Con la sua decisione del
6 dicembre del 2017, Donald Trump ha lanciato un enorme masso nello
stagno fin troppo calmo del dibattito internazionale sulla questione
israelo-palestinese.
Dopo gli annunci di
almeno tre presidenti, Clinton, Bush jr e Obama, Trump è infatti
passato all'azione dichiarando che gli USA sposteranno la loro
ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme.
Questa decisione ha
aperto il vaso di Pandora che contiene tutte le forze regionali, e
mondiali, interessate alle sorti della città delle "religioni
del Libro".
Il punto infatti è
focale negli equilibri geopolitici della regione, e di riflesso, del
mondo, poichè la città è contemporaneamente sacra per le tre
maggiori religioni monoteistiche, è contesa (e divisa) tra Israele e
l'Autorità Nazionale Palestinese (ANP), ognuna delle quali la vuole
come propria capitale, ed è oggetto di forte interesse da parte
delle maggiori potenze regionali: Arabia Saudita, Turchia ed Egitto
(sunnite) ed Iran (sciita). A livello mondiale, sono interessate alle
sorti della città anche l'Europa (nella sua accezione più ampia,
quella religioso-culturale), la Russia e ovviamente gli USA.
Ripercorrere l'intera
storia della contesa, a partire dal 1948, anno della fondazione
d'Israele non è qui possibile, ma possiamo almeno delineare alcune
delle conseguenze che una decisione come questa può generare.
Prima è però necessario
ricordare che il 21 dicembre, due settimane dopo la decisione di
Trump, l'assemblea delle Nazioni Unite ha votato massicciamente (128
voti a favore, 35 astenuti e 9 contrari ) una risoluzione dell'Egitto
che chiedeva di rifiutare la decisione presa dal Presidente
Americano1.
Sicuramente Trump e la sua amministrazione erano preparati ad un
esito simile, cionondimeno è stato uno schiaffo in pieno volto agli
USA da parte di quella "comunità internazionale" che molte
volte si è accodata a ratificare le decisioni già prese da
Washington.
L'ambasciatrice all'ONU,
Nicky Haley, ha tuonato contro i "traditori" minacciando
rappresaglie economiche, ma questa volta è diverso. Accettare e
condividere quella decisione, provvedendo a propria volta spostando
la propria ambasciata, è una decisione che nessuna Nazione può
prendere a cuor leggero e senza timore di riflessi negativi.
Lo status di Gerusalemme
è ad oggi ancora conteso e, sebbene Israele dal 1967 abbia il
controllo, di fatto, della città e in essa siano situati i palazzi
governativi, questa è ancora divisa in un settore Est, a maggioranza
palestinese e uno Ovest, quasi totalmente abitato da israeliani.
Nonostante Israele la ritenga la propria capitale, tutte le
ambasciate internazionali sono situate a Tel Aviv , o nei suoi
dintorni, poichè sulla proclamazione di Gerusalemme capitale
d'Israele pesano le risoluzioni emesse dall'ONU a seguito della
"guerra dei sei giorni" del 1967 e ancora prima, con la
risoluzione 181 del 1947 (Gerusalemme come entità separata e
amministrata dall'ONU). Questa situazione è ben identificata dal
fatto che, sulle mappe ufficiali dell'ONU, nè Tel Aviv nè
Gerusalemme siano indicate come città sede di governo, il che rende
Israele forse l'unico paese al mondo senza una capitale
riconosciuta2.
Aggiungiamo anche che
questo paese non si è ancora dato una costituzione scritta
(particolare condiviso con la sola Gran Bretagna), per una serie
piuttosto importante di motivi:
innanzitutto poichè i
confini dello Stato non sono definiti nè tanto meno riconosciuti
internazionalmente da tutte le Nazioni, in secondo luogo poichè
quasi metà del territorio che Israele reclama come suo, è in realtà
occupato militarmente, in terzo luogo poichè è lo status stesso di
"cittadino israeliano" ad essere di difficile definizione
poichè dovrebbe ricomprendere anche le centinaia di migliaia di
palestinesi (cristiani e musulmani) che abitano all'interno dei
confini da esso amministrati, ma questo confligge con l'intento di
ogni governo israeliano di proclamare Israele uno stato "ebraico",
ovvero culturalmente e religiosamente omogeneo.
