Perchè Ordine e Progresso?

Il Blog prende il nome dal motto inscritto sulla bandiera del Brasile e mutuato da un'aforisma di Auguste Comte.
Questi, uno dei padri della Sociologia, era una convinto positivista, il che nel 1896 lo rendeva anche un progressista.
L'importante è , come infatti Comte mette al primo punto, che l'Amore sia sempre il principio cardine dell'Agire.


L'Amore per principio e l'Ordine per fondamento;il Progresso per fine

Auguste Comte ,1896

sabato 16 gennaio 2016

Cosa sappiamo realmente dell'Iran?


La cosiddetta questione del “Nucleare Iraniano” è sicuramente una delle vicende Geopolitiche più interessanti degli ultimi decenni; essa è infatti legata contemporaneamente a diverse istanze economiche, politiche, militari e strategiche. Parimenti all’altra questione nucleare, quella Nord Coreana, porta con sé vaste implicazioni per molte delle nazioni del mondo, ognuna delle quali per motivi differenti, con esiti possibili differenti e su diversi piani di lettura esclusivi o contemporanei.
Il caso rappresentato dalla guerra scatenata all'Iraq sulla base di un suo presunto possesso di armi di distruzione di massa, rivelatesi poi inesistenti, rende più difficile un'azione unilaterale da parte delle potenze occidentali non appoggiate oggi come all'ora dalle proprie opinioni pubbliche interne.
E' necessario un più lungo lavoro di convincimento e la fornitura di prove, o pretesti, più forti per muoversi ad una guerra che potrebbe rivelarsi ben più impegnativa di quella dichiarata a Saddam Hussein.
La pressione sull’opinione pubblica nazionale ed europea viene mantenuta costante tramite una copertura mediatica sull’argomento che presenta dei picchi in occasione di eventi particolari come riunioni dell’AIEA, test missilistici iraniani, discorsi del presidente Rohuani o del Leader supremo Khamenei ma vengono riportate anche questioni prettamente interne come esecuzioni di condannati a morte, incidenti aerei e ferroviari, contestazioni studentesche o fatti di costume; difficilmente l’Iran ne viene fuori con un immagine positiva.
Il modo in cui viene trattato questo argomento presenta i tratti di quella che il lessico della “Geopolitica Critica” definirebbe un “discorso” : una sequenza di immagini mentali, sillogismi, affermazioni perentorie e metafore per descrivere l'Iran.
Come sostiene Claudio Minca nella sua analisi in merito ai cosiddetti “Rogues States”, esiste un “oggetto geopolitico chiamato Iran” o meglio, ne esiste uno per ogni paese che abbia rapporti con esso.
La fine della Guerra Fredda, infatti, sgretolando rapporti consolidati da 60 anni almeno, ha messo ogni nazione di fronte all'esigenza di costruire nuovi rapporti in politica estera per poter far fronte al futuro.
Ecco allora che luoghi i cui nomi sono rimasti sepolti per decine di anni sotto la polvere calata sulla Storia, e quindi sulla geografia, ritornano di attualità : Baku, Teheran, la Crimea, Aden, Malacca. L'attenzione sull'Iran si situa in questo quadro.
Nonostante quanto sostenga Thomas Friedman, il mondo infatti “non è piatto” e l'Iran è proprio una di quelle espressioni geografiche e culturali che non lo rendono tale.
Ruotando una cartina del mondo dalla sua posizione canonica, con l'Europa al centro, ad una, diciamo così, “Persianocentrica”, il mondo appare totalmente diverso e forse più comprensibile anche agli occhi di un osservatore occidentale.








