Durante il vertice NATO in Cornovaglia del 13 e 14 Giugno, Joe Biden ha affermato che “ la democrazia è in gara con le autocrazie del mondo”. Gli ha fatto eco un po' tutta la nomenclatura europea a partire da Draghi che non solo ha ribadito la collocazione euroatlantica dell'Italia, ponendo così un freno alle sirene di Pechino, ma ha affermato che bisogna «essere pronti ad affrontare tutti coloro che non condividono i nostri stessi valori e il nostro attaccamento all'ordine internazionale basato sulle regole e sono una minaccia per le nostre democrazie».
Nel novero ricadono Russia, Cina, forse la Turchia e sullo sfondo, l'Iran. Il 16 Giugno Biden vedrà Putin, al quale ha chiesto un incontro, dopo averlo peraltro definito un "killer" in un'intervista tv. L'affermazione iniziale del Presidente americano sembra quindi apparire come un' agitare la propria bandiera per galvanizzare le proprie truppe, prima di andare a discutere con il Nemico. Da parte sua, il Presidente russo ha rilasciato una pacata intervista alla televisione americana, cercando di controbilanciare la presenza mediatica di Biden.
Si arriva a questo summit in un clima da Redde Rationem, aizzato da accuse di cyber spionaggio, estorsione, hackeraggio e molti altri crimini informatici, oltre a quelle relative ai diritti degli oppositori politici in Russia, passando dal supporto all'Ucraina nella contesa sulla Crimea. Con i cinesi è guerra commerciale aperta, dal veto sui contratti a Huawei, ZTC e altri produttori tecnologici cinesi, alla contesa sugli stretti e le isole dei mari a sud della Cina continentale. Potremmo continuare oltre , ma il
quadro che va delineandosi sembra quello di una nuova separazione Est-Ovest, con il blocco Russo-Cinese a sostituire l'URSS. Se è così, il presidente americano va in Europa a ribadire che l'area è nella sua sfera di influenza e che il legame militare della NATO impedire più stretti rapporti economici tra l'Europa e il nuovo blocco.
Non è una tesi nuova: già Charles Kupchan in un libro del 2014, The geopolitical implications of TTIP, affermava che i rapporti economici, seppur più stretti, tra USA ed EU, non possono rappresentare l’unico legame tra le due sponde dell’atlantico. L’occidente deve mantenere intatta la sua deterrenza militare e gestire unitariamente le sfide geopolitiche e strategiche della nuova era1. Kupchan afferma che “la lunga corsa dell’egemonia materiale ed ideologica dell’occidente è arrivata alla fine”2 e che perfino due democrazie liberali come India e Brasile non hanno ancora scelto se allinearsi con l’Occidente o meno3. Ciò è sicuramente dovuto alla crescente quota di potere che, a livello internazionale, la globalizzazione ha trasferito dai paesi occidentali a quelli in via di sviluppo. Inoltre, sempre nell’interpretazione di Kupchan, l’occidente sta subendo le conseguenze della crisi economica (si parla di quella del 2008) anche a livello interno con la conseguente perdita di prestigio del modello occidentale nei confronti di altri modelli dirigisti o statalisti come nei casi russo o cinese. Kupchan ricorda come la fine della guerra fredda e la previsione di Fukuyama circa “la fine della Storia” abbia illuso molti sul fatto che progressivamente tutte le altre nazioni avrebbero abbracciato il modello liberale occidentale, integrandovisi4. La crisi politica negli USA, quella economica in EU e i successi del modello di capitalismo di stato cinese stanno sempre più creando un panorama nuovo. Kupchan rileva perciò la nascita di “versioni multiple della modernità in competizione tra loro nel mercato delle idee”5.
In occidente, la crisi economica ha anche portato con sé una diminuzione di attivismo verso l’estero ( in particolar modo in campo militare) e una richiesta da parte dell’opinione pubblica americana, di prestare più attenzioni alle questioni interne (come disoccupazione, servizi pubblici e infrastrutture) più che abbandonarsi a un continuo avventurismo in paesi lontani. Potrebbero essere segnali di una tendenza all'isolazionismo dell'opinione pubblica americana, già confusa sul ruolo della NATO dopo la fine dell'URSS. Sino ad oggi la pax americana si è potuta mantenere grazie alla capacità di Stati Uniti (e in maniera ridotta, dell’Europa) di fornire beni pubblici come l’equilibrio internazionale, la garanzia sull’apertura del commercio internazionale e della sua sicurezza, l'esistenza di mercati finanziari accessibili e mercati di consumatori benestanti.