Aggiungiamo, come detto,
che Gerusalemme è la città in cui il Cristo è morto, è stato
sepolto ed è resuscitato, la città dalla quale Maometto è salito
al cielo, è la città dove risedeva il Grande Tempio ebraico
(distrutto e ricostruito a più riprese durante i secoli), di cui il
"muro del pianto" è una parte.
A causa di questo suo
essere "Città Santa" per le principali religioni del
bacino del mediterraneo, è alto l'interesse delle potenze dell'area.
l'Arabia Saudita, già custode della Mecca e di Medina, città natale
di Maometto, la Turchia, protrettrice per quasi mezzo secolo della
città e dell'intera Palestina, l'Iran, il più grande paese sciita
del medioriente e l'Egitto, il più grande paese sunnita non possono
permettere che quella città cada completamente in mani ebraiche
senza suscitare malcontento all'interno della propria cittadinanza.
Basti pensare alle proteste di piazza avvenute a migliaia di
chilometri di distanza, a Jakarta, in Indonesia, il più popoloso
paese islamico dell'Asia, per farsi un'idea del livello di interesse
sul tema da parte delle popolazioni musulmane.
Ognuna di queste potenze
ha inoltre tessuto una serie di alleanze con gruppi e partiti
politici sia in Palestina, come Hamas e la stessa Al Fatah ( il
partito a cui fa capo Abu Mazen, presidente dell'ANP), che nel vicino
Libano, come Hezbollah, per reciproco interesse e per mantenere ed
accrescere il proprio peso in Palestina e attorno ad essa.
Posso comprendere che
sembri tutto molto confuso sinora, ma in realtà lo è molto di più.
Gerusalemme è la chiave
di volta di un'architettura molto complessa che ha alcuni risvolti
palesi ed altri molto sofisticati e difficili da riconoscere
nell'immediato.
Bisogna infatti
analizzare la situazione mediorientale sotto tutti i diversi aspetti
che la caratterizzano, religioso, culturale, militare, economico,
politico e non è detto che quello che , tra questi, sembri essere un
mezzo, non sia in realtà un fine e viceversa.
Se il punto focale della
guerra del 1967 era l'inaccettabile presenza dello stato di Israele
in Palestina da parte dei suoi vicini, Siria, Giordania ed Egitto in
primis, oggi è la presunta "minaccia iraniana" a far da
catalizzatore alle alleanze tra potenze nell'area mediorientale. La
questione di Gerusalemme e della Palestina in generale, è un tema
che i diversi governi iraniani, a partire dalla rivoluzione islamica
del 1979, hanno sempre mantenuto vivo ed è un punto indiscutibile
della politica estera persiana. Per l'Iran , infatti, dipingersi come
difensore dei luoghi santi dell'Islam che non siano già sotto
l'egida di altri paesi come l'Arabia, è un potente mezzo di
fascinazione per le masse islamiche mediorientali. In questi anni, i
contatti tra l'Iran ed Hamas (partito opposto ad Al Fatah e che
governa Gaza), sebbene divisi da una diversa interpretazione
dell'Islam (sciiti i primi, sunniti i secondi) sono stati più volte
messi in luce come veri o presunti, ma anche l'Egitto (sunnita
anch'esso) ha da diverso tempo iniziato a guardare con favore al
governo di Tehran. Gli scambi economici iraniani con la Turchia sono
al massimo storico ( 5 mld $ di interscambio nel 2016) e così le
relazioni diplomatiche, mentre sono al minimo storico quelle di
Ankara con Tel Aviv , a causa dell'abbordaggio della nave "Mavi
Marmara" del 2010, e di altri duri scontri tra Erdogan e il
governo israeliano, accusato di essere addirittura tra i mandanti del
mancato colpo di stato in Turchia del 2015.
L'Iran ha storicamente un
forte legame con la Siria (entrambe condividono la fede sciita), che
lo ha portato al coinvolgimento diretto, sebbene parzialmente
coperto, nelle operazioni militari in quel paese a fianco dei russi.