Molti sono i paesi interessati alle sorti della Repubblica Islamica, anche perché dalla possibilità di ottenere una parte dei suoi vasti giacimenti di gas e petrolio dipende il loro sviluppo e la propria sopravvivenza.
I motivi per cui l'Iran vuole dotarsi della tecnologia nucleare sono molteplici, complessi e a volte intrecciati tra loro:quello che emerge è che, a differenza di quanto accaduto con l'Iraq, la presenza di un programma nucleare conclamato non ha portato ad una guerra ma bensì ad una lunga ed estenuante trattativa.
La Geopolitica Critica rivolge il suo sguardo al “come” vengano prodotti gli eventi geopolitici analizzando appunto le modalità attraverso le quali le forze in campo modificano o cercano di modificare le relazioni internazionali secondo i propri progetti e come questa operazione costituisca una “costruzione di senso” per i cittadini e per gli stessi attori geopolitici.
Autori come O Tuathail, Routledge o Dalby, per la scuola di stampo anglosassone, focalizzano la loro attenzione sulle pratiche messe in atto dai detentori del potere per descrivere la realtà ad una opinione pubblica ormai divenuta globale oltre che agli altri attori sulla scena mondiale.
Dalby, ad esempio, sostiene che il compito della Geopolitica Critica debba essere non solo l’analisi dei discorsi geopolitici dominanti ma anche di quelli alternativi che ad essi si contrappongono poiché entrambi concorrono alla formazione della realtà sociale. Egli nota però che ogni discorso che si afferma sopprime necessariamente altri discorsi non necessariamente in virtù di una maggiore forza esplicativa o inattaccabilità logica ma, spesso, per la maggior forza con la quale esso viene reiterato e sostenuto.
L’apporto di O Tuathail alla riflessione post-moderna di stampo geopolitico è, tra gli altri, che l’analisi dei discorsi di questa natura debba essere fatta tenendo sempre a mente il quadro storico più ampio e le sue contingenze sociali e politiche. Egli inoltre afferma che sia necessario decostruire i discorsi Geopolitici dominanti che tendono surrettiziamente a tralasciare alcuni aspetti delle questioni in esame per metterne in luce altri più funzionali alle esigenze delle Elite dominanti e fare anzi della Critical Geopolitics “il” nuovo discorso geopolitico dominante.
Centrali sono quindi la nozione di “discorso” già messa in luce dal francese Michel Focault, inteso come quell’insieme di pratiche che permettono la “produzione di senso” che rende “reale”quanto avviene ed in definitiva lo legittima e quella Gramsciana di “senso comune” prodotto dall’egemonia che i poteri dominanti applicano culturalmente. Il concetto di potere espresso da Foucault è straordinariamente attuale: esso è prima di tutto un discorso, ovvero una proliferazione di discorsi, guidato verso una direzione di senso piuttosto che un altra.
Citando il famoso saggio di Berger e Luckmann, ”La Realtà come costruzione Sociale” possiamo affermare che “nessun pensiero umano è immune dalle influenze ideologizzanti del proprio contesto sociale” e ciò è tanto più vero per quanto riguarda la conoscenza delle questioni inerenti “l’altro”, ciò che è “Straniero”, ciò che è diverso da Noi, argomenti, questi, centrali nei discorsi geopolitici.
In un’epoca di comunicazioni di massa come quella nata dai giornali dell’ottocento, proseguita con la radio e la televisione nel ventesimo secolo e giunta fino alla vasta diffusione di internet dei nostri giorni, molti argomenti sono ormai patrimonio di tutti e non solo di chi ha la possibilità di recarsi fisicamente in luoghi lontani; il prezzo da pagare è però l’accettazione implicita che queste informazioni portino con sé una dose più o meno elevata di distorsione, di polarizzazione, che non può non riflettere i valori di chi le diffonde e, in una certa misura, della società in cui esse vengono veicolate.
Quanto avvenuto con la Guerra nei Balcani o l’invasione dell’Iraq del 2003 o dell’Afghanistan esemplificano bene quanto detto poc’anzi : le opinioni pubbliche dei paesi che hanno aderito o meno a questi avvenimenti hanno maturato la propria posizione grazie alla massiccia dose di informazioni fornite dai Mass Media messe in atto nelle rispettive Nazioni.
Ciò introduce una definizione particolare di Geopolitica messa in luce,tra gli altri, da Joanne Sharpe che va sotto il nome di “Popular Geopolitics” ovvero l’effetto che i discorsi prodotti dalle Elite dominanti producono sulle persone comuni attraverso l’uso che le prime fanno dei mezzi di comunicazione di massa, di cui dispongono, per influenzare le seconde.
Sharpe afferma che i discorsi “Formali” o “Pratici” di stampo Geopolitico altro non sono che le ricadute a livello alto o basso delle decisioni prese dalle Elite dominanti ed è perciò importante non tanto l’analisi di questi stessi discorsi ma delle cause e degli effetti che questi discorsi creano nella realtà.
In Italia, la parzialità o meno della rappresentazione mediatica “mainstream” rispecchia l'atteggiamento della politica del paese, dell'opinione pubblica, delle necessità dettate dalle alleanze, o è frutto di una misurata equidistanza?
Un recente studio dell'ISTAT ha messo in luce come la consistente maggior parte della popolazione italiana si rivolga quasi esclusivamente alla televisione per ottenere le informazioni riguardanti la sfera della politica nazionale quella internazionale.
Una scarsa percentuale legge i giornali quotidianamente e, di questi, molti fruiscono esclusivamente della “free press” (Leggo,City, ecc..) sbocciata negli ultimi anni.
Aggiungiamo inoltre che spesso la fruizione delle notizie è fugace, basata sui titoli più che sul reale contenuto, compressa dai tempi veloci della quotidianità. Nel caso della free press, diffusissima nelle grandi città, le notizie di politica estera non appaiono neanche o sono soffocate da servizi di gossip e di cronaca.
La radio ovviamente copre la quasi maggioranza della popolazione per cui possiamo dire che ogni giorno, ogni cittadino italiano è immerso in un “brodo informativo”, somministrato tramite un continuo “info mix”, ovvero l'equivalente del “marketing mix”, tradizionale strumento del Marketing pubblicitario.
La radio lancia la notizia, la TV la amplifica, la stampa la spiega, il giorno dopo ed internet. La approfondisce. Questa è la sequenza con cui i media gestiscono il flusso informativo.
Difficilmente, però, quella che gli statistici chiamerebbero “la maggioranza degli italiani”, verifica le fonti, la loro esattezza, il reale alternarsi degli eventi e della catena causa/effetto delle informazioni che riceve, a maggior ragione se vengono dall'estero o ad esso si riferiscono.
Dipingere l'Iran come “oggetto geopolitico” è quindi piuttosto semplice.
Ciò può avvenire quindi attraverso l'uso di metafore, ovvero “mezzi che trasformano il non familiare in qualcosa di consueto” (Dell'Agnese); vere e proprie “immagini mentali” vengono costruite tramite l'uso di semplici sillogismi (Ahmadinejad è un “nuovo Hitler” quindi il Nucleare Iraniano porta ad un nuovo Olocausto) o traduzioni distorte dal Farsi (“spazzare via Israele dalle mappe geografiche”) portano a costruire una immagine definita ed una sola dell'Oggetto Iran.
Volenti, o nolenti, quello che accade è che “una certa idea di Iran” viene veicolata attraverso i media e non altre.
Per dirla ancora con le parole di Dell'Agnese “Il centro della questione non è cercare di capire cosa sia vero e cosa sia falso, ma quello di comprendere il processo di costruzione” ed evitare di aderire a certi costrutti logici in maniera acritica.
La decostruzione dell'informazione tradizionale e la contemporanea ri-costruzione di un senso più ampio, tramite le molto più ricche fonti informative reperibili in rete, è un processo per cui può però accadere di comprendere la situazione come antitetica a quella diffusa dalla informazione mainstream o almeno ben più complessa e dall'esito ottimale non ben definito.
Come detto Internet permette l'approfondimento di qualsiasi argomento o quasi e basta infatti digitare “nuclear Iran” per ottenere 29.100.000 risultati: 29.100.000 modi di “farsi un'idea” di questo argomento.
L'ottenimento delle informazioni aggiuntive tramite la rete può avvenire però a patto di conoscere almeno un'altra lingua (preferibilmente l'inglese). Tutti o quasi i maggiori quotidiani mondiali hanno in rete una versione in lingua inglese del quotidiano stampato, con aggiornamenti frequenti e buona parte dei blog di giornalisti e ricercatori internazionali è in quella lingua. Inglese e internet sono ormai patrimonio di buona parte di giovani italiani nella fascia 13-30 ed in maniera minore anche in quella più ristretta 30-50 che però fruisce in modo più assiduo delle informazioni diffuse dalla carta stampata.
Fondamentale, nell'ambito della comunicazione, è l'opera di “gatekeeping” (letteralmente “portieraggio”), rappresentata dalla concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione in pochi gruppi che determina quali delle tante notizie lanciate dalle agenzie ogni giorno meritino di essere diffuse e approfondite. Il Gatekeeper decide appunto a quale delle varie notizie aprire le porte dell'informazione verso il pubblico. Chiaramente il processo è guidato dai valori e dagli obiettivi di chi le diffonde e dalla necessità o meno che certe informazioni vengano diffuse.
