico ruolo nel permettere alle istituzioni che li creano e
li propagano di dissimulare concetti complessi e di ardua trattazione
in regimi di stampo democratico, con termini, o associazioni non
aggressive di termini, che richiamino immagini legate ad una moralità
giusta o perlomeno attenta ai valori umani.
In
conclusione, prima di poter quindi valutare “la questione nucleare
iraniana”, e tutte le sue ricadute, è necessario comprendere
quanto di quel che conosciamo sull'argomento ci è stato “infuso”
senza che se ne sia consapevoli.
L'accettazione
acritica di certi giudizi può infatti portare ad una comprensione
distorta da principi di ordine morale che sono in realtà l'ultima
preoccupazione di chi decide realmente le sorti della politica
internazionale.
Bibliografia:
- Antonsich Marco , Critical Geopolitics:La Geopolitica Nel Discorso PostModerno 2000
- Berger Peter & Luckmann Thomas, La realtà come costruzione sociale 1966
- Autori Vari , Limes L’Iran tra maschera e volto 5/2005
- Dell’Agnese Elena, Geografia Politica Critica 2006
- O’ Tuathail Gearoid, Critical Geopolitics 1994
- Minca Claudio , rogue State in Rivista Geografica Italiana 110 2003
- Said Edward, Orientalismo 1978