Perchè Ordine e Progresso?

Il Blog prende il nome dal motto inscritto sulla bandiera del Brasile e mutuato da un'aforisma di Auguste Comte.
Questi, uno dei padri della Sociologia, era una convinto positivista, il che nel 1896 lo rendeva anche un progressista.
L'importante è , come infatti Comte mette al primo punto, che l'Amore sia sempre il principio cardine dell'Agire.


L'Amore per principio e l'Ordine per fondamento;il Progresso per fine

Auguste Comte ,1896

domenica 5 dicembre 2021

Non stuzzicare l'Orso che Non Dorme.



Martedì 7 Dicembre Putin e Biden hanno avuto un colloquio in videoconferenza per discutere, principalmente, sulle sorti dell'Ucraina. Nel momento in cui scrivo, questo non è ancora avvenuto, ma è possibile ipotizzare quali saranno le dichiarazioni che verranno rilasciate: gli USA si diranno risolutamente contro ogni "ingerenza" o "aggressione" russa nei confronti di Kiev, mentre la Russia affermerà che non ha alcuna intenzione di invadere il suo ex alleato ma non tollererà che esso entri a far parte della NATO. Forse, in linea di principio, hanno entrambe ragione, ma la realtà geopolitica è che con l'eventuale annessione dell'Ucraina (e della Georgia) da parte della NATO, questa completerebbe l'accerchiamento del confine occidentale del gigante russo. Ovviamente i russi non possono permetterlo per ragioni di sicurezza nazionale e faranno di tutto perchè ciò non avvenga. Per farlo hanno diverse carte da giocare: la Siria, la Libia, le forniture energetiche all'Europa, il rapporto speciale con la Cina, il sempre più stretto rapporto con l'Iran, mentre gli USA non sembrano averne altrettante. I russi hanno infatto scelto di propugnare i principi cardine della Carta dell'ONU (in primis il principio di non ingerenza e quello di sovranità sorto con la pace di Westfalia del 1648) come fondamento della loro azione diplomatica, gli americani stanno invece cercando di aggirare, se non distruggere, l'equilibrio stabilito al termine della II Guerra Mondiale, con azioni unilaterali come l'invasione di altre nazioni senza dichiarazione di guerra e stracciando tutti gli accordi sugli armamenti convenzionali e nucleari, faticosamente raggiunti durante la Guerra Fredda. La settimana scorsa i Capi di Stato Maggiore dei rispettivi eserciti si sono già confrontati, nel tentativo di "raffreddare" le tensioni, ben consci di quali scenari apocalittici possano scaturire da un confronto diretto, mentre non sono più possibili confronti tra europei e russi, avendo i primi rotto ogni rapporto diplomatico serio con i secondi. Ciò non è un bene, poichè ogni capitale europea è a portata dei missili (anche solo convenzionali) russi nel giro di pochi minuti, a maggior ragione dopo l'entrata in servizio dei nuovi missili non balistici e ipersonici di cui la Russia è dotata.

Il sogno di Brzezinski di fare dell'Ucraina il perno di una architettura euroasiatica rischia di divenire un incubo per un'Europa troppo debole militarmente per poter contrastare la reazione russa, Se poi aggiungiamo che ormai i russi controllano più della metà delle fonti energetiche vitali per l'Europa, non si può non concludere che a forza di stuzzicare il grande e grosso orso russo, la piccola Masha europea rischia di farsi schiacciare.


(fonte immagine:remocontro.it)

Zbignew Brzezinski e la Grande Scacchiera Euroasiatica.



Verso la fine degli anni '70 la Polonia tornò a ricoprire un ruolo geopolitico di prim'ordine sullo scacchiere europeo: polacco era Lech Walesa, leader del Sindacato degli operai di Danzica “Solidarnosc” così come Karol Woytila, salito al Soglio Petrino con il nome di Giovanni Paolo II, e polacco era Zbignew Brzezinski Consigliere di Stato sotto Jimmy Carter, dal 1977 al 1981.

Brzezinski fu propugnatore della linea dura nei confronti dei russi in Afghanistan ma condusse anche le trattative che portarono all'accordo SALT II in tema di riduzione degli armamenti. Egli agì tanto sul fronte della diplomazia quanto su quello delle operazioni militari nelle dispute geopolitiche alla periferia dell'Impero sovietico.

L'invasione sovietica dell'Afghanistan segna per molti storici l'inizio della fine del sistema sovietico che avverrà di lì a dieci anni. Dopo la fine dell'Unione Sovietica nel '91 sarà proprio quell'area individuata da Brzezinski a diventare centrale nei discorsi politici, militari e economici. I successivi vent'anni testimonieranno un intenso sforzo americano per conquistare posizioni in tutta la periferia ex-sovietica prospiciente il Medioriente per isolarlo così dalla diretta influenza di Mosca . Ad oggi tutti i paesi che vanno dal Caspio al Mar Rosso, dal Golfo Persico al Mediterraneo, sono alleati degli Stati Uniti a parte Iran e Siria (fig. 1:Situazione Geopolitica al termine della Guerra Fredda.).