Kupchan rileva come questi presupposti, nati con la fine della seconda guerra mondiale, non siano più validi. Per rivitalizzare l’occidente è necessario primariamente risollevarsi dalla crisi economica in atto dal 2008, (e a maggior ragione da quella creata dalla Pandemia, aggiungo io).In Usa ed Europa la classe media, fondamento delle democrazie liberali, si sta restringendo mentre aumentano le diseguaglianze di reddito tra i pochi miliardari e gli altri (il cosiddetto 99%). La disoccupazione giovanile, che cresce in tutta Europa, e la contemporanea crisi demografica, che rende la popolazione delle nazioni occidentali sempre più anziane, sono un problema di cui occuparsi subito. Europa e Stati Uniti, quindi, devono porsi l’obiettivo di riuscire a riportare lavoro e crescita in anche e soprattutto per rivitalizzare il modello politico liberale su cui esse si fondano insidiato da nuove forme di populismo e massimalismo6.
Gli ultimi 25 anni hanno visto la realizzazione di un sistema finanziario-industriale altamente integrato che permette ai grandi capitali finanziari di fluttuare da un circuito economico ad un altro, dalle obbligazioni statali alle borse valori, dai futures sulle merci a quelli sul petrolio in maniera pressoché immediata. Tutto ciò crea un ambiente nuovo su cui agire e permette a quei capitali di divenire una leva per influenzare nelle loro decisioni le nazioni in cui quei capitali si riversano. Quei capitali finanziano, ad esempio, la costruzione di condutture per il petrolio o per il gas che corrono attraverso diverse nazioni dal luogo di estrazione al mercato di utilizzo finale.
Pensiamo in primis al gasdotto North Stream 2, tra Russia e Germania, oggetto di tensioni diplomatiche tra quest'ultima e gli Stati Uniti. Inutile dire che queste infrastrutture creano legami geopolitici e sono oggetto di geopolitica dalla fase della loro ideazione fino alla loro realizzazione e messa in opera. Consideriamo poi i traffici commerciali su terra e via mare, che sono sviluppati come mai lo erano stati in precedenza. Le rotte commerciali che si dispiegano su tutti i mari hanno bisogno di una rete di sicurezza che impedisca loro di essere interrotte da guerre o pirateria. Questo viene garantito da un controllo internazionale sui punti nodali dei traffici come Suez, Malacca, Aden e il Mar Rosso o le coste sud dello Sri Lanka, controllo che è esercitato dalla marina americana e che vede la Cina solo parzialmente coinvolta, da cui la disputa sul Mare Cinese Meridionale. Anche qui il controllo delle linee commerciali è oggetto di geopolitica prova ne è, ad esempio, la fitta attività cinese per dotarsi di punti attracco e attraversamento alternativi al controllo americano come il porto di Gwadar in Pakistan o le trattative con la Thailandia per la realizzazione di un canale artificiale presso Kra che permetta di aggirare completamente Singapore e Malacca.
Che dire poi del sistema di produzione globalizzato che permette ad un prodotto ideato negli Stati Uniti di essere realizzato in Cina o in Vietnam per essere poi recapitato via mare ad un acquirente europeo? Quanto la geopolitica entra nelle considerazioni degli investitori internazionali per determinare la locazione di uno stabilimento o l'apertura di un nuovo mercato per loro prodotti? Non è certo materia di questo breve saggio, sviscerare completamente i rapporti che attraversano il sistema economico internazionale, ma è necessario chiarire che l'ambito geografico del termine geopolitica è attualmente solo in parte connotato da caratteristiche fisiche e lo è sempre più per via di elementi immateriali come gli scambi finanziari o il commercio elettronico. Si moltiplicano perciò gli ambiti in cui possono avvenire fatti geopolitici per cui si amplia la base sulla quale le teorie geopolitiche possono svilupparsi e mutare nei loro mezzi, se non nei loro fini.
