Perchè Ordine e Progresso?

Il Blog prende il nome dal motto inscritto sulla bandiera del Brasile e mutuato da un'aforisma di Auguste Comte.
Questi, uno dei padri della Sociologia, era una convinto positivista, il che nel 1896 lo rendeva anche un progressista.
L'importante è , come infatti Comte mette al primo punto, che l'Amore sia sempre il principio cardine dell'Agire.


L'Amore per principio e l'Ordine per fondamento;il Progresso per fine

Auguste Comte ,1896

giovedì 25 gennaio 2018

Senta, dica, scusi....


Qual è il termine più corretto per definire chi è altro da noi, chi è straniero per nazionalità, etnia, religione e cultura, in tempi di “politicamente corretto”?
La definizione di straniero alla quale mi riferisco, non include i popoli dell'Europa occidentale, poiché da decenni non pongono sfide alla società italiana, ma solo quelli dell'area extra-europea, che progressivamente hanno permeato la società italiana.
Sul tema di come trattare l'alterità rispetto alle persone appartenenti ad altre etnie, culture e religioni, forse non tutti siamo consci di quanto le nostre coscienze in questi decenni siano state influenzate dai “maestri del discorso”, per dirla con un'espressione molto in voga.
I termini che utilizziamo per definire oggetti e concetti astratti, influenzano essi stessi il nostro modo di pensare, in una sorta di retroazione che può essere negativa o positiva. Questa diviene positiva se permette , conoscendo più termini, di articolare un pensiero complesso e definire in maniera più precisa l'oggetto di una discussione o di una dimostrazione. Diviene invece negativa quando la ripetizione continua di determinati termini, modi di dire, stereotipi e slogan, impedisce la ricerca della sfumatura e prende il posto di intere categorie di pensiero,scalzando le altre e relegandole nell'oblio.
Parlando di immigrazione, e soprattutto di immigrati, è sorto il problema di come definire lessicalmente, univocamente, tutti i “tipi di straniero” presenti in Italia.
Ciò è avvenuto attraverso una articolata, ma continua, riscrittura dei codici lessicali, semantici e, di riflesso, sociali. I media sono stati il principale veicolo di questo cambiamento, e la popolazione ha assunto a volte il ruolo di precursore ed altre quello di assimilatore passivo.
Facciamo una brevissima cronistoria dei termini utilizzati in questi ultimi 50 anni.
Negli anni 60 l'immigrazione era l'ultima delle preoccupazioni dell'Italia del boom. Gli stranieri erano pochi e concentrati in piccole comunità coese, come nel caso di etiopi e somali a Roma o tunisini in Sicilia. Non esisteva un termine comune per indicarli se non appunto “straniero”. Diversamente, venivano indicati per nazionalità.
Negli anni 70, poi, l'epiteto con cui venivano tacciati gli stranieri, non europei, divenne “marocchino”. In quel periodo l'immigrazione straniera era un fenomeno molto controllato. La comunità più ampia era quella nordafricana, maghrebina in particolare, ma nelle città la sua visibilità era limitata. La distribuzione era concentrata particolarmente nei grandi centri del nord, nella capitale e al sud. L'immagine più rappresentata al tempo era quella del venditore di tappeti e carabattole, ai mercati o in strada, ai semafori.
Negli anni 80 l'immigrazione nordafricana aumenta costantemente, e gradualmente vi si aggiunge quella subsahariana, specialmente al sud, attirata e sfruttata dal lavoro agricolo.
Il nome che viene dato agli stranieri diviene “vuccumprà” , tormentone ripetuto all'eccesso e ispirato ai venditori ambulanti, senegalesi o marocchini, sulle spiagge italiane.
Negli anni 90 è l'ora dell'immigrazione dall'est Europa, Albania ed ex Jugoslavia in primis, ma anche Russia e Polonia. Abbiamo ancora negli occhi le navi cariche dei profughi in arrivo dalla costa albanese, e i profughi bosniaci in fuga, e la loro successiva redistribuzione nelle città italiane. Il termine usato per indicare uno straniero diviene ora “extra-comunitario”. L'ingresso dell'Italia nell'Europa ha imposto una sorta di neutralità lessicale alla condizione di straniero in Italia, includendo tutte le nazionalità nel frattempo arrivate in Italia. L'Italia si popola delle etnie più varie e in maniera pressoché omogenea. Queste si distribuiscono lungo lo stivale in maniera piuttosto uniforme, concentrandosi nei centri manifatturieri. Nasce una seconda, e in alcuni casi terza, generazione di immigrati-italiani, ma iniziano a nascere anche formazioni politiche, specialmente al nord, dichiaratamente xenofobe.
Il tema dell'immigrazione attraversa tutti gli anni 90 e viene rappresentato dai media in tutte le sue forme, tanto positive quanto negative; la raccolta dei pomodori al sud, lo spaccio nelle grandi città, le rapine in villa nel nordest, le moschee nei garage e via discorrendo. Gli stranieri diventano un tema stabile del dibattito politico ed il punto sull'immigrazione diventa dirimente nel programma di tutti i partiti. L'Italia scopre di essere diventato un paese di immigrazione e si accorge di non avere una legge adeguata in materia. Tra applausi e fischi nasce la Bossi-Fini. Lo straniero diventa “clandestino” nella vulgata comune, ma il termine “extra-comunitario” permane. Lo scontro ideologico, residuo della guerra fredda mentale che tarda a svanire, diventa lessicale. A destra si usa il primo termine, a sinistra il secondo, ma anche “immigrato”o , ancora timidamente, “profugo”.