Nel saggio La Grande Scacchiera del 1997 Brzezinski afferma che il principale obiettivo geopolitico degli USA è rappresentato dall'Eurasia, confermando ancora una volta la sua predilizione per una interpretazione continentalista della geopolitica. Le considerazioni di Brzezinski coprono l'intero scenario geopolitico globale. Per quanto riguarda gli scopi di questa dissertazione tuttavia ci soffermeremo maggiormente sulle considerazioni riguardanti i due attori operanti sullo scenario europeo, ovvero l'Unione Europea e la Russia, ai quali dedica tre capitoli sui sette complessivi dell'opera.

Per quanto riguarda la Russia, Brzezinski ha proposto una visione in cui lo spazio geografico-politico comunemente denominato «area ex-sovietica» risulta essenzialmente suddiviso in due distinte regioni: il cosiddetto “Buco Nero” risultante dal vuoto geopolitico seguito al collasso dell'Unione Sovietica, di cui la Federazione Russa è il centro, e i cosiddetti “Balcani dell'Eurasia” che comprendono le nazioni che circondano il bacino del Caspio.



(Fig. 2. Il “Buco Nero” di Brzezinski.)
Egli inoltre individua nella regione euroasiatica alcuni paesi, rappresentati dall'Ucraina, dall'Azerbajian, dalla Turchia e dall'Iran che definisce pivot geopolitici, il cui controllo è indispensabile agli Stati Uniti per garantirsi una salda presenza nell'area. Questi pivot geopolitici individuati da Brzezinski nel 1997 restano tali ancora oggi, in particolar modo per quanto riguarda l'Ucraina e l'Iran, e oggetto di un duro scontro con la Russia, nel frattempo ritornata al ruolo di importante attore regionale.

All'interno del quadro così delineato gli interrogativi e le sfide principali per la politica statunitense sono rappresentati da alcune questioni principali come ad esempio il ruolo dell'Europa nella più ampia strategia di mantenimento del dominio americano globale, l'atteggiamento da mantenere nei confronti della Russia, la possibilità di una balcanizzazione dell'Eurasia con i rischi a ciò collegati e infine le azioni da intraprendere per scongiurare la nascita e lo sviluppo di nuove coalizioni eurasiatiche in chiave antiamericana.

Tra il '90 e il '91 tutte le Repubbliche inglobate nell'URSS o legate dal Patto di Varsavia si liberano del controllo sovietico e nei seguenti dieci anni ridurranno l'influenza della Russia entro i suoi soli confini. Nel corso dei successivi dieci anni il fronte della NATO si amplierà ancora e arriverà a circondare tutto il fronte occidentale Russo da Helsinki a Sofia. La Russia progressivamente, dopo i tumultuosi anni '90 culminati con il default economico del 1998, riscopre le sue ambizioni di potenza regionale sotto le presidenze di Putin e Medvedev ridefinendo i propri obiettivi e dandosi nuovi orientamenti geostrategici.

Negli anni essa ha perseguito linee di pensiero apparentemente contrapposte e discordanti frutto però di atteggiamenti tattici derivanti dalla necessità di contenere lo strapotere americano senza dare l'impressione palese di perseguire una politica revisionista dell'ordine internazionale. Brzezinski ha identificato tre distinti orientamenti susseguitisi in ordine cronologico:

1. Un atteggiamento «filo-occidentale» in cui la priorità data alla definizione di una matura partnership strategica con gli USA e l'Occidente rappresenta un tentativo di “contenimento” in un momento di particolare debolezza economica e militare della Federazione.

2. A questo è seguito un secondo orientamento «eurasiatista» supportato dalle teorie di Alexander Dugin e Eduard Limonov tra gli altri, che riconosce primariamente nel «near abroad» la principale preoccupazione della Russia. Da qui il tentativo di un processo di integrazione economica dominato da e Mosca teso a una certa restaurazione del controllo imperiale in grado di controbilanciare meglio l'azione degli USA e dell'Europa.

3. Infine un terzo orientamento, tutt'ora in corso, fondato sull'idea di dar vita a una contro-alleanza sino-russa volta a controbilanciare la preponderanza statunitense sull'Heartland eurasiatico.
Negli anni che vanno dal “discorso di Monaco” di Putin del 20076 ad oggi, la postura revisionista della Russia si è fatta più esplicita, indubbiamente anche a causa della sempre più forte e palese volontà di scontro messa in atto dalle amministrazioni americane di Bush Jr. prima e di Barack Obama poi.

Nel saggio del 1997 l'Europa viene definita da Brzezinski “la testa di ponte democratica” ovvero il naturale punto di appoggio per le operazioni americane sulla scacchiera Euroasiatica. Quello con l'Europa è un rapporto strategico naturale in virtù dei comuni valori democratici e liberali. Grazie a questa alleanza è possibile un opera di propagazione di quegli stessi valori in tutta l'area ex-sovietica se non addirittura nella stessa Russia.

