Durante questa prima settimana di Maggio si è svolto l’ennesimo round di negoziati tra Stati Uniti ed EU in merito al famigerato TTIP ovvero l’accordo di libero scambio tra le due sponde dell’Oceano Atlantico. Anche questa volta in Germania sono state organizzate diverse manifestazioni contro il trattato che hanno visto una partecipazione molto elevata di cittadini. La Germania ci ha già abituato a certe dimostrazioni di ostilità nei confronti dei termini del trattato che, stando ai contenuti attuali, danneggiano pesantemente l’industria tedesca e non solo. A sorpresa anche in Francia si sono svolte manifestazioni di piazza molto partecipate ed il movimento anti-TTIP sta facendo nuovi proseliti tra i cittadini di ogni categoria, in particolare tra gli agricoltori, che rappresentano attualmente lo zoccolo duro dell’elettorato del Partito Socialista Francese. La vera novità sta però nelle dichiarazioni del Presidente Hollande che ha affermato che se non cambieranno le normative in merito al settore agricolo, l’accordo non potrà venire approvato né entro la fine della presidenza Obama né tanto meno in futuro. Le pressioni americane perché il TTIP venga firmato il prima possibile sono infatti fortissime e ciò è dovuto alla sensazione che una futura, possibile, amministrazione repubblicana guidata da Donald Trump possa rimettere in discussione il trattato Transatlantico e far deragliare l’approvazione di quello Transpacifico , il TPP. Storicamente, infatti le amministrazioni repubblicane sono meno inclini agli accordi internazionali ed inoltre Trump ha già affermato più volte di voler rivedere la presenza americana nel mondo, tanto a livello militare quanto in ambito commerciale. Ciò non vuol dire che gli USA, con Trump, si rinchiuderanno in uno “splendido isolamento” ma che presumibilmente accelereranno la politica di inshoring delle proprie aziende ora dislocate in molti paesi esteri e per la maggior parte in Cina ed in Asia in generale. Dal punto di vista europeo Francia, Germania e a sorpresa, seppur timidamente, Italia, hanno fatto notare come i termini del trattato siano fortemente sbilanciati a vantaggio del sistema americano e che il settore agricolo europeo potrebbe ricevere un colpo esiziale per mezzo dell’eliminazione del sistema di incentivi detto PAC (Politica Agricola Comune), dall’eliminazione del principio di precauzione e dalla cancellazione dell’etichettatura di Indicazione Geografica Tipica vigente su molti prodotti europei di qualità. Finalmente anche i leader europei dei maggiori paesi si sono convinti a prendere sul serio le legittime e ben motivate preoccupazioni esposte dai vari movimenti anti TTIP attivi sul continente europeo sebbene la Commissaria Europea al Commercio Cecilia Malmstrom, negoziatrice del TTIP per l’EU, abbia minimizzato le proteste etichettandole come “una tempesta in una tazza di Tè”. In un report molto dettagliato sulla situazione tedesca pubblicato nel maggio 2014 del “The German Marshall Fund of the United States” si legge: “In parte l’aumento del criticismo [nei confronti del Trattato] riflette il fatto che gli obiettivi dichiarati del TTIP si propongono di superare il classico approccio di rimuovere tariffe e aprire mercati, servizi e appalti pubblici a investimenti esteri. Il TTIP è ampiamente percepito come il progetto di una nuova generazione di accordi di libero scambio che si propongono di restringere il gap normativo [tra USA ed EU]. Il supporto tedesco al trattato è imprescindibile per la sua approvazione finale ma è anche importante capire quali articoli verranno approvati, quali no e perché. Il documento in esame, citando una ricerca del “Pew Research Center”, afferma che in Germania tra gli aspetti maggiormente contestati vi è ad esempio l’eliminazione di dazi e tariffe sulle merci americane, che verrebbero quindi equiparate a quelle tedesche. Anche una eccessiva deregolamentazione degli investimenti americani in Germania viene reputata negativamente da molti di coloro i quali si oppongono al trattato.
