Perchè Ordine e Progresso?

Il Blog prende il nome dal motto inscritto sulla bandiera del Brasile e mutuato da un'aforisma di Auguste Comte.
Questi, uno dei padri della Sociologia, era una convinto positivista, il che nel 1896 lo rendeva anche un progressista.
L'importante è , come infatti Comte mette al primo punto, che l'Amore sia sempre il principio cardine dell'Agire.


L'Amore per principio e l'Ordine per fondamento;il Progresso per fine

Auguste Comte ,1896

lunedì 12 settembre 2016

E' Uscito il libro : "TTIP La NATO Economica?"


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Il libro intende mettere in luce gli scenari geopolitici che l'eventuale stipula del TTIP genererebbe. Storicamente la frontiera della Russia è stata la frontiera dell'Europa, concepita come un'area a maggioranza latina e cristiana opposta ad una slava ed ortodossa . Durante i secoli lo spazio che va dall'Adriatico all'Ucraina, da Tallinn ad Atene passando per la Polonia è stato conteso tra Russia e Germania, ma ora quest'ultima è "ingabbiata" nell'Unione Europea.
Sin dalla nascita della disciplina geopolitica tutti gli autori hanno rilevato come proprio quello spazio Mitteleuropeo o dell'Est Europa, sia stato al contempo l'obiettivo tanto delle due potenze continentali quanto di quelle atlantiche, capitanate dagli Stati Uniti. Il TTIP si propone di creare un'area economica, politica e nel lungo periodo, sociale, dagli esiti imprevedibili. Proprio in Germania l'opposizione è più forte poichè è la Nazione che si pone in diretta competizione con gli Stati Uniti per livello di tecnologia. Il livellamento del terreno che il TTIP propone, avvantaggia le aziende USA contro quelle tedesche e riduce il vantaggio tecnologico di queste ultime. Questo è solo uno dei punti che restano aperti nei negoziati che si susseguono incessanti, disturbati da qualche stop & go sottogovernativo. Anche la Francia ha molto da perdere dai termini del trattato, in special modo per quanto riguarda le sue aziende pubbliche.  L'Italia deve temere la distruzione dei marchi protetti e la futura sparizione di sussidi europei all'agricoltura, oltre all'introduzione di sementi e chimica ora vietati. L'Inghilterra, allo stato attuale, si è sfilata dall'accordo. In quanto membro dimissionario dall'UE, gli accordi non si applicheranno alla sua legislazione, che continuerà a venire regolata bilateralmente.
Se il TTIP si concretizzerà si aprirà il dibattito sull'adesione alla NATO ed all'UE di tutte le Nazioni che ora fanno parte dell'una o dell'altra istituzione ma non di tutte contemporaneamente. Alcune di esse hanno ancora forti legami economici e culturali con Mosca. Dobbiamo forse aspettarci nuovamente una guerra nei Balcani o sul Baltico?
Ed inoltre, conviene realmente alle Nazioni europee legarsi agli USA ora che il Grande Oriente Cinese si è risvegliato e accentra su di sè attenzioni e investimenti?
La Cina esclusa dal TPP e la Russia esclusa dal TTIP potrebbero legarsi tra loro in chiave anti-americana e sfidare lo status quo?
Alcune delle risposte sono possono giungere dalle riflessioni di Huntington, Fukuyama, Dugin, Luttwak o Lacoste e servire come paradigma per comprendere un momento focale della continua trasformazione delle relazioni internazionali e per ipotizzarne i futuri sviluppi.


Un estratto dal libro.

Il Trattato di Partnership Commerciale Transatlantica (TTIP), attualmente in discussione ai più alti livelli tra Stati Uniti ed Unione Europea, ha come obiettivo quello di realizzare un mercato privo di dazi e barriere doganali tra le due sponde dell'Atlantico. Il trattato definisce anche un'armonizzazione degli standard produttivi e legislativi su diverse materie. Ciò potenzialmente può creare uno spazio chiuso o con alte barriere all'ingresso di nuovi paesi ma contemporaneamente un forte disincentivo nel non farne parte. 

Il TTIP ha tutte le caratteristiche per “staccare” l'Europa occidentale dalla massa euroasiatica in termini commerciali ponendosi come nuovo aggregato geoeconomico quasi autosufficiente e potenzialmente autarchico ma alcuni autorevoli commentatori internazionali suggeriscono che la dimensione della sicurezza non debba essere trascurata ed è perciò necessario sostenere l'allargamento ed il rafforzamento della NATO parallelamente all'applicazione del Trattato. Infatti i confini della NATO e dell'UE (quale firmataria del TTIP) non coincidono. 