A tal fine Brzezinski sostiene che l'unificazione europea debba essere sostenuta con forza dagli USA non solo per mantenere salda la presenza americana sulla massa euroasiatica ma anche per scongiurare la nascita di un possibile antagonista nell'area impersonato tanto dalla Russia quanto da una Germania tornata in forze sulla scena mondiale a seguito dell'unificazione. Una delle sue preoccupazioni a tale riguardo è nella natura statalista della politica delle diverse nazioni europee che, a suo parere, potrebbe portare ad una rinascita di sentimenti nazionalisti e economicamente protezionisti in grado di contrastare la presenza americana sul suolo europeo.

In merito Brzezinski afferma risolutamente: “La fine dell'Europa di Yalta non deve diventare un ritorno a quella di Versailles ma essere il punto di partenza per la creazione di una Europa sempre più integrata e rinforzata da una NATO allargata. Il tutto reso ancora più sicuro da una costruttiva politica di sicurezza con la Russia”. Ma è per l'America il suo pensiero finale: “[..] l'obiettivo principale degli USA in Europa è […] consolidare la testa di ponte sull'Eurasia tramite una più genuina partnership transatlantica, così che un'Europa allargata possa diventare un trampolino per proiettare dentro l'Eurasia l'ordine internazionale democratico e cooperativo”.

L'autore individua nel legame franco-tedesco l'elemento centrale irrinunciabile su cui si fonda la costruzione europea, in assenza del quale sia la Francia che la Germania sarebbero tentate a ricercare un accordo geopolitico con la Russia, storicamente ricorrente nella storia europea, con potenziali effetti disastrosi per le politiche di sicurezza americane e globali.

A questo riguardo Brzezinski ribadisce la centralità della NATO per la quale auspica una integrazione e un allargamento per poter arrivare così ad uno schema 1+1 (EU+USA) più solido di un eventuale rapporto 1+15 (USA+ tutte le nazioni Europee prese singolarmente). Per procedere verso questo risultato egli considera necessario il rientro della Francia nell'Alleanza Atlantica da cui era uscita nel 1966 per volere di De Gaulle.

Il suo “Wishful Thinking” si avvererà nel 2009 sotto la presidenza Sarkozy. Brzezinski si spinge oltre disegnando lo scenario di allargamento della NATO dei successivi 10 anni sino a giungere all'attuale configurazione comprendente tutti i paesi dell'ex Patto di Varsavia fatte salve la Bielorussia e l'Ucraina. Per quanto riguarda quest'ultima l'autore ipotizza un'adesione alla NATO e all'EU tra il 2005 e il 2010 disegnando così uno scenario geopolitico totalmente nuovo, diverso sia da quello Mediterraneo (Francia, Germania, Italia) sia da quello “Carolingio” (Francia, Germania, Benelux) in cui Francia, Germania, Polonia e Ucraina costituiscono un blocco capace di integrare le tre nazioni più popolose del continente e contemporaneamente in grado di incunearsi sino ai confini della Russia.

Nel proporre una simile configurazione Brzezinski afferma che la sua realizzazione sarà condizionata dai rapporti, bellicosi o meno, con la Russia senza però metterne in discussione la realizzabilità. Nel fare ciò propone una politica delle “porte aperte” con la Russia che, sebbene disegni una volontà costruttiva, entra necessariamente in conflitto con le esigenze reali di sicurezza della Russia stessa.



(Fig. 3. La nuova Partnership Strategica Europea secondo Brzezinski)


domenica 7 novembre 2021

Non avrai altra GEOPOLITICA che NON SIA la mia!

 



In un’epoca di comunicazioni di massa come quella nata dai giornali dell’ottocento , proseguita con la radio e la televisione nel ventesimo secolo e giunta fino alla vasta diffusione di internet dei nostri giorni, tanti argomenti sono ormai patrimonio di tutti e non solo di chi ha la possibilità di recarsi fisicamente in luoghi lontani; il prezzo da pagare è però l’accettazione implicita che queste informazioni portino con sé una dose più o meno elevata di distorsione , di polarizzazione , che non può non riflettere i valori di chi le diffonde e , in una certa misura , della Società in cui esse vengono veicolate.

A partire dagli anni '90 si è andato progressivamente affermando un nuovo approccio alla geopolitica che prende le distanze nettamente dalla concezione classica di questa disciplina che vedeva nel Problem-solving la spinta principale alla concezione geografica del potere.La geopolitica critica , nasce negli anni novanta , con i primi lavori di Routledge , Dalby e O’Tuathail , come nuova prospettiva di indagine della geopolitica , nell’ambito del post-strutturalismo.

