In questi giorni
assistiamo alle convulsioni della politica europea dovute all'azione
congiunta della crisi dei migranti, degli effetti permanenti della
crisi economica e dell'indecisione cronica della classe dirigente
europea in merito all'eventuale intervento militare nelle varie aree
di conflitto dalle quali l'Europa è circondata. Il quadro che emerge
somiglia ad uno stato di schizofrenia accompagnato da una
dissociazione psichica che rasenta una pericolosa bipolarità. E non
manca neanche una situazione inconscia di transfert, per ora latente
ma che da già segni evidenti di presenza.
La matassa ha diversi
capi e non è possibile cercare di sbrogliarla tirandone uno solo
senza ingarbugliarla ancora di più. Proviamo ad elencare e
riassumere le questioni sul tavolo e l'atteggiamento dell'Europa
verso ognuno di esse.
Cominciamo con la
Turchia. Per anni la richiesta di adesione della Turchia all'Unione
Europea è stata rimandata a causa della ferma opposizione della
Francia, ed a tratti anche dell'Italia e della Germania. I principali
ostacoli erano, e sono, la natura solo parzialmente democratica
dell'ordinamento turco, il suo mancato rispetto delle minoranze
etniche, armene e curde in primis, e la paura di una non integrabile
cultura islamica nel tessuto sociale europeo ancora formalmente
cristiano. Con la crisi dei migranti sorta a seguito della guerra
civile in Siria, molte di queste preoccupazioni sono state messe da
parte. Oggi assistiamo ad un rapido mutamento di orientamento che ha
portato ad una serie di accordi che sono il preludio ad una maggiore
integrazione del paese anatolico nell'Unione.
A ben vedere tali accordi
assumono però la forma di un ricatto posto dal Presidente turco
Erdogan nei confronti dell'Europa per arginare il flusso senza fine
dei migranti, siriani e non, in partenza dal suo territorio verso le
nazioni nord europee attraverso la cosiddetta "rotta balcanica".
Erdogan non solo ha richiesto un cospicuo aiuto economico (3 miliardi
di euro annui per i prossimi tre anni) per gestire transito e
rimpatrio dei richiedenti asilo verso l'Europa, ma anche l'abolizione
del visto richiesto ai cittadini turchi per raggiungere i paesi
dell'UE. Il punto fondamentale è dato dal rifiuto di quasi tutte le
nazioni est europee ad accogliere pro quota i migranti e alla
chiusura di molte frontiere che potenzialmente può portare alla fine
del Trattato di Schengen e della libera circolazione in Europa. Se i
migranti restano in Turchia queste tensioni possono stemperarsi e
rientrare. Sempre in questi giorni assistiamo però ad una
involuzione nelle politiche di libertà di stampa che ha portato alla
chiusura di alcuni, anche importanti, giornali turchi,
all'incarcerazione di figure dell'opposizione al governo dell'AKP
guidato dall'ex ministro degli esteri Davutoglu e in generale ad una
restrizione delle libertà di espressione e di critica che possono
portare all'instaurazione di un regime non democratico in Turchia.
Ecco il primo dei capi
dell'ingarbugliata matassa: l'Europa ha bisogno della Turchia per non
disintegrarsi e per farlo è disposta a sorvolare sui suoi presunti
valori, la libertà d'espressione e l'ordinamento democratico delle
nazioni che ne fanno parte. Contemporaneamente però mette sotto
accusa, e minaccia di sanzioni, la Polonia del neoeletto governo
nazionalista guidato dal PIS a causa della promulgazione di una nuova
legge che concede al governo la facoltà di influenzare pesantemente
la televisione di Stato ed anche la direzione di alcuni giornali.
Inoltre, il governo di Varsavia si rifiuta di accollarsi una quota
dei migranti in arrivo dal medioriente e dall'Africa ed anche per
questo è stata paventata l'ipotesi di sanzioni da parte di
Bruxelles. La Polonia si avvia a affiancare l'Ungheria nella lista
delle nazioni che non si adeguano ai diktat eurocentrici. Un esempio
di realismo causato dalla necessità, si dirà. E' infatti necessario
tanto riportare Varsavia entro i dettami ed il controllo di Bruxelles
quanto garantirsi l'aiuto del gendarme turco per frenare l'ondata
migratoria. Sarà, ma la sensazione di ipocrisia generata da tali
atteggiamenti è forte.