Quali implicazioni potrebbe avere questo fattore sull'applicazione del trattato sulle nazioni che entreranno a posteriori nell'EU ma sono già oggi membri della NATO? E quali per quelle nazioni che hanno fatto richiesta di ingresso nell'UE ma non sono membri della NATO avendo forti legami economici e culturali con Mosca?

Il TTIP ha perciò un contenuto geopolitico intrinseco che va oltre l'aspetto economico, tanto che questo potrebbe sembrare più un mezzo che un fine. L'obiettivo recondito sarebbe quello di creare un'unica comunità politica occidentale euro-americana fondata sui valori liberali e sulla propria
specifica civiltà come messo in luce da Samuel Huntington ne Lo Scontro di Civiltà. È quindi importante comprendere che l'approvazione del TTIP potrebbe creare un nuovo attore sovranazionale il cui impatto geopolitico sarebbe certamente foriero di nuovi scenari 

La stipula di un trattato che coinvolge le due aree economiche più ricche del pianeta, le cui valute sono il fondamento del sistema internazionale, legate da reti economiche e telematiche fitte e concatenate, in cui si concentrano tanto i capitali più vasti quanto la forza militare più ampia e potente della Storia, la NATO, è di per sé un fatto geopolitico secondo qualsiasi dottrina geopolitica.

Il TTIP è infatti un evento tanto importante quanto le sorti della guerra in Siria, la sfida dell'ISIS o l'evoluzione della crisi in Ucraina. Esso è foriero di un possibile nuovo ordine stabile o forse solo l'ennesimo elemento di un assetto in continuo mutamento nei rapporti internazionali.

A partire dal 1989 ad oggi, l'obiettivo politico degli Stati è di partecipare alla competizione nel commercio globale. La geopolitica diviene geo-economia. Il concetto di frontiera fisica, fondamento dell'autorità dello Stato, è stato rimpiazzato da quello di interconnessione e di integrazione. Le merci e i capitali devono poter fluire dentro e fuori gli stati per permettere al sistema di funzionare.

Il soft power affianca, e in certi casi sostituisce, l'hard power nella gestione della politica estera. In questa fase infatti, il mercato internazionale è più integrato che mai e tutte le nazioni che vi partecipano hanno abbandonato un'ottica ideologica in materia economica. La sopravvivenza delle nazioni è sempre più influenzata dalle variazioni dei mercati finanziari e l'economia è il “driver” principale che decide la sorte anche politica dei cittadini del mondo. 

Le economie asiatiche, la Russia, il Brasile e l'India insidiano il primato occidentale in molti mercati e la loro quota di potere economico influenza politicamente diversi paesi in ogni continente. Le nazioni occidentali mantengono ancora il controllo dei regolamenti internazionali (World Bank, FMI, ONU, Dollar Standard, ecc..) ma devono necessariamente cedere quote di potere al crescente peso dei “nuovi arrivati”. Gli ultimi 5 lustri hanno visto la realizzazione di un sistema finanziario-industriale altamente integrato che permette ai grandi capitali finanziari di fluttuare da un circuito economico ad un altro, dalle obbligazioni statali alle borse valori, dai futures sulle merci a quelli sul petrolio e le materie prime in maniera pressoché immediata. 

Tutto ciò crea un ambiente nuovo su cui agire e permette a quei capitali di divenire una leva per influenzare nelle loro decisioni le nazioni in cui quei capitali si riversano. Quei capitali finanziano, ad esempio, la costruzione di condutture per il petrolio o per il gas che corrono attraverso diverse nazioni dal luogo di estrazione al mercato di utilizzo finale. Inutile dire che queste infrastrutture creano legami geopolitici e sono oggetto di geopolitica dalla fase della loro ideazione fino alla loro realizzazione e messa in opera. 

Consideriamo poi i traffici commerciali su terra e via mare, che sono sviluppati come mai lo erano stati in precedenza. Le rotte commerciali che si dispiegano su tutti i mari hanno bisogno di una rete di sicurezza che impedisca loro di essere interrotte da guerre o pirateria. Questo viene garantito da un controllo internazionale sui punti nodali dei traffici come Suez, Malacca, Aden e il Mar Rosso o le coste a sud dello Sri Lanka che è ovviamente oggetto di analisi geopolitica . Che dire poi del sistema di produzione globalizzato che permette ad un prodotto ideato negli Stati Uniti di essere realizzato in Cina o in Vietnam per essere poi recapitato via mare ad un acquirente europeo? Quanto la geopolitica entra nelle considerazioni degli investitori internazionali per determinare la locazione di uno stabilimento o l'apertura di un nuovo mercato per loro prodotti? 

Sebbene la conflittualità internazionale sia stata fino a 25 anni fa governata da considerazioni politiche e ideologiche, le guerre del futuro saranno prevalentemente combattute per il possesso e il controllo di beni economici vitali, di risorse necessarie per il funzionamento delle moderne società industriali e per la conquista di mercati di sbocco stabili e regolamentati.

Non necessariamente il conflitto si espliciterà in forma armata ma sarà implicito nella stipula di trattati commerciali internazionali, come il TTIP o il TPP , che vincoleranno le nazioni all'appartenenza a sistemi economici esclusivi, anche se potrebbero altresì essere oggetto di scontro
i territori soggetti al transito delle linee energetiche e logistiche con conseguenti ripercussioni in termini politici, sociali ed economici. (Continua a leggere...)

martedì 6 settembre 2016

Le Nazioni esistono ancora.

Si sono concluse da poco le Olimpiadi di Rio de Janeiro ed abbiamo ancora negli occhi le immagini delle cerimonie di premiazione e delle gare. Abbiamo tutti gioito e sofferto con con gli atleti italiani e alcuni di noi hanno seguito le sorti di atleti stranieri anche per un senso di simpatia verso altre Nazioni. Perché, sebbene le gare si svolgano tra atleti in prima persona, le Olimpiadi sono ancora una competizione tra squadre nazionali. Il Comitato Olimpico Internazionale non riconosce ufficialmente il medagliere per Nazioni ma è quello che per tutti conta per capire chi ha “vinto” le Olimpiadi. Durante la Guerra Fredda la competizione serrata tra USA e URSS ha più volte visto i campi di gara olimpici, e il medagliere, quali terreno di scontro e di rivincite. Oggi sembra essere il turno della Cina ma l'obiettivo è lo stesso: guadagnare prestigio e visibilità internazionale.
Ad oltre cinquecento anni dalla nascita dell'era moderna e del concetto di Stato, le Nazioni continuano ad essere il centro delle Relazioni Internazionali, ad ogni livello. Potrebbe sembrare una difesa appassionata del concetto di Nazionalismo ma è in realtà una fredda presa d'atto. Nazioni in competizione alle Olimpiadi, Nazioni che combattono in Siria e Libia, Nazioni che decidono di lasciare un'unione di Nazioni come è l'UE. Sono i confini nazionali ad essere interessati dai fenomeni di pressione migratoria, sono i bilanci nazionali a soffrire delle crisi economiche, sono nazionali le risposte al terrorismo internazionali. Anche l'Unione Europea è infatti un'associazione volontaria, il caso inglese lo dimostra, ed è fondata sul concetto di interesse nazionale. Dopotutto esiste ancora un Campionato Europeo di calcio in cui le squadre nazionali si affrontano senza neppure che la bandiera europea appaia sulle loro magliette. Gli Stati sono dovuti intervenire per arginare gli effetti della crisi americana scoppiata nel 2008 e del tutto attribuibili al settore bancario privato. In Siria si sta combattendo per mantenere unita una Nazione, in Libia una Nazione si sta dividendo in due. In Europa, l'afflusso di un numero enorme di immigrati mette sotto pressione i sistemi di welfare nazionali, e quindi i bilanci, come anche la munifica Germania ha dovuto ammettere. Sebbene molti concetti mondialisti e transnazionali vengano veicolati quotidianamente attraverso tutti i media, è la rappresentazione attraverso riferimenti locali quella a dare maggior senso alle vite di ognuno. Molte ricerche sociologiche in questi anni hanno dimostrato come con l'avanzare della globalizzazione si sia contemporaneamente verificato un ritorno di interesse verso le comunità locali, per i loro prodotti e le loro specificità. Espressioni come “Made in Italy” o “Made in Germany” sono il portato di una storia che è nazionale e non è replicabile, anche se può essere sfidata dal “Made in Korea” o dal “Made in China” senza averne lo stesso fascino. Le Nazioni si sono formate storicamente, per sedimentazione delle tradizioni, per il permanere di una lingua e di una coscienza comune, dando luogo ad una cultura peculiare, e sebbene questi elementi siano stati sfruttati in senso radicale ciò è potuto avvenire perché sono sentimenti radicati e fondano i valori e molto del senso che diamo alla nostra realtà quotidiana. Le pressioni della Commissione Europea su Nazioni est europee, come Ungheria e Polonia in tema di finanze, di immigrazione e di intromissione politica hanno portato al governo partiti di stampo tradizionalista. In quelle Nazioni il senso di appartenenza nazionale è stato soffocato nell'epoca degli Imperi e nel successivo periodo sovietico e la necessità di affermazione della propria esistenza è quindi più forte. Parimenti nell'Europa comunitaria, la crescita dei partiti detti “antisistema” si accompagna ad una rinascita del sentimento nazionale. E' così in Olanda, in Germania, in Inghilterra ed in Francia.