Lo stesso tentativo di uniformare gli standard viene visto come una volontà di rendere i prodotti tedeschi e americani sempre più simili annullando così il vantaggio delle soluzioni tecnologiche tedesche, notoriamente molto avanzate. I tedeschi (73% nell’aprile 2014) temono inoltre che una eccessiva libertà di investimenti e acquisizioni americane in Germania potrebbe nuocere all’economia. Il caso del Presidente francese è stato in parte interpretato come una mossa tattica per recuperare un consenso che è ora scivolato ai minimi di sempre, cavalcando i timori (assolutamente giustificati) espressi dagli agricoltori e dal settore industriale. In Francia la contrarietà viene direttamente dal Governo francese e verte maggiormente su alcuni contenuti specifici dell’accordo come quelli riguardanti il settore culturale e degli audiovisivi, la clausola ISDS e il settore energetico1. Per quanto riguarda il primo aspetto, il governo Hollande è riuscito a escludere qualsiasi norma riguardante il settore culturale (l’accento è posto sulla exception culturelle, il diritto di proteggere la propria industria culturale, molto sentito in Francia). Il secondo aspetto coinvolge direttamente l’inclinazione tradizionalmente dirigista dei governi francesi di qualsiasi colore mentre l’opposizione alla liberalizzazione dei settori energetico e dei trasporti è legata alla forte presenza dello Stato francese in aziende come Total-Erg o Alstom. In Italia il direttore della divisione “politica commerciale internazionale” del Ministero dello sviluppo economico Amedeo Teti, ha rilasciato una dichiarazione piuttosto esplicita sull’assenza di reciprocità nei vantaggi che il TTIP dovrebbe portare alle aziende ed ai cittadini americani ed europei 2 ma il premier Renzi continua a tacere o adirsi d’accordo con l’alleato americano. Detto per inciso, gli americani stanno osteggiando tutte quelle modifiche normative che dovrebbero permettere alle aziende europee di partecipare in condizioni di parità alle gare di assegnazione di appalti nel settore pubblico americano. Parimenti i negoziatori USA stanno spingendo per eliminare tutte quelle Barriere Non Tariffarie (BNT), rappresentate da norme e regolamenti comunitari e nazionali che rendono l’Europa un mercato chiuso ai prodotti americani.
Se le posizioni contrarie europee permarranno anche nel prossimo round di trattative che si svolgeranno il 19 Maggio a Bruxelles, ciò rappresenterà uno spartiacque epocale nei rapporti transatlantici ed un segnale importante avente una doppia valenza. In primo luogo la decisa perdita di Soft Power da parte dell’establishment americano nei confronti dell’Europa, apparentemente bilanciato da un aumento dell’Hard Power USA sotto forma di maggior dispiegamento di mezzi e uomini in ambito NATO specialmente nelle nazioni immediatamente confinanti con la Russia come la Polonia e le repubbliche baltiche. In secondo luogo una presa di coscienza europea sul crescente ed indispensabile legame con Cina e Russia fortemente osteggiato dagli americani ma assolutamente necessario all’UE. I due trattati gemelli TTIP e TPP, infatti, escludono proprio le due Grandi Potenze dal novero dei partecipanti tanto che potrebbe apparire proprio questo il reale obiettivo, ovvero la creazione di un commercio globale bipartito in cui le potenze occidentali, unite, si oppongono a tutte le altre. I BRICS al momento non sembrano in grado di contrastare unitariamente il progetto euroamericano ( a dire il vero più americano che europeo) in quanto si dibattono tra diverse crisi politiche ed economiche. Il Brasile, è in una fortissima fase di instabilità politica a causa della procedura di impeachment chiesta per la presidentessa Dilma Rousseff a seguito di un presunto caso di tangenti. Si aggiunge poi una cospicua contrazione economica dovuta in prima istanza al calo di richiesta e dei prezzi per le materie prime di cui il Brasile è un forte esportatore (in primis prodotti agricoli ma anche legname, minerali e prodotti industriali). Il Sudafrica, come il Brasile, è stato colpito dalla crisi delle materie prime ed inoltre soffre di una fortissima inflazione che ne sta minando la stabilità