Assieme a questi due grandi attori, in Siria, è stato determinante
l'apporto militare e di intelligence fornito da Hezbollah, il
"partito di Dio" , di fede sciita, che in Libano è parte
integrante della compagine di governo e pilastro della difficile
stabilità interna di quel paese.
Come si vede, Israele,
ritiene di avere un pressante "problema iraniano" e questo
lo ha portato ad una serie di mosse internazionali tra le quali la
più eclatante è l'avvicinamento all'Arabia Saudita, ritenuto
storicamente improponibile sino a qualche anno fa. La casa di Saud
condivide con Tel Aviv il timore dell'espansionismo persiano nella
regione e ha denunciato più volte il pericolo di una "mezzaluna
sciita" che parte da Tehran, passa dal Qatar, attraversa l'Iraq
del sud e la Siria e termina in Libano.
Questo scenario è
propedeutico al controllo politico su quei territori che potrebbero
essere interessati al passaggio dei metanodotti in partenza dall'Iran
per sboccare sul mediterraneo ed infine in Europa, ponendo un grande
problema alle esportazioni petrolifere saudite e rendendo
economicamente fortissimo lo stato iraniano. L'idea che questa forza
si materializzi, terrorizza Israele, e il continuo susseguirsi di
governi di destra e ultradestra in quel paese ne sono un chiaro
segnale. Negli ultimi dieci anni sono state fatte importanti scoperte
di giacimenti off-shore di gas anche al largo delle coste di Gaza,
Libano e Cipro, con alcune propaggini anche in acque territoriali
israeliane3.
E' quindi ovvio che anche Israele voglia entrare nel ricco mercato
del gas dei prossimi decenni e che una forte presenza iraniana sia un
deciso impedimento a farlo.
L'Iran ha 70 milioni di
abitanti, possiede le seconde riserve al mondo di gas naturale,ha
probabilmente il terzo esercito dell'area (dopo appunto Israele e
Turchia) ed una forte influenza culturale e linguistica in tutta
l'asia centrale sino ai confini di Russia ed India. Il suo programma
nucleare, sebbene implementato secondo i dettami del Trattato di Non
Proliferazione Nucleare (NPT) , sotto l'occhio vigile delle Nazioni
Unite e approvato tanto dagli USA che dall'Europa, spaventa i governi
israeliani poichè, in potenza, può permettere a quella Nazione di
dotarsi di un deterrente nucleare militare e poter quindi resistere
alle pressioni internazionali.
Se vogliamo, la questione
nucleare della Nord Korea, con la quale l'Iran ha un fitto
interscambio militare e commerciale (potremmo riduttivamente
definirlo "Oil for Missiles"), ha evidenziato come il
possesso dell'arma nucleare permetta a stati ritenuti "canaglia"
dagli USA, di fornirsi di una "garanzia sulla vita". Gli
esempi di Iraq, Siria e Libia, che negli anni 70-80 hanno tentato di
costruire armi atomiche, senza riuscirvi anche a causa
dell'intervento americano e israeliano, rappresentano di contro un
triste promemoria di quanto può avvenire a voler contrastare gli
Stati Uniti, e il loro sistema, senza possedere almeno una minima
deterrenza nucleare (la Siria per anni ha ripiegato sulle armi
chimiche, salvo rendersi conto della loro inutilizzabilità senza
scatenare la riprovazione internazionale).
L'ANP, guidata da Abu
Mazen si trova forse nella posizione più difficile, messa in
difficoltà dalla fermezza di Hamas nel rifiutare lo scenario
proposto da Trump e dalla probabile mancanza di appoggio da parte
saudita (con i suoi ingenti capitali). Il fatto che le sollevazioni
di piazza in Palestina siano state limitate, anche se rese tragiche
dalla reazione israeliana, può segnalare la parziale tenuta del
governo di Al-Fatah in Cisgiordania, ma il lancio di razzi dalla
striscia di Gaza indica che c'è ancora spazio per un'escalation se e
quando la decisione di Trump diverrà effettiva.
Gli Stati Uniti, sino ad
oggi ritenuti mediatori nella questione israelo-palestinese, con la
decisione di Trump, perdono eticamente questo status, avendo propeso
per la parte israeliana e non sarebbe affatto strano se, a questo
punto, alcune parti in causa si rivolgessero alla Russia per aiutarle
a dirimere la situazione a loro favore. D'altronde in molti paesi
arabi l'intervento russo in Siria è stato visto come un elemento di
stabilità opposto al piano di spartizione della regione da parte
delle forze occidentali. Inoltre la Russia ha già un peso nella
politica interna israeliana, sebbene solo di natura etnico-culturale,
essendo uno dei partiti al governo (quello guidato da Avigdor
Lieberman) voce proprio di quel quasi 4% di cittadini ebrei ora in
Israele ed espatriati dalla Russia negli ultimi 70 anni.
Queste sono alcune delle
probabili conseguenze del gesto del Presidente americano, anche se
ciò non dovesse portare nei fatti all'effettivo spostamento
dell'ambasciata da Tel Aviv.
Siamo partiti da
Gerusalemme e siamo finiti a Tehran, a Damasco, a Istanbul, a Ryad,
Mosca e Washington. Possibile?
Non solo, è
imprescindibile. Anche se solo vagamente, abbiamo esplorato l'aspetto
economico e militare dei rapporti tra le potenze in campo ma nessuno
di essi è il vero obiettivo della disputa.
Il conflitto, al suo
livello più alto è culturale e in primis religioso.
I luoghi santi del
Cristianesimo e dell'Islam sono tutti situati nella città vecchia,
ovvero a Gerusalemme Est, ed infatti lo Stato del Vaticano ha
specifici accordi bilaterali con l'ANP per la conservazione di quei
luoghi ed è da sempre per una soluzione di condivisione della città
da parte dei due popoli. I rapporti con lo Stato di Israele, per
quanto concerne la tutela sull'eredità cristiana, sono invece più
problematici e potrebbero peggiorare a seguito di un controllo
giuridico riconosciuto sull'intera città da parte degli israeliani.
Per il mondo musulmano è
invece la Cupola della Roccia, la Moschea di Omar, ad essere al
centro delle proprie preoccupazioni poichè, essa sorge proprio al di
sopra della roccia, appunto, dalla quale Maometto è, secondo il
Corano, è salito al cielo chiamato da Allah. Quella stessa roccia è
però la stessa sulla quale si presume che Abramo abbia offerto
Isacco in sacrificio a Dio e l'intero complesso è stato costruito
nel settimo secolo sopre le rovine del grande tempio ebraico, nel
luogo in cui già sorgeva quello eretto dal Re Salomone.
Il timore dei musulmani è
che gli studiosi di religione ebraica possano scavare al disotto
della Moschea proprio per ritrovare le tracce del tempio con
possibili rischi di stabilità della struttura.
A dire il vero quest
ultimo è un aspetto secondario e forse strumentale, poichè il vero
punto è la millenaria attesa dei fedeli ebraici per riveder
costruito il tempio e con esso il dispiegarsi delle profezie bibliche
sul ritorno di Dio e la sua imposizione di Israele "a capo delle
Nazioni della Terra".
Potrebbe sembrare
complottismo o parte della trama di un film di fantapolitica ma non
lo è.
In quanto europei, siamo
stati portati a pensare la religione sia un fatto personale, la cui
manifestazione non debba influire sulla "laicità" della
società così da garantire a tutti di professare la propria fede ( o
ateismo, in caso contrario) liberamente. Questo modo di interpretare
il ruolo della religione nella società è però proprio frutto della
dottrina cristiana sul continente europeo, una dottrina che sin dal
suo fondatore, il Cristo, ha fatto della separazione tra Chiesa e
Stato, tra immanente e trascendente, un suo principio basilare, così
come l'altro principio politicamente molto importante, quello del
libero arbitrio.
"Date a Cesare quel
che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio" è scritto nel
Nuovo Testamento, e ciò, insieme alla possibilità di scegliere se
credere o meno a un essere superiore, ha permesso nei secoli alla
dottrina politica di percorrere un sentiero autonomo rispetto alla
speculazione religiosa. Per i motivi opposti, nel mondo musulmano
questa autonomia non è stata possibile e religione e politica hanno
attraversato questi dodici secoli di Storia a braccetto sino ad oggi,
con l'apparire sulla scena dell'ISIS, una sorta di nuovo califfato in
cui la religione è politica e tramite essa detta le sue dure norme
alla società.