In Italia lo stesso termine “Nazione” è bandito e inutilizzabile, pena la stigmatizzazione e l'attribuzione di una qualche etichetta come “destrorso”, “nazionalista” o addirittura “fascista”.
Al suo posto viene utilizzato il termine “paese”, forse a causa di una superficiale traduzione di “Country” utilizzato in ambito anglosassone ma con un'accezione decisamente diversa.
Ciò però non vuol dire che media e politici non facciano riferimento all'orgoglio nazionale presente ancora, giustamente, a livello popolare ma ciò avviene solamente quando dall'estero qualcuno fa notare qualche nostra mancanza o per giustificare qualche battaglia del governo contro i mulini a vento europei. In tutti gli altri casi l'Italia non è una Nazione, non deve avere coscienza di sé in quanto entità storica e culturale, è solo un “paese”, un “territorio”, “un'espressione geografica” come ebbe a dire secoli fa il cancelliere austriaco Metternich. Ma i suoi confini esistono e sono fisici, come le Alpi e il mare che circonda la penisola, sono psicologici, come quelli che i cittadini si danno per definirsi rispetto agli stranieri (interni ed esterni), sono culturali, come quelli che tutto il mondo ci riconosce quando ci premia per il nostro cinema, la nostra tecnologia e la nostra arte.
I confini della Nazione sono stati conquistati a spese di enormi fatiche e milioni di morti durante questi 150 anni. E' però vero che è stato difficile imporre un concetto di nazionalità ad una popolazione, come quella italiana, che per secoli ha vissuto rinchiusa in piccoli regni, minuscoli principati, ducati e granducati, regni più o meno controllati da potenze straniere. Così come sta accadendo per le Nazioni est europee citate in precedenza, anche in Italia la politica ha fatto leva sul sentimento nazionale nel periodo 1870-1945. Poi, avendo perso malamente la Seconda Guerra Mondiale conclusasi con una resa incondizionata, ha dovuto rinunciare alla propria autonomia politica, militare e a partire dal 1992 anche economica.
Resta il fatto che ogni Stato ha il potere di imporre le proprie norme solo all'interno dei propri confini, che quindi devono essere certi, garantisce i diritti ai propri cittadini-elettori e può farlo solo all'interno dei propri confini (ricordiamo su tutti il caso dei marò), impone le tasse ai singoli e alle aziende sul proprio territorio, tanto che questi possono decidere di espatriare per cercare condizioni economiche più favorevoli in Nazioni straniere. Salvo poi sentirsi indicare come “gli italiani” una volta trasferitisi.
La presenza dell'Unione Europea, unico esempio nel mondo di cessione quasi totale di sovranità statale, a volte può confondere alcuni circa la permanenza di questi concetti. Se però pensiamo al fatto che non esiste alcuna tassa comune europea, che la Commissione Europea è composta da commissari designati dai singoli governi, che le decisioni importanti a livello continentale vengono prese in consessi multilaterali partecipati sempre e solo dalle stesse Nazioni, Francia, Inghilterra e Germania (e a volte Italia), che le astruse leggi italiane cessano di valere non appena lasciata Ventimiglia o attraversato il Brennero e che l'Inghilterra può decidere di lasciare l'Unione Europea generando il panico a Berlino, Parigi e Roma allora ci rendiamo conto chiaramente che le Nazioni esistono ancora.
E' possibile mantenere un sano sentimento di appartenenza nazionale senza che si trasformi in sciovinismo o ottuso nazionalismo? Si, è possibile a patto di saper ammettere i propri difetti, cercando però di porvi rimedio e di essere consci dei propri pregi senza scadere nell'autocelebrazione. In definitiva, se stai leggendo questo post in italiano, su un blog italiano e i pensieri che ti genera in testa ti parlano in italiano, allora devi prendere atto che ciò che è scritto sulla carta d'identità è vero: “Nazionalità : Italiana”. Per quanto tempo ancora questo sarà vero lo deciderai tu, vivendo, creando, parlando e votando su questa inimitabile porzione di mondo e sotto questo splendido cielo. Italiano.