Il secondo punto è il
trattamento economico riservato alla Turchia ed il contemporaneo
risicato aiuto (si parla di poco più di 300 milioni di euro) fornito
alla Grecia costretta dagli eventi a divenire l'anticamera dei
profughi in attesa di entrare in Europa. Se infatti alla prima sono
stati forniti ingenti capitali per allestire e gestire campi profughi
e procedure di identificazione e rimpatrio, alla seconda è stato
imposto di fare da sola, pena l'imposizione di dure sanzioni. Non
solo. Alla Grecia pare non verrà accordata alcuna "clausola
migranti" che possa alleggerire il peso economico di questa
situazione sulle già disastrate finanze elleniche. La Grecia si
trova quindi tra l'incudine della pressione migratoria ed il martello
dell'austerità tedesca in materia di conti pubblici.
L'ipocrisia prima
evidenziata comincia così a prendere la forma di una schizofrenia
dettata dall'incapacità di essere solidali con un paese membro che
ha già pagato duramente le rigidità dei trattati e i balbettamenti
delle varie cancellerie europee. Grecia e Turchia,stesso problema ma
due pesi e due misure.
Al momento in Europa le
frontiere di Austria, Croazia, Slovenia, Macedonia, Bulgaria, Serbia,
Ungheria e Svezia sono chiuse ponendo grossi problemi al transito di
persone e merci da e verso gli altri paesi europei. Questa situazione
crea i presupposti per una possibile creazione di nuove rotte per i
migranti che, complice l'arrivo della bella stagione, potrebbero
interessare la Polonia e soprattutto l'Italia. Già si parla
dell'arrivo sulle coste siciliane e pugliesi di centinaia di migliaia
di nuovi profughi, economici e non, capaci di mettere in crisi le già
poco efficienti strutture ricettive italiane. Il governo Renzi ha già
messo le mani avanti richiedendo che i sovracosti della gestione
emergenziale vengano stornati da quanto dovuto dall'Italia a
Bruxelles per riequilibrare deficit e debito pubblico.
Oltre alla questione
migranti ce ne sono almeno altre due di non meno rilevante impatto:
le sanzioni alla Russia per la questione ucraina e la gestione della
guerra in Siria, che peraltro vede nel decisivo apporto della stessa
Russia una possibile risoluzione. Le sanzioni economiche alla Russia
dovrebbero terminare a giugno ma già alcuni paesi, sotto la forte
pressione americana, ne chiedono un rinnovo. E' noto che le
limitazioni alo commercio con Mosca stanno danneggiando vistosamente
le esportazioni italiane, polacche e tedesche e che più a lungo si
protrarranno più daranno modo ad altri concorrenti di sostituirsi ai
prodottori europei sul mercato russo. Se vogliamo possiamo
interpretare questa come una fase "pre TTIP" ovvero
un'approntamento dell'ambiente che si creerà se e quando il trattato
di libero scambio tra UE ed USA verrà approvato tagliando fuori la
Russia e le nazioni euroasiatiche dal commercio con l'Unione Europea.
La Russia non è però spettatore passivo di questa situazione ed è
anzi, comprensibilmente, lieta della vittoria dei partiti
neonazionalisti in Polonia ed Ungheria, tanto che si sospetta un
contributo diretto di Mosca a tali vittorie.
E' notizia di questi
giorni che la Serbia ha rinunciato formalmente alla richiesta di
adesione all'EU e non farà tantomeno richiesta per entrare nella
NATO, optando forse per la SCO (Security and Cooperation
Organization) a guida Russo-Cinese. Un tale precedente, misto alla
dipendenza energetica di tutte le nazioni europee dalla Russia,
potrebbe portare alcune di esse a riconsiderare i rapporti con
Bruxelles.