La Geopolitica CRITICA

La Critical Geopolitics , che può essere distinta nelle sue fondamentali prospettive dette “popular geopolitics” , “formal geopolitics” , “structural geopolitics” , e “practical geopolitics” , rivolge il suo sguardo al “come” vengano prodotti gli eventi geopolitici analizzando appunto le modalità attraverso le quali le forze in campo modificano o cercano di modificare le relazioni internazionali secondo i propri progetti e come questa operazione costituisca una “costruzione di senso” per i cittadini e gli stessi attori geopolitici.

Quanto avvenuto con la Guerra nei Balcani o l’invasione dell’Iraq del 2003 o dell’Afghanistan esemplificano bene quanto detto poc’anzi : le opinioni pubbliche dei paesi che hanno aderito o meno a questi avvenimenti hanno maturato la propria posizione grazie alla massiccia dose di informazioni fornite dai Mass Media messe in atto nelle rispettive Nazioni.

Ciò introduce una definizione particolare di Geopolitica messa in luce ,tra gli altri, da Joanne Sharpe che va sotto il nome di “Popular Geopolitics” ovvero l’effetto che i discorsi prodotti dalle Elite dominanti producono sulle persone comuni attraverso l’uso che le prime fanno dei mezzi di comunicazione di massa , di cui dispongono , per influenzare le seconde.

Sharpe afferma che i discorsi “Formali” o “Pratici” di stampo Geopolitico altro non sono che le ricadute a livello alto o basso delle decisioni prese dalle Elites dominanti ed è perciò importante non tanto l’analisi di questi stessi discorsi ma delle cause e degli effetti che questi discorsi creano nella realtà.

Autori come O Tuathail , Routledge o Dalby , per la scuola di stampo Anglosassone , focalizzano la loro attenzione sulle pratiche messe in atto dai detentori del potere per descrivere la realtà ad una opinione pubblica ormai divenuta anch’essa Globale oltre che agli altri attori sulla scena Mondiale.

Dalby , ad esempio , sostiene che il compito della Geopolitica Critica debba essere non solo l’analisi dei discorsi Geopolitici dominanti ma anche di quelli alternativi e che ad essi si contrappongono poiché entrambi concorrono alla formazione della realtà Sociale notando però che ogni discorso che si afferma sopprime necessariamente altri discorsi non necessariamente in virtù di una maggiore forza esplicativa o inattaccabilità logica ma , spesso , per la maggior forza con la quale vengono reiterati e sostenuti.

L’apporto di O Tuathail alla riflessione post-moderna di stampo Geopolitico è , tra gli altri , che l’analisi dei discorsi di questa natura debba essere fatta tenendo sempre a mente il quadro storico più ampio e le sue contingenze sociali e politiche. Egli inoltre afferma che sia necessario decostruire i discorsi Geopolitici dominanti che tendono surrettiziamente a tralasciare alcuni aspetti delle questioni in esame per metterne in luce altri più funzionali alle esigenze delle Elite dominanti e fare anzi della Critical Geopolitics “il” nuovo discorso Geopolitico dominante.

Centrali sono quindi la nozione di “discorso” già messa in luce dal francese Michel Focault , inteso come quell’insieme di pratiche che permettono la “produzione di senso” che rende “reale”quanto avviene ed in definitiva lo legittima e quella Gramsciana di “senso comune” prodotto dall’Egemonia che i poteri dominanti applicano culturalmente. Il concetto di potere espresso da Foucault è straordinariamente attuale : esso è prima di tutto un discorso , ovvero una proliferazione di discorsi, guidato verso una direzione di senso piuttosto che un altra.

Citando il famoso saggio di Berger e Luckmann , ”La Realtà come costruzione Sociale” possiamo affermare che “(…) nessun pensiero umano è immune dalle influenze ideologizzanti del proprio contesto sociale” e ciò è tanto più vero per quanto riguarda la conoscenza delle questioni inerenti “l’altro” , ciò che è “Straniero” , ciò che è diverso da Noi , argomenti , questi , centrali nei discorsi Geopolitici.

La parzialità o meno della rappresentazione mediatica “mainstream” rispecchia l'atteggiamento della politica del paese , dell'opinione pubblica , delle necessità dettate dalle alleanze , o è frutto di una misurata equidistanza?


LE FONTI INFORMATIVE


Un recente studio dell'ISTAT ha messo in luce come la consistente maggior parte della popolazione italiana si rivolga quasi esclusivamente alla televisione per ottenere le informazioni riguardanti la sfera della Politica Nazionale quella Internazionale. 

Una scarsa percentuale legge i giornali quotidianamente e , di questi , molti fruiscono esclusivamente della “free press” sbocciata negli ultimi anni.

Aggiungiamo inoltre che spesso la fruizione delle notizie è fugace , basata sui titoli più che sul reale contenuto , compressa dai tempi veloci della quotidianità. Nel caso della Free Press , diffusissima nelle grandi città , le notizie di politica estera non appaiono neanche o sono soffocate da servizi di gossip e di cronaca.

La radio ovviamente copre la quasi maggioranza della popolazione per cui possiamo dire che ogni giorno , ogni cittadino italiano è immerso in un “brodo informativo” , somministrato tramite un continuo “info mix” , ovvero l'equivalente del “marketing mix” , tradizionale strumento del Marketing pubblicitario. 

