Si sono concluse da poco
le Olimpiadi di Rio de Janeiro ed abbiamo ancora negli occhi le
immagini delle cerimonie di premiazione e delle gare. Abbiamo tutti
gioito e sofferto con con gli atleti italiani e alcuni di noi hanno
seguito le sorti di atleti stranieri anche per un senso di simpatia
verso altre Nazioni. Perché, sebbene le gare si svolgano tra atleti
in prima persona, le Olimpiadi sono ancora una competizione tra
squadre nazionali. Il Comitato Olimpico Internazionale non riconosce
ufficialmente il medagliere per Nazioni ma è quello che per tutti
conta per capire chi ha “vinto” le Olimpiadi. Durante la Guerra
Fredda la competizione serrata tra USA e URSS ha più volte visto i
campi di gara olimpici, e il medagliere, quali terreno di scontro e
di rivincite. Oggi sembra essere il turno della Cina ma l'obiettivo è
lo stesso: guadagnare prestigio e visibilità internazionale.
Ad oltre cinquecento anni
dalla nascita dell'era moderna e del concetto di Stato, le Nazioni
continuano ad essere il centro delle Relazioni Internazionali, ad
ogni livello. Potrebbe sembrare una difesa appassionata del concetto
di Nazionalismo ma è in realtà una fredda presa d'atto. Nazioni in
competizione alle Olimpiadi, Nazioni che combattono in Siria e Libia,
Nazioni che decidono di lasciare un'unione di Nazioni come è l'UE.
Sono i confini nazionali ad essere interessati dai fenomeni di
pressione migratoria, sono i bilanci nazionali a soffrire delle crisi
economiche, sono nazionali le risposte al terrorismo internazionali.
Anche l'Unione Europea è infatti un'associazione volontaria, il caso
inglese lo dimostra, ed è fondata sul concetto di interesse
nazionale. Dopotutto esiste ancora un Campionato Europeo di calcio in
cui le squadre nazionali si affrontano senza neppure che la bandiera
europea appaia sulle loro magliette. Gli Stati sono dovuti
intervenire per arginare gli effetti della crisi americana scoppiata
nel 2008 e del tutto attribuibili al settore bancario privato. In
Siria si sta combattendo per mantenere unita una Nazione, in Libia
una Nazione si sta dividendo in due. In Europa, l'afflusso di un
numero enorme di immigrati mette sotto pressione i sistemi di welfare
nazionali, e quindi i bilanci, come anche la munifica Germania ha
dovuto ammettere. Sebbene molti concetti mondialisti e transnazionali
vengano veicolati quotidianamente attraverso tutti i media, è la
rappresentazione attraverso riferimenti locali quella a dare maggior
senso alle vite di ognuno. Molte ricerche sociologiche in questi anni
hanno dimostrato come con l'avanzare della globalizzazione si sia
contemporaneamente verificato un ritorno di interesse verso le
comunità locali, per i loro prodotti e le loro specificità.
Espressioni come “Made in Italy” o “Made in Germany” sono il
portato di una storia che è nazionale e non è replicabile, anche se
può essere sfidata dal “Made in Korea” o dal “Made in China”
senza averne lo stesso fascino. Le Nazioni si sono formate
storicamente, per sedimentazione delle tradizioni, per il permanere
di una lingua e di una coscienza comune, dando luogo ad una cultura
peculiare, e sebbene questi elementi siano stati sfruttati in senso
radicale ciò è potuto avvenire perché sono sentimenti radicati e
fondano i valori e molto del senso che diamo alla nostra realtà
quotidiana. Le pressioni della Commissione Europea su Nazioni est
europee, come Ungheria e Polonia in tema di finanze, di immigrazione
e di intromissione politica hanno portato al governo partiti di
stampo tradizionalista. In quelle Nazioni il senso di appartenenza
nazionale è stato soffocato nell'epoca degli Imperi e nel successivo
periodo sovietico e la necessità di affermazione della propria
esistenza è quindi più forte. Parimenti nell'Europa comunitaria, la
crescita dei partiti detti “antisistema” si accompagna ad una
rinascita del sentimento nazionale. E' così in Olanda, in Germania,
in Inghilterra ed in Francia.