La crisi dei migranti e
l'intervento russo in Siria sono appunto elementi che stanno portando
ad un riavvicinamento alla Russia , almeno da parte delle opinioni
pubbliche, di molte nazioni dell'area balcanica ed est europea in
virtù di due presupposti: la natura essenzialmente cristiana (sia
essa cattolica o ortodossa) della maggioranza di esse e l'assertività
con cui Putin è intervenuto in sostegno di Assad per ristabilire
l'ordine minacciato dal caos provocato dall'ISIS e dalle altre
milizie jihadiste. Ecco quindi un altro elemento di confusione nelle
menti dei governanti europei posto dall'atteggiamento da tenere nei
confronti dell'intervento russo in Siria. Non c'è dubbio che Putin
abbia deciso l'invio, su richiesta dell'attuale legittimo governo
siriano, della sua aviazione per obiettivi geopolitici meramente
russi ma è pur vero che senza di esso probabilmente oggi il
Califfato Islamico si estenderebbe dall'Eufrate al Mediterraneo. La
cancelliera Merkel si è recata il mese scorso ad Ankara per
assicurare il sostegno della NATO alla Turchia (segnatamente in
chiave antirussa) ma contemporaneamente la Francia ha intrapreso
azioni militari coordinate con la Russia della propria aviazione e
della marina sul territorio siriano. Gli americani hanno
stigmatizzato questo rapporto troppo intimo tra Hollande e Putin ma
la geopolitica ha le sue regole, che necessariamente ricadono
nell'interpretazione realista delle Relazioni Internazionali.
Dopo la schizofrenia
europea sul tema dei migranti ecco quindi apparire la bipolarità nel
rapporto con la Russia. Sanzioni e voglia di cooperazione convivono
senza un'apparente razionalità.
All'inizio di questo
articolo abbiamo accennato ad una possibile situazione di "transfert"
di questa disturbata Europa che si manifesta nei suoi rapporti con
l'Inghilterra. A giugno si terrà infatti il referendum che chiederà
agli inglesi se vogliono o meno abbandonare il rapporto, peraltro
molto contrastato, con l'Unione Europea. Si fanno sempre più forti i
timori che possa verificarsi realmente un'uscita del Regno dall'UE e
ciò viene visto con timore da alcuni governi e con soddisfazione da
parte di altri. Tra questi ultimi sembrano annoverarsi tanto la
Francia quanto la Germania che vedrebbero ridursi l'influenza
finanziaria della City londinese sul territorio europeo anche se
questo scenario potrebbe venir contrastato dalla possibile fusione
tra la Borsa di Francoforte e quella di Londra, che già possiede
quella italiana. Sia i tedeschi che i francesi sono certi che la
scelta inglese di abbandonare l'Unione si rivelerà un boomerang per
Londra e la possibilità di punirla per le troppe intromissioni nella
politica europea, che vorrebbero gestire in tandem senza ulteriori
soci, sarebbe una grande soddisfazione. Esiste un termine tedesco
preciso per questa situazione, Schadenfreude, letteralmente
"gioia infame" che ben si attaglia a questo desiderio dei
due grandi d'Europa.
Il transfert in questo
caso si manifesta nella volontà di molti paesi europei di concludere
questa difficile relazione non solo con Londra ma anche con
l'istituzione europea nel suo insieme che, in questi 15 anni, ha
portato quasi tutte le economie dei 28 alla deflazione, alla
disoccupazione e ad una crisi sociale che sembra inarrestabile. La
Brexit rappresenterebbe quindi al contempo il timore di un'esplosione
della costruzione europea ma anche una sorta di "libera tutti"
che potrebbe permettere ad alcune nazioni di sganciarsi finalmente da
Bruxelles proprio a causa di questo evento.
In definitiva, se questa
è la diagnosi complessa di questo travagliato stato
psichico-politico dell'Europa, quale potrebbe essere la terapia per
curarlo o almeno attenuarlo? Al momento l'unica cura sembra essere la
massiccia somministrazione di "droga monetaria" inoculata
dalla BCE di Mario Draghi che, dispensata a piene mani, sta
alleviando le pene economiche di quasi tutte le economie
continentali. Ad ogni nuova "iniezione di liquidità",
però, l'effetto calmante diminuisce, proprio come accade ad un
paziente che progressivamente si assuefa a dosi sempre più elevate
di antidepressivi. Con la riduzione a zero del tasso di riferimento ,
il fondo è stato ormai toccato e l'eventuale discesa in territorio
negativo (NIRP, ovvero Negative Interest Rate Policy) porterebbe ad
una sicura rivolta da parte della Bundesbank e ad un azzeramento dei
margini di interesse delle già pericolanti banche europee. Ci
vorrebbe forse un intervento più drastico, una sorta di cura "San
Patrignano" fatta di tagli estremi al Welfare ed ai bilanci di
tutte le nazioni europee ma nessun governo vuole essere il primo a
proporla poichè potrebbe generare una rivolta sociale ancor più
violenta di quella già vista in Grecia.