La radio lancia la notizia , la TV la amplifica , la stampa la spiega , il giorno dopo ed internet. La approfondisce. Questa è la sequenza con cui i media gestiscono il flusso informativo. 

Difficilmente , però , quella che gli statistici chiamerebbero “la maggioranza degli italiani” , verifica le fonti , la loro esattezza , il reale alternarsi degli eventi e della catena causa/effetto delle informazioni che riceve , a maggior ragione se vengono dall'estero o ad esso si riferiscono.


IL Gatekeeping INFORMATIVO

Fondamentale , nell'ambito della comunicazione , è l'opera di “gatekeeping” (letteralmente “portieraggio”), rappresentata dalla concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione in pochi gruppi che determina quali delle tante notizie lanciate dalle agenzie ogni giorno meritino di essere diffuse e approfondite. Il Gatekeeper decide appunto a quale delle varie notizie aprire le porte dell'informazione verso il pubblico. Chiaramente il processo è guidato dai valori e dagli obiettivi di chi le diffonde e dalla necessità o meno che certe informazioni vengano diffuse.

Al contrario di quanto accade all'estero, dove la politica estera trova sempre un discreto spazio sulle pagine dei quotidiani, in Italia certi argomenti sono meno presenti ; un caso particolare è rappresentato da Limes che è l'unica rivista esclusivamente dedicata alla politica estera diffusa quasi capillarmente nelle edicole italiane . Se si aggiunge poi che , come detto , i media tradizionali hanno proprietari certi , il cui coinvolgimento con il potere è evidente o presumibile , si può immaginare come le opinioni da essi veicolate non possano non essere influenzate dagli scopi del potere stesso. La molteplicità dei siti sull'argomento reperibili in rete , fatti salvi i siti ufficiali dei quotidiani esteri , rende invece difficile l'attribuzione della paternità dell'informazione e gli eventuali interessi che si celano dietro di essa.

Il “collages informativo” composto da porzioni di informazione prelevate da questo e da quel sito o blog e confermate tramite triangolazione (la verifica contemporanea di una informazione dubbia su più fonti:siti ufficiali , agenzie e quotidiani on-line , il sito in questione ed altri siti in rete) delinea una situazione del tutto nuova. Potremmo dire che aumentando e differenziando il numero delle fonti informative e diminuendo in esse la quota di condizionamento patente o latente esercitato dal potere di riferimento si arriva a “scrivere” la propria visione dell'argomento. Non è ovviamente possibile accedere a tutte le fonti disponibili sull'argomento ma la sola ricerca del termine “Iran” , o “guerra all'Iran” su un motore di ricerca rende bene l'idea di quanto sia popolato il dibattito sull'argomento lontano dalle telecamere o dalle prime pagine che invece propongono una sola immagine polarizzata.


L'UNICO REALE POSSIBILE

Per molti versi infatti la diffusione di notizie geopolitiche si inscrive in quelle che la moderna strategia militare chiama “spy-ops” o “psychological warfare” ovvero operazioni di “conquista delle menti”:in assenza di una idea specifica su un argomento si presume che un cittadino sia più incline a sposare le idee ripetute più spesso e su più canali informativi meglio se ritenuti “autorevoli”. La ripetizione di clichè e stereotipi , poi , determina la plausibilità delle continue informazioni sul tema e le inscrive in un panorama cognitivo e simbolico che si rafforza ad ogni successiva nuova notizia.

Ciò che viene “raccontato” diviene , per dirla con O'Thuathail , “l'unico reale possibile” e su questo vengono costruite le motivazioni che legittimano l'agire , se necessario anche con la forza.

Se oltre a questo aggiungiamo che l'informazione “altra” da quella ufficiale viene bollata come “complottista” se non addirittura di appoggio o di matrice filo-terrorista , il quadro si completa con la demonizzazione non solo dell'avversario ma anche dei suoi difensori e alleati.

Infatti , come Ó Tuathail and Dalby (1998, 5) hanno già affermato :”... la Geopolitica satura la vita di ogni giorno di Stati e Nazioni. I luoghi della sua produzione sono multipli e pervasivi,sia in “alto” (come un memorandum di sicurezza nazionale) che in “basso” (come le pagine di un giornaletto popolare) , sia “visuali” (come le immagini che muovono gli stati ad agire) che “discorsivi” (come i discorsi che giustificano le azioni militari)...”

I media sono perciò il veicolo fondamentale,in una società moderna, per trasmettere ed istituzionalizzare idee,immagini e propositi di stampo Geopolitico.

La pubblicistica geopolitica è intrisa del concetto di “Language Engineering” ovvero dell'utilizzo del linguaggio e delle sue sfumature per veicolare concetti a proprio favore facendo leva su elementi già condivisi con l'uditorio o creandone di nuovi utilizzando espressioni accuratamente studiate dagli esperti del settore ,i cosiddetti “spin doctors”.