sociale. La Russia, dopo la forte crisi legata agli attacchi speculativi sulla sua economia, alle sanzioni imposte dall’Europa e dalla guerra in Ucraina, si sta risollevando ma il proprio mercato di esportazione di riferimento, quello europeo, si è ridotto e con esso anche i profitti delle aziende russe. La Cina è alle prese con una corposa e delicata ristrutturazione della propria struttura economica per riconvertirla alle necessità dell’enorme mercato interno anche per riequilibrare il calo di esportazioni in atto da due anni a questa parte. A più riprese si è parlato di “bolle” nel settore finanziario e borsistico cinese ed il governo sta cercando in ogni modo di mantenere stabile il valore della propria moneta, lo Yuan, impedendone il deprezzamento. E invece in atto una politica che porti progressivamente la moneta cinese a diventare gradualmente una delle valute di riferimento e di riserva del sistema mondiale attraverso l’inserimento di questa nel distema degli SDR (Special Drawing Rights, diritti speciali di prelievo) che sostengono il sistema finanziario del Fondo Monetario Internazionale. Oltre a ciò è ormai avviato il sistema di fixing dell’oro in Yuan presso un’autorità specifica con sede a Shanghai, che affiancherà quella storicamente presente a Londra. Attualmente la Cina è il più grande produttore di oro al mondo, avendo superato anche il Sudafrica, e ciò ha portato diversi analisti a concludere che è vicino il momento in cui Pechino deciderà di agganciare parzialmente la propria moneta al metallo giallo, scaricando progressivamente le proprie immense riserve di buoni del tesoro americani che gradualmente giungono a scadenza senza acquistarne di nuovi, visto il bassissimo rendimento che questi pagano sulle scadenze più lunghe. Solo l’India sembra , al momento, immune da crisi economiche o politiche, ma è pur vero che la Nazione guidata da Narendra Modi resta il più solido punto d’appoggio per la politica degli Stati Uniti in Asia, soprattutto nell’ottica di un contenimento militare cinese ed è per questo che la sua stabilità è assolutamente necessaria ai progetti americani nel continente.
Al di là della possibilità che i BRICS decidano di fare squadra per contrastare i disegni occidentali nel mondo e risollevare le proprie economie , resta il fatto che un‘Europa troppo legata agli USA tramite il TTIP impedirebbe all’Unione un rapporto più fluido con ognuno dei BRICS e soprattutto con Russia e Cina, proprio in un momento in cui il grande progetto cinese denominato “On Belt One Road” (OBOR), che mira a ristabilire le antiche vie di comunicazioni da e per l’Europa, si sta concretizzando. Negli scorsi mesi due segnali molto forti in questo senso sono i treni merci giunti a Teheran, in Iran3, e a Lione, in Francia4, provenienti dalla Cina. Per entrambi si è trattato di un viaggio di oltre 10000 Chilometri, senza mai toccare l’acqua del mare, e con un risparmio di circa due settimane sull’equivalente percorso marittimo. Se poi aggiungiamo che tale percorso è controllato e gestito dalla marina americana mentre il percorso via terra è al di fuori di tale controllo e si dispiega prevalentemente nei territori controllati dal SCO (Shanghai Cooperation Organization), l’alleanza militare composta tra gli altri da Cina, Russia e Kazakistan, il quadro che emerge è chiaramente un confronto di obiettivi geopolitici ma i cui mezzi sono economici. Il TTIP può allora veramente essere interpretato come una nuova versione della NATO ma in chiave economica, solo che stavolta l’Europa potrebbe voler scegliere di privilegiare il “Patto di Varsavia” Russo-Cinese. Caro Fukuyama, quindi, la Storia non è ancora finita. Per fortuna di tutti.
1 https://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/article/le-dure-critiche-francesi-verso-i-negoziati-ttip
2 http://economia.ilmessaggero.it/flashnews/ttip_accenti_critici_del_mise_sull_accordo_commerciale_con_gli_usa-1694981.html
3 http://www.cinaforum.net/sbarcato-in-iran-il-primo-treno-cargo-471-della-nuova-via-della-seta/
4 http://www.lastampa.it/2016/04/21/economia/arriva-il-treno-pechinolione-la-nuova-via-della-seta-su-rotaie-LX9oHVKO5Q6ies18sDm61H/pagina.html