In Italia lo stesso
termine “Nazione” è bandito e inutilizzabile, pena la
stigmatizzazione e l'attribuzione di una qualche etichetta come
“destrorso”, “nazionalista” o addirittura “fascista”.
Al suo posto viene
utilizzato il termine “paese”, forse a causa di una superficiale
traduzione di “Country” utilizzato in ambito anglosassone ma con
un'accezione decisamente diversa.
Ciò però non vuol dire
che media e politici non facciano riferimento all'orgoglio nazionale
presente ancora, giustamente, a livello popolare ma ciò avviene
solamente quando dall'estero qualcuno fa notare qualche nostra
mancanza o per giustificare qualche battaglia del governo contro i
mulini a vento europei. In tutti gli altri casi l'Italia non è una
Nazione, non deve avere coscienza di sé in quanto entità storica e
culturale, è solo un “paese”, un “territorio”,
“un'espressione geografica” come ebbe a dire secoli fa il
cancelliere austriaco Metternich. Ma i suoi confini esistono e sono
fisici, come le Alpi e il mare che circonda la penisola, sono
psicologici, come quelli che i cittadini si danno per definirsi
rispetto agli stranieri (interni ed esterni), sono culturali, come
quelli che tutto il mondo ci riconosce quando ci premia per il nostro
cinema, la nostra tecnologia e la nostra arte.
I confini della Nazione
sono stati conquistati a spese di enormi fatiche e milioni di morti
durante questi 150 anni. E' però vero che è stato difficile imporre
un concetto di nazionalità ad una popolazione, come quella italiana,
che per secoli ha vissuto rinchiusa in piccoli regni, minuscoli
principati, ducati e granducati, regni più o meno controllati da
potenze straniere. Così come sta accadendo per le Nazioni est
europee citate in precedenza, anche in Italia la politica ha fatto
leva sul sentimento nazionale nel periodo 1870-1945. Poi, avendo
perso malamente la Seconda Guerra Mondiale conclusasi con una resa
incondizionata, ha dovuto rinunciare alla propria autonomia politica,
militare e a partire dal 1992 anche economica.
Resta il fatto che ogni
Stato ha il potere di imporre le proprie norme solo all'interno dei
propri confini, che quindi devono essere certi, garantisce i diritti
ai propri cittadini-elettori e può farlo solo all'interno dei propri
confini (ricordiamo su tutti il caso dei marò), impone le tasse ai
singoli e alle aziende sul proprio territorio, tanto che questi
possono decidere di espatriare per cercare condizioni economiche più
favorevoli in Nazioni straniere. Salvo poi sentirsi indicare come
“gli italiani” una volta trasferitisi.
La presenza dell'Unione
Europea, unico esempio nel mondo di cessione quasi totale di
sovranità statale, a volte può confondere alcuni circa la
permanenza di questi concetti. Se però pensiamo al fatto che non
esiste alcuna tassa comune europea, che la Commissione Europea è
composta da commissari designati dai singoli governi, che le
decisioni importanti a livello continentale vengono prese in consessi
multilaterali partecipati sempre e solo dalle stesse Nazioni,
Francia, Inghilterra e Germania (e a volte Italia), che le astruse
leggi italiane cessano di valere non appena lasciata Ventimiglia o
attraversato il Brennero e che l'Inghilterra può decidere di
lasciare l'Unione Europea generando il panico a Berlino, Parigi e
Roma allora ci rendiamo conto chiaramente che le Nazioni esistono
ancora.
E' possibile mantenere un
sano sentimento di appartenenza nazionale senza che si trasformi in
sciovinismo o ottuso nazionalismo? Si, è possibile a patto di saper
ammettere i propri difetti, cercando però di porvi rimedio e di
essere consci dei propri pregi senza scadere nell'autocelebrazione.
In definitiva, se stai leggendo questo post in italiano, su un blog
italiano e i pensieri che ti genera in testa ti parlano in italiano,
allora devi prendere atto che ciò che è scritto sulla carta
d'identità è vero: “Nazionalità : Italiana”. Per quanto tempo
ancora questo sarà vero lo deciderai tu, vivendo, creando, parlando
e votando su questa inimitabile porzione di mondo e sotto questo
splendido cielo. Italiano.
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