Nell'Islam politico si
riflette la stessa sottomissione dovuta all'Islam religioso (Islam in
arabo significa appunto sottomissione) e la prova di questo legame
stringente è riscontrabile in Arabia Saudita, in Iran, in Marocco e
lo sta diventando progressivamente anche in Turchia.
In Israele la società è
nominalmente laica ma le minoranze ortodosse come Haredim,
Lubavitcher e Chassidim provenienti dall'est Europa hanno un peso
rilevante. Tanto per farsi un'idea, in questi giorni in Israele i
temi dominanti sono le polemiche per le immagini senza donne di
famiglie ultraortodosse Haredi , e la loro richiesta di chiudere i
supermercati nei quartieri in cui sono maggioranza durante il sabato,
lo Shabbat ebraico, che sta creando qualche problema al governo
Nethanyau4.
Il peso degli
ultraortodossi sta crescendo politicamente e ciò ha orientato le
azioni dei governi israeliani degli ultimi quindici anni. Se
consideriamo i forti legami che queste denominazioni religiose hanno
con le comunità in America (Negli Stati Uniti vivono circa 7 milioni
di persone professanti la religione ebraica), la centralità che la
religiosità americana (specialmente quella protestante evangelica)
assegna all'Antico Testamento e all'interesse al mantenimento di una
"testa di ponte" filo-occidentale e democratica in
medioriente, capiamo bene come la mossa di Trump rappresenti la
perdita di un ruolo di terzietà non solo nella questione
israelo-palestinese e mediorientale in generale, ma anche in quella,
più sfumata e sottile dell'appartenenza religiosa.
La scelta di Trump
dichiarare, per gli USA, Gerusalemme "Capitale Eterna degli
Ebrei" risponde quindi alla necessità di accontentare
contemporaneamente la base ultrareligiosa in USA, e le frange più
influenti e radicali dell'ebraismo ortodosso, che hanno pesato molto
nella sua elezione ma non è una scelta politica di breve respiro o
meramente elettoralistica. E' un cambio di paradigma rispetto alla
cautela Obamiana (che le èlite israeliane hanno interpretato come
ostilità) o la diplomazia Clintoniana (distrutta poi dalle mosse
spregiudicate di Sharon).
E' una decisa scelta di
campo che orienterà la politica americana nei confronti di Israele
per i decenni a venire e probabilmente impedirà un ritorno alle
trattative di pace per molto tempo, sebbene il Presidente a mericano
affermi che sia un ulteriore passo verso la fine definitiva delle
ostilità. Sulla ripartizione dei benefici di una pace raggiunta con
un negoziato a somma zero (ovvero: uno vince e l'altro perde)
permangono forti dubbi; un passo di questa portata può portare alla
rottura di una certa cautela (certo , molto vaga) dei governi
israeliani a spingersi ancora più in là e rivendicare con ancora
più forza i territori occupati come parte integrante e legittima del
proprio Stato, e le prime avvisaglie sono già sui nostri
quotidiani5.
Gerusalemme, da secoli
città al centro di scontri, di guerre, di speranze e di attese.
Contesa e divisa, bramata
e desiderata, libera e occupata.
Gerusalemme, città
celeste, Gerusalemme città di tutti noi.
Tutti.
NOTE:
1 http://www.abc.net.au/news/2017-12-22/un-votes-to-reject-trump-push-to-move-capital-to- jerusalem/9281268
2 http://www.un.org/Depts/Cartographic/map/profile/israel.pdf
3https://www.reuters.com/article/us-israel-natgas-leviathan/leviathan-gas-field-developers-approve-3-75-billion-investment-idUSKBN1620OS
4https://www.ynetnews.com/home/0,7340,L-3083,00.html
5http://www.lastampa.it/2018/01/01/esteri/il-partito-di-netanyahu-chiede-lannessione-degli-insediamenti-israeliani-in-cisgiordania-s2JgT3sWYgiaxibNnWQS3O/pagina.html
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