In questo processo i media trasferiscono ed amplificano di questi concetti preconfezionati verso l'opinione pubblica che li rende propri e familiari ma in una maniera tale per cui , vista la continua produzione di nuovo lessico sui diversi argomenti da parte delle relative fonti, i giornalisti si ritrovano ad essere meri trascrittori di concetti anziché reporter di notizie.

Neologismi quali “guerra umanitaria” , “danni collaterali” o “missione di pace” hanno riempito pagine di giornali e sono diventati comuni nel lessico quotidiano ma attorno ad essi continuano a svolgersi aspri dibattiti non solo di carattere semantico ma anche di stampo politico e filosofico. Battezzati spesso come propaganda , svolgono il loro specifico ruolo nel permettere alle istituzioni che li creano e li propagano di dissimulare concetti complessi e di ardua trattazione in regimi di stampo democratico, con termini , o associazioni non aggressive di termini , che richiamino immagini legate ad una moralità giusta o perlomeno attenta ai valori umani.

Il che sembra quasi ricalcare le affermazioni Dalby e O'thuathail, ma anche di funzione manipolatoria veicolando una realtà mediale che rappresenta per molti cittadini l'unica esperienza attualmente disponibile.

Nuovi argomenti e nuove immagini , reali e mentali , verranno diffuse e create ma sottotraccia resterà sempre chiaro quale sarà la parte dei “buoni” e quella dei “cattivi”.Le due categorie polarizzanti del “Noi” e del “Loro” risiedono in questa opposizione e vi si integrano nella rappresentazione da parte dei media Nazionali , Europei e Mondiali a seconda che ci si schieri tra i sostenitori dell'una o dell'altra parte.

La Geopolitica e la Storia ci hanno insegnato che queste due insopprimibili categorie mentali possono cambiare assetto , in processi in cui alcuni soggetti passano da una parte all'altra dello schieramento o mutamenti politici,sociali ed economici portano Nazioni considerate strette alleate a diventare ostili o nemici recenti a scoprirsi Fratelli.


martedì 15 giugno 2021

Harford Mackinder : Il Perno Geografico della Storia


La crescente competizione tecnologica per l'appropriazione degli spazi era chiara a Sir Harford Mackinder (1861 – 1947) quando nel 1904 nel discorso The Geographical pivot of History, sostenne che le potenze marittime fossero in declino su quelle continentali a causa proprio dell’avvento della ferrovia. Il geografo di sua Maestà sosteneva che si potesse individuare un area detta Heartland che sarebbe divenuta il centro del potere mondiale in quanto controllando questa era possibile controllare l'Isola Mondo, e quindi il globo. La Germania grazie alla ferrovia poteva accedere più rapidamente a quest'area e era quindi avvantaggiata nella corsa verso l'egemonia, rispetto alle sue concorrenti marittime. L'area dell'Heartland corrisponde, nella teoria di Mackinder, alla massa asiatica che va dal Pacifico all'Ungheria in direzione Est-Ovest e dal circolo polare artico all'Iran in direzione Nord Sud. Il controllo di quest'area garantiva il controllo della cosiddetta Isola Mondo, che comprende l'Europa e il Medio Oriente,determinando quindi il controllo dell'Africa e perciò del Mondo. Il pivot o perno geografico viene definito nel discorso del 1904 come :”[...].quella vasta area dell’Eurasia, inaccessibile alle navi ma percorsa nell’antichità da nomadi a cavallo, che oggi sta per essere ricoperta da una fitta rete di ferrovie [...]. In questo luogo, vi sono state e vi sono tuttora le condizioni per una mobilità della potenza militare e economica di vasta portata1.

Fig. 1- Il perno geografico secondo Mackinder




La potenza che a quel tempo occupava l'Heartland era la Russia sebbene fosse la Germania, in forte ascesa soprattutto militare, ad essere citata tra le righe. Preoccupazione di Mackinder era che queste due Potenze non si unissero più strettamente poiché ciò avrebbe permesso alla Russia di incunearsi nello spazio europeo e alterare progressivamente il rapporto di forze tra potenze marittime e terrestri. Ovviamente egli pensava che fosse dovere della potenza Britannica fare di tutto perché ciò non avvenisse.