Di certo non esiste
alcuna cura indolore ma, come ogni terapia psicanalitica prescrive, è
necessaria prima di tutto una piena presa di coscienza della
situazione del paziente Europa. Per prima cosa l'Unione non ha una
guida politica unitaria ed è pertanto preda dei diversi obiettivi
economici e geopolitici dei suoi aderenti. Essa è nata per impedire
nuove guerre fra le potenze che la compongono e per "arginare"
il potere economico della Germania e l'eventualità che quest'ultima
potesse scegliere di creare un proprio spazio economico-politico
condiviso con la Russia. L'Unione vorrebbe dare di sè un'immagine di
"Comunità di Destino" ma non può fondarsi su valori
storici condivisi proprio per il fatto che il suo membro più forte
ed influente è anche stato la causa delle due guerre mondiali che
hanno devastato il continente nel XX secolo. Inoltre in molti casi
nega le stesse radici Greco-Cristiane che sono il fondamento della
maggior parte degli ordinamenti giuridici, politici e sociali delle
nazioni che la compongono. In definitiva l'Europa è tenuta insieme
da un collante economico che però ha effetti troppo differenti su
paesi tanto diversi e che con il tempo sta creando una frattura
sempre più ampia tra i paesi del nord e quelli mediterranei e
dell'est con i primi che beneficiano della stabilità dell'Euro ed i
secondi che ne subiscono gli effetti di un valore troppo elevato che
mina la loro competitività in termini di esportazioni.
Bisogna poi prendere in
considerazione l'irrisolto rapporto con la Russia che alcuni paesi
vorrebbero coltivare in maniera più stretta ma che è obiettivamente
impedito dalla presenza americana in seno alla NATO. In questa fase
di post-globalizzazione, inoltre, gli obiettivi economici e
geopolitici tra l'UE e l'alleato americano stanno sempre più
divergendo e ciò si manifesta non solo nelle tensioni con la Russia,
ad esempio nel caso della nascita e risoluzione della questione
ucraina, ma anche nelle politiche ondivaghe e apparentemente non
ragionate nei confronti della sponda sud del mediterraneo e del Medio
Oriente. Anche il rapporto con l'Inghilterra non è mai stato risolto
e ad oggi essa risulta un membro influente della NATO ma non adotta
l'Euro pur facendo parte dell'Unione. Tutto ciò è insieme causa ed
effetto di una politica a volte ricattatoria da parte del Regno
Unito, il quale cerca di ottenere più benefici possibili senza
pagarne completamente il prezzo evitando di adeguarsi appieno alle
rigide normative imposte dalla Commissione Europea.
In definitiva, sembra
banale dirlo, non vi è alcuna certezza che nei prossimi anni l'UE
mantenga l'attuale configurazione. Essa potrebbe infatti rafforzarsi,
trovando in sè stessa le motivazioni per una maggiore integrazione o
costretta dagli avvenimenti nell'ambiente che la circonda ma potrebbe
parimente esplodere a causa delle troppe contraddizioni interne.
Intanto però cresce la forza dei partiti "euroscettici" in
tutto il continente, Podemos in Spagna, Front National in Francia,
Movimento 5 Stelle in Italia e Alternative fur Deutschland in
Germania, segno del fatto che le popolazioni europee non condividono
più il progetto predisposto per loro dalle Elite. Se il processo
dialettico in Europa funzionerà questi partiti potrebbero prendere
il potere nei rispettivi paesi e forzare Bruxelles ad adottare
politiche diverse a partire da quelle in campo economico. Se invece
l'Europa delle cancellerie deciderà di mettere da parte le pratiche
democratiche che a parole dice di difendere e voler diffondere,
potremmo assistere alla "turchizzazione" dell'Unione e ad
una progressiva criminalizzazione del dissenso che ci riporterà di
colpo indietro di settant'anni. Dopo aver vinto la Guerra Fredda
contro il totalitarismo di stampo sovietico dell'URSS potremmo
accorgerci di averne importato le modalità,finalità e contenuto
cambiando solamente il nome del contenitore.
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