Gli anni 2000 sono quelli del terrorismo spietato ed assassino, del jihadista armato di AK47 che spara tra la folla o si fa esplodere. I media hanno fatto ampio ricorso a questa immagine e così anche qualche governo, radicalizzandola e fissandola Lo straniero di fede islamica viene ora identificato spregiativamente come “terrorista”, o anche solo come “talebano”. Bulgaria, Croazia, Slovenia e Romania entrano nell'UE, i loro cittadini hanno libero accesso in Italia e il loro numero aumenta. Per molti, e per i media in primis , diventano gli “Slavi” o i “Rom”, andando a completare un vocabolario sempre più ampio di termini con cui poter definire la propria relazione con un altro di un etnia o cultura differente.
La morte di Gheddafi e la conseguente dissoluzione della Libia prima e la guerra in Siria poi, hanno dato il via alla stagione dei “migranti”. Questo periodo ha visto il fiorire di nuovi termini, nuove immagini mentali da associare allo straniero; “rifugiato”, “profugo”, “migrante economico”, ”richiedente asilo”.
Ognuno di questi termini è nato grazie ai media, e da questi è stato fortemente veicolato. Ciò ha disegnato negli anni gli scenari dell'immaginario collettivo sul tema dell'immigrazione e degli immigrati in particolare. Oggi pare si voglia porre un freno a questo proliferare di immagini mentali create dalle parole, utilizzando tecniche di Programmazione Neuro Linguistica che sfiorano la demonizzazione e la censura. Una sorta di reset lessicale, che faccia svanire d'incanto ogni accezione negativa, discriminatoria, allusiva, stigmatizzante da un termine universale per definire un “altro non italiano/europeo”. La distinzione bianco/nero è fumo negli occhi ed anche riduttiva. Anche l'identificazione con l'etnia, molto utilizzata dai media nei casi di cronaca, è tacciata di “razzismo”. Se volessimo poi aprire una parentesi sullo stesso termine “razzismo”, non potremmo non partire dal chiederci se lo stiamo utilizzando in maniera corretta o non sia invece diventato, anch'esso, un termine onnicomprensivo, una facile etichetta con cui identificare tutto ciò che non si dovrebbe fare o dire nei confronti dell'altro. Ad un certo punto della riflessione dovremmo, inderogabilmente, scontrarci con i limiti da imporre a questo termine e qui sorgerebbero problemi di ogni natura. Non dobbiamo dimenticare di possedere un “etnocentrismo” innato che è radicato nel profondo di tutti noi e che ci rende familiare e interpretabile l'ambiente in cui viviamo. Detto in parole povere, un tedesco pensa primariamente come un tedesco, un italiano come un italiano ed entrambi si vedono come europei nei confronti di un americano. Per ognuno di essi gli altri sono stranieri, agiscono, pensano, mangiano e vivono in un modo differente, ma sono tutti occidentali di fronte ad un giapponese. In ognuna di queste nazioni, vige una cultura prevalente che è frutto dei secoli e che ha lasciato dietro di sé diverse “interpretazioni del mondo” e di chi, storicamente, non era membro della propria comunità. La nostra, ad esempio, si porta dietro una stratificazione storica, sociale, culturale, etnica e linguistica di tre millenni. Anche nei paesi più giovani come i liberali, ed etnicamente variegati, Stati Uniti, l'uso di epiteti negativi per riferirsi agli stranieri è molto diffuso. Gli stessi neri americani si offendono tra di loro chiamandosi “Nigga”, negro, come il termine dato loro all'epoca delle piantagioni e dello schiavismo.
E' quindi realmente possibile eliminare del tutto una caratterizzazione di qualsiasi natura da un termine per indicare l'altro? Lo stesso termine “straniero” non è sufficiente? E' esso stesso un termine da cancellare? Ogni nazione è dotata di leggi che definiscono chi ne è cittadino, sulla scorta dell'esperienza storica, dei confini politici, della cultura. Queste leggi , però, quasi mai definiscono come debbano essere chiamati quelli che non sono cittadini di quella nazione. Dobbiamo venire a patti con il fatto che la diversità esiste e va indicata in qualche modo, e che questo modo è influenzato da una cultura sottostante che non è possibile trascurare. L'elemento identitario si manifesta in ogni organizzazione sociale e stabilisce, de facto, un dentro e un fuori, un “noi” e un “loro”. Un termine per definire chi quel noi non identifica, nasce spontaneo. Dobbiamo evitare gli eccessi verbali, violenti e discriminatori per definire l'altro, ma non possiamo svuotare le parole del loro significato. Non possiamo identificare un mondo vario e sfumato come il nostro con alcune semplici paroline neutre e con ambiti semantici sterminati. Deve essere permesso un limite massimo ed uno minimo oltre il quale ricadere nell'accusa di “imprecisione lessicale e semiologica nei confronti di un individuo altro”. L'etichettatura sembra, come detto, un po' la cifra del momento. Semplifica, velocizza, minimizza il numero di parole ed amplifica l'ambito di riferimento. A livello verbale rappresenta ciò che è un emoticon su un cellulare. Ce l'abbiamo una faccina per indicare uno straniero “politicamente corretto?




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