Mackinder era al tempo non solo professore della Società Reale di Geografia, istituzione molto ascoltata dai decisori politici britannici, ma anche direttore della “London School of Economics”. Fondamentale nella sua teoria era l’enfasi sul carattere determinante del luogo e delle condizioni ambientali delle nazioni. Egli pensava che gli stati situati al margine delle masse continentali possedessero vantaggi intrinseci rispetto agli stati presenti sulla massa euroasiatica. Ciò era dovuto agli accessi marittimi e solo l’avvento delle ferrovie avrebbe potuto mettere in discussione tale predominio. Il mare infatti non prevedeva quei confini che le merci via terra dovevano attraversare, ma gli accordi interstatali per la costruzione di ferrovie stavano per rendere nuovamente concorrenziale la via terrestre al traffico merci. Mackinder usò le condizioni fisico-geografiche dei territori per prevedere il corso e le prospettive della politica mondiale. Il suo modello geopolitico di potere marittimo contrapposto a quello continentale era infatti pensato anche per le epoche future. Egli era di fatto un determinista seppure si proclamasse riluttante 2. La sua teoria, considerata nelle componenti fondamentali, ovvero i concetti di Heartland, pivot e la dicotomia potenze marittime/terrestri è fondamento della geopolitica detta “Continentalista” valida ancora oggi. Egli riconobbe che lo sviluppo dell'attività navale europea aveva creato le condizioni per un'inversione del rapporto storico tra Asia e Europa. Da sempre, infatti, quest'ultima si era sentita minacciata o era stata invasa dai popoli in arrivo da est e schiacciata dall'Oceano Atlantico ad Ovest. Grazie al dominio sulle terre scoperte dopo il 1492 essa era finalmente riuscita nell'impresa di circondare la prima e costringerla alla difensiva 3. ” [...].l'effetto politico più ampio fu di capovolgere le relazioni dell'Europa e dell'Asia, in quanto fino al Medio Evo l'Europa si trovava ingabbiata tra un impenetrabile deserto a sud, uno sconosciuto oceano ad ovest, distese ghiacciate o coperte di fredde foreste a nord e nord-est. Ad est e sud-est era costantemente minacciata dalla superiore mobilità di cavalieri e cammellieri, ma ora essa emerge nel Mondo, moltiplicando più di trenta volte la superficie del mare e terre costiere alla quale ha accesso, e avvolgendo con la sua influenza la potenza terrestre Euroasiatica e minacciandone perciò la sua stessa esistenza. [...]” 4. La Prima Guerra Mondiale aveva stabilito la netta supremazia delle forze marittime su quelle terrestri. Mackinder rilevava tuttavia ancora dei pericoli in questa situazione in quanto il controllo europeo dell'Heartland non si era realizzato e le relazioni tra slavi e tedeschi creavano un'area di possibile contatto/conflitto foriera di nuove problematiche. In Democratic Ideals and Reality del 1919 Mackinder indicò l’Europa centrale come nuovo ago della bilancia del potere mondiale. Il libro venne scritto nei giorni degli accordi di pace di Versailles e del ridisegno dell'assetto europeo. Il suo celebre motto cambiò e divenne: ”Chi controlla l'Europa dell'Est, comanda l'Heartland, chi comanda l'Heartland comanda l'isola mondo, chi comanda l'Isola Mondo comanda il Mondo” 5. Mackinder infatti era convinto che che se la Germania nel '14 avesse rivolto tutta la sua forza verso la Russia, restando sulla difensiva sul fronte francese, avrebbe conquistato l'Heartland e quindi il dominio sul continente6. Egli inquadrò come Potenze dell'Est sia la Germania che l'Impero Asburgico e individuò come perno un'area di mezzo tra Russia e Europa che si dispiegava dal Mar Baltico all'Adriatico, ovvero quasi esattamente quella che un giorno sarebbe stata occupata dalla “Cortina di Ferro”. Quello spazio geografico tra l'Europa e la Russia doveva separare le due potenze e contemporaneamente impedire una rinascita tedesca. La risoluzione della questione tra tedeschi e slavi era per Mackinder, prerequisito essenziale per una pace duratura, cui andava aggiunto un adeguato ridimensionamento del territorio tedesco. Era inoltre necessario che non si creasse uno spazio economico per la Germania in quell'area poiché la forza economica tedesca vi si sarebbe subito imposta a scapito delle potenze marittime e quindi della pace. Nonostante la crescita della Germania, la Russia rimaneva la principale opponente della Superpotenza Britannica nel “Great Game” euroasiatico. La Russia, sovietica da due anni, restava in cima alle preoccupazioni di Mackinder in quanto ora capace di propagare la sua forza sulle ali della rivoluzione e della lotta di classe grazie all'ideologia marxista-leninista. La sua opposizione al comunismo era netta e forte era il suo supporto alla nascente Lega delle nazioni, istituzione capace di diffondere la democrazia e il liberalismo nel mondo7. Riconosceva però nella propaganda marxista un'arma potente in mano alla Russia in quanto capace di travalicare le frontiere e portare anche in occidente quello spirito della Rivoluzione che poteva minare dall'interno le democrazie europee.