Sebbene la conflittualità internazionale sia stata fino a 25 anni fa governata da considerazioni politiche e ideologiche, le guerre attuali sono prevalentemente combattute per il possesso e il controllo di beni economici vitali, di risorse necessarie per il funzionamento delle moderne società industriali e per la conquista di mercati di sbocco stabili e regolamentati. Non necessariamente il conflitto si espliciterà in forma armata ma sarà implicito nella stipula di trattati commerciali internazionali che vincoleranno le nazioni all'appartenenza a sistemi economici esclusivi, anche se potrebbero altresì essere oggetto di scontro i territori soggetti al transito delle linee energetiche e logistiche con conseguenti ripercussioni in termini politici, sociali ed economici.
Negli ultimi anni la proliferazione di accordi economici multi e bilaterali e la perdita di efficacia, forse temporanea, di WTO e ONU, sono stati causa ed effetto di un processo di progressiva regionalizzazione del sistema internazionale. NAFTA, EEU, APEC, MERCOSUR, CSTO, SCO o ASEAN sono solo alcuni esempi di raggruppamenti regionali i cui partecipanti si associano per perseguire un fine specifico, sia esso economico o di difesa, e secondo presupposti che possono o meno essere fondati su un'identità condivisa. Ciò avviene senza che però venga messo in discussione il principio di sovranità di ogni singolo partecipante. Gli accordi vengono stipulati dagli Stati, che pertanto mantengono un ruolo centrale nel sistema internazionale. L'Europa ha invece scelto una via di consolidamento delle nazioni partecipanti di tipo economico e, attraverso la NATO, anche militare. Il NAFTA, stipulato tra USA, Canada e Messico è rimasto al contrario un accordo di libero scambio di natura commerciale.
Barry Buzan fa notare come gli Stati Uniti abbiano adottato una strategia di tipo “swing power”, rendendosi contemporaneamente membri di tre macroregioni, Asia-Pacifico, Nord-Atlantico, Emisfero Occidentale 7. Attraverso accordi sovranazionali o la partecipazione a progetti regionali, gli USA impediscono il consolidamento delle regioni Asiatiche, europee e latino-americane e la crescita di potenze rivali 8. Russia e Cina sono già partner nell'alleanza militare denominata SCO in cui partecipano tutte le repubbliche centro asiatiche, e alla quale anche India e Pakistan aderiranno dal 2016. Inoltre Cina e Russia hanno stipulato diversi trattati economici bilaterali in campo energetico e logistico, partecipano sia alla banca dei BRICS che alla neonata AIIB e il loro interscambio commerciale è in forte crescita.
La Belt and Road Initiative (BRI) o “Nuova Via della Seta, vede nella Russia e nelle repubbliche centro-asiatiche, un corridoio ideale per recapitare le proprie merci direttamente in Europa, aggirando il più possibile il controllo americano sui mari. Considerando che il Brasile, India e Sudafrica partecipano anch'esse alle due banche di sviluppo, e hanno intensi rapporti commerciali denominati in yuan o rubli con Cina e Russia, ci sono gli elementi per ipotizzare un nuovo assetto bipolare? Oppure si tratta dell'inizio di un assetto multipolare, regionalizzato al quale prima o poi anche gli Stati Uniti dovranno partecipare? Oggi gli USA stanno cercando un nuovo posizionamento sulla scena globale, per mantenersi indispensabili in un ambiente in cui operano grandi potenze in forte crescita.
Sempre secondo Buzan, la persistenza degli Stati Uniti come superpotenza e la contemporanea crescita di nazioni come Russia, Cina, Brasile e India crea una configurazione delle relazioni internazionali di tipo 1+n Grandi Potenze9. Un nuovo “Patto delle Democrazie Liberali”, tutto interno alla NATO, ma pronto a inglobare un giorno chissà quali altre Nazioni, sulla scorta di chissà quale nuova minaccia o pericolo, possiede gli elementi per consolidare il ruolo di superpotenza nella formula di Buzan permettendo a Stati Uniti ed Europa di mantenere riservato a sé stesse l'area del mondo più ricca, difendendola dall'attacco delle merci, dei capitali e dalla geopolitica cinese e russa.
NOTE:
Charles Kupchan The geopolitical implications of TTIP, Transatlantic Academy Paper Series, Giugno 2014, p.2
Ibidem
Ibidem
Ivi p.3
Ibidem.
Ivi p.4
B.Buzan, Il Gioco delle Potenze, EGEA Università Bocconi, Milano,2008 p.156
Ibidem.
B.Buzan, Il Gioco delle Potenze, EGEA Università Bocconi, Milano, 2008 p.155
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