Al contrario di quanto accade all'estero, dove la politica estera trova sempre un discreto spazio sulle pagine dei quotidiani, in Italia certi argomenti sono meno presenti ; un caso particolare è rappresentato da Limes che è l'unica rivista italiana esclusivamente dedicata alla geopolitica diffusa quasi capillarmente nelle edicole. Se si aggiunge poi che, come detto, i media tradizionali hanno proprietari certi, il cui coinvolgimento con il potere è evidente o presumibile, si può immaginare come le opinioni da essi veicolate non possano non essere influenzate dagli scopi del potere stesso. La molteplicità dei siti sull'argomento reperibili in rete, fatti salvi i siti ufficiali dei quotidiani esteri, rende invece difficile l'attribuzione della paternità dell'informazione e gli eventuali interessi che si celano dietro di essa.
Il “collages informativo” composto da porzioni di informazione prelevate da questo e da quel sito o blog e confermate tramite triangolazione (la verifica contemporanea di una informazione dubbia su più fonti:siti ufficiali, agenzie e quotidiani on-line, il sito in questione ed altri siti in rete) delinea una situazione del tutto nuova. Potremmo dire che aumentando e differenziando il numero delle fonti informative e diminuendo in esse la quota di condizionamento patente o latente esercitato dal potere di riferimento si arriva a “scrivere” la propria visione dell'argomento. Non è ovviamente possibile accedere a tutte le fonti disponibili sull'argomento ma la sola ricerca del termine “Iran”, o “guerra all'Iran” su un motore di ricerca rende bene l'idea di quanto sia popolato il dibattito sull'argomento lontano dalle telecamere o dalle prime pagine che invece propongono una sola immagine polarizzata.
Per molti versi infatti la diffusione di notizie riguardanti l'Iran si inscrive in quelle che la moderna strategia militare chiama “spy-ops” o “psychological warfare” ovvero operazioni di “conquista delle menti”. In assenza di una idea specifica su un argomento si presume che un cittadino sia più incline a sposare le idee ripetute più spesso e su più canali informativi meglio se ritenuti “autorevoli”. La ripetizione di clichè e stereotipi, poi, determina la plausibilità delle continue informazioni sul tema e le inscrive in un panorama cognitivo e simbolico che si rafforza ad ogni successiva nuova notizia. Questo processo viene definito “framing”
Ciò che viene “raccontato” diviene , per dirla con O'Thuathail, “l'unico reale possibile” e su questo vengono costruite le motivazioni che legittimano l'agire, se necessario anche con la forza. Se oltre a questo aggiungiamo che l'informazione “altra” da quella ufficiale viene bollata come “complottista” se non addirittura di appoggio o di matrice filo-terrorista, il quadro si completa con la demonizzazione non solo dell'avversario ma anche dei suoi difensori e alleati.
L'Oggetto geopolitico Iran è tornato sui giornali, tra le notizie di politica estera, dopo una lunga assenza. Negli anni '80 era genericamente, per gli italiani, il primo termine della guerra Iran-Iraq sebbene la sua visibilità fosse amplificata dalle notizie sullo Shah, la sua consorte Fara Dibah e le loro frequentazioni italiane.
I rapporti tra l'Italia e la Repubblica Islamica si mantennero buoni nonostante la presa del potere da parte di Khomeini nel '79 e d'altronde l'Eni ha sempre avuto, dal dopoguerra in poi, rapporti commerciali e di estrazione nel golfo persico, sia con l'Iraq che con l'Iran e la FIAT vi possedeva uno stabilimento fino agli anni 50.
Dal 2003 prima e, con più vigore, dal 2005 l'Iran è stato scelto come uno dei punti caldi (hot spot) della politica internazionale grazie anche al suo inserimento tra i paesi facenti parte dell'asse del male e presunto “stato canaglia” da parte dell'amministrazione Bush le cui tecniche sono state ben descritte nel saggio “Rogue State” di Claudio Minca (vedi Bibliografia).
La stampa italiana ha da allora in poi seguito frequentemente tutte le vicende legate a questo paese.
E' un tema che appare e scompare dalle prime pagine, passando per le pagine interne, proposto con un certo timing, nell'ambito della campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, ormai, mondiale, circa la presunta volontà di dotarsi di armi nucleari da parte di Teheran.
I commenti da parte degli attori della politica nazionale si inscrivono nell'ambito della fedeltà al Patto Atlantico (NATO) e sono pertanto concordi con quelle diffuse dai quotidiani occidentali. Secondariamente, per mantenere sottotraccia l'attenzione sull’argomento, vengono diffuse e commentate notizie di costume sulla società iraniana. Il tratto comune è la caratterizzazione negativa che si deduce da esse: l'Iran è l'ennesimo paese brutale e oscurantista che viola le libertà dei suoi cittadini e vuole imporre il suo potere su tutto il mondo.
Nelle immagini e nei racconti sull'Iran sono ben rappresentati tutti gli stereotipi ben descritti e tipizzati da Edward Said nel suo celebre saggio,”Orientalismo” quindi, generalmente, le donne vi vengono rappresentate velate ma orgogliosamente “contro” (ricordiamo anche il film a fumetti, ”Persepolis”), vengono enfatizzate le immagini di masse urlanti durante i discorsi dei leader politici e religiosi, le parate militari, servizi sul come i giovani iraniani non possano vivere le normali abitudini dei loro corrispettivi occidentali.
I quotidiani on-line nazionali riportano generalmente più notizie sull'argomento e su più giorni ma non esistono, come su alcuni quotidiani esteri, link a sezioni monotematiche sull'intera vicenda, segno questo già di per sé evidente sulla reale volontà di delineare un quadro chiaro in cui inscrivere una politica nazionale sull'argomento. Capita spesso, infatti, che informazioni errate vengano diffuse con enfasi ed in maniera capillare e pervasiva dai titoli dei giornali e dei TG salvo poi essere smentite o “precisate” giorni dopo nelle pagine interne o in trafiletti affogati in articoli di altro genere. E' questo un metodo che permette ai mezzi di informazione di poter mantenere la loro aurea di “correttezza” diffondendo però al contempo un'informazione distorta nel messaggio e nella modalità. In conclusione nella definizione dell'Oggetto Iran, quindi, entra in gioco sia ciò che viene menzionato esplicitamente sia quanto viene taciuto, concordemente con quella che viene definita “l'agenda” della politica estera delle principali potenze mondiali che formano la cosiddetta “Comunità internazionale”.
La retorica americana ha fatto largo uso dei media nei paesi arabi per ottenere l'appoggio delle opinioni pubbliche di quei paesi prima della guerra in Iraq,così come anche questo paese ed i suoi sostenitori hanno fatto per dipingere l'intervento americano come ingiusto ed immorale. Infatti, come Ó Tuathail and Dalby hanno già affermato :”... la Geopolitica satura la vita di ogni giorno di Stati e Nazioni. I luoghi della sua produzione sono multipli e pervasivi,sia in “alto” (come un memorandum di sicurezza nazionale) che in “basso” (come le pagine di un giornaletto popolare), sia “visuali” (come le immagini che muovono gli stati ad agire) che “discorsivi” (come i discorsi che giustificano le azioni militari)...”
I media sono perciò il veicolo fondamentale,in una società moderna, per trasmettere ed istituzionalizzare idee,immagini e propositi di stampo geopolitico. Il punto focale del testo citato è rappresentato dal concetto di “Language Engineering” ovvero dell'utilizzo del linguaggio e delle sue sfumature per veicolare concetti a proprio favore facendo leva su elementi già condivisi con l'uditorio o creandone di nuovi utilizzando espressioni accuratamente studiate dagli esperti del settore,i cosiddetti “spin doctors”.
In questo processo i media trasferiscono ed amplificano di questi concetti preconfezionati verso l'opinione pubblica che li rende propri e familiari ma in una maniera tale per cui, vista la continua produzione di nuovo lessico sui diversi argomenti da parte delle relative fonti, i giornalisti si ritrovano ad essere meri trascrittori di concetti anziché reporter di notizie.
Neologismi quali “guerra umanitaria”, “danni collaterali” o “missione di pace” hanno riempito pagine di giornali e sono diventati comuni nel lessico quotidiano ma attorno ad essi continuano a svolgersi aspri dibattiti non solo di carattere semantico ma anche di stampo politico e filosofico. Battezzati spesso come propaganda, svolgono il loro specifico ruolo nel permettere alle istituzioni che li creano e li propagano di dissimulare concetti complessi e di ardua trattazione in regimi di stampo democratico, con termini, o associazioni non aggressive di termini, che richiamino immagini legate ad una moralità giusta o perlomeno attenta ai valori umani.

In conclusione, prima di poter quindi valutare “la questione nucleare iraniana”, e tutte le sue ricadute, è necessario comprendere quanto di quel che conosciamo sull'argomento ci è stato “infuso” senza che se ne sia consapevoli.
L'accettazione acritica di certi giudizi può infatti portare ad una comprensione distorta da principi di ordine morale che sono in realtà l'ultima preoccupazione di chi decide realmente le sorti della politica internazionale.

Bibliografia:

  • Antonsich Marco , Critical Geopolitics:La Geopolitica Nel Discorso PostModerno 2000
  • Berger Peter & Luckmann Thomas, La realtà come costruzione sociale 1966
  • Autori Vari , Limes L’Iran tra maschera e volto 5/2005
  • Dell’Agnese Elena, Geografia Politica Critica 2006
  • O’ Tuathail Gearoid, Critical Geopolitics 1994
  • Minca Claudio , rogue State in Rivista Geografica Italiana 110 2003
  • Said Edward, Orientalismo 1978