Fig.2 “La vera Europa” secondo Mackinder


Egli diede molta importanza alla distribuzione dei continenti e degli oceani anziché alle caratteristiche razziali o climatiche affermando una sorta di “determinismo spaziale” 8. La caratteristica cruciale della sua geografia politica fu quella di far coesistere due aspetti dell’impero britannico in contrasto fra loro: l'essere impero dei commerci guidato dalla sola potenza marittima inglese e il suo contemporaneo aspetto transnazionale e multirazziale, fondato su una gerarchia razziale e sociale. Mackinder descrisse questa unità su base geografica, e marittima in particolare, potendo così aggirare la necessità di descrivere l’impero come una comunità di destino, posizione insostenibile poiché non vi era alla base nulla di comune che potesse tenere insieme popoli e culture tanto diversi tra loro 9. Ma in fondo Mackinder considerava l’impero come un mezzo per mantenere le basi economiche della Gran Bretagna attraverso il potere militare, al fine di assicurare la sopravvivenza nazionale. Il modello immaginato da Mackinder può essere considerato valido ancora oggi. Le idee di Mackinder, e in particolare il suo concetto di perno e la sua suddivisione del mondo in tellurocrazie e talassocrazie, portano l'analisi geopolitica fuori dall'ambito della Storia, in un ambito di determinismo geografico: la geografia vince sulla Storia10 .


NOTE:


1 H. Mackinder,The Geographical Pivot of History in The Geopolitical Reader

a cura di Gearóid Ó Tuathail, Simon Dalby,Paul Routledge, Routledge, New York 1998, p. 30.

2 Harford Mackinder,The Geographical Pivot of History in The Geopolitical Reader

a cura di Gearóid Ó Tuathail, Simon Dalby,Paul Routledge,Routledge,New York, 1998,p. 30

3 Ivi

4 Ibidem, p.29

5 H. Mackinder, Democratic Ideals and Reality, National Defence University Press 1996, p.106.

6 Ivi

7 Ibidem, p.144.

8 Ibidem p. 90.

9Ibidem p. 91.

10Ibidem p. 90.

lunedì 14 giugno 2021

NATO contro Godzilla.



Durante il vertice NATO in Cornovaglia del 13 e 14 Giugno, Joe Biden ha affermato che “ la democrazia è in gara con le autocrazie del mondo”. Gli ha fatto eco un po' tutta la nomenclatura europea a partire da Draghi che non solo ha ribadito la collocazione euroatlantica dell'Italia, ponendo così un freno alle sirene di Pechino, ma ha affermato che bisogna «essere pronti ad affrontare tutti coloro che non condividono i nostri stessi valori e il nostro attaccamento all'ordine internazionale basato sulle regole e sono una minaccia per le nostre democrazie».


Nel novero ricadono Russia, Cina, forse la Turchia e sullo sfondo, l'Iran.  Il 16 Giugno Biden vedrà Putin, al quale ha chiesto un incontro, dopo averlo peraltro definito un "killer" in un'intervista tv. L'affermazione iniziale del Presidente americano sembra quindi apparire come un' agitare la propria bandiera per galvanizzare le proprie truppe, prima di andare a discutere con il Nemico. Da parte sua, il Presidente russo ha rilasciato una pacata intervista alla televisione americana, cercando di controbilanciare la presenza mediatica di Biden.


Si arriva a questo summit in un clima da Redde Rationem, aizzato da accuse di cyber spionaggio, estorsione, hackeraggio e molti altri crimini informatici, oltre a quelle relative ai diritti degli oppositori politici in Russia, passando dal supporto all'Ucraina nella contesa sulla Crimea. Con i cinesi è guerra commerciale aperta, dal veto sui contratti a Huawei, ZTC e altri produttori tecnologici cinesi, alla contesa sugli stretti e le isole dei mari a sud della Cina continentale. Potremmo continuare oltre , ma il


quadro che va delineandosi sembra quello di una nuova separazione Est-Ovest, con il blocco Russo-Cinese a sostituire l'URSS. Se è così, il presidente americano va in Europa a ribadire che l'area è nella sua sfera di influenza e che il legame militare della NATO impedire più stretti rapporti economici tra l'Europa e il nuovo blocco.


Non è una tesi nuova: già Charles Kupchan in un libro del 2014, The geopolitical implications of TTIP, affermava che i rapporti economici, seppur più stretti, tra USA ed EU, non possono rappresentare l’unico legame tra le due sponde dell’atlantico. L’occidente deve mantenere intatta la sua deterrenza militare e gestire unitariamente le sfide geopolitiche e strategiche della nuova era1. Kupchan afferma che “la lunga corsa dell’egemonia materiale ed ideologica dell’occidente è arrivata alla fine”2 e che perfino due democrazie liberali come India e Brasile non hanno ancora scelto se allinearsi con l’Occidente o meno3. Ciò è sicuramente dovuto alla crescente quota di potere che, a livello internazionale, la globalizzazione ha trasferito dai paesi occidentali a quelli in via di sviluppo. Inoltre, sempre nell’interpretazione di Kupchan, l’occidente sta subendo le conseguenze della crisi economica (si parla di quella del 2008) anche a livello interno con la conseguente perdita di prestigio del modello occidentale nei confronti di altri modelli dirigisti o statalisti come nei casi russo o cinese. Kupchan ricorda come la fine della guerra fredda e la previsione di Fukuyama circa “la fine della Storia” abbia illuso molti sul fatto che progressivamente tutte le altre nazioni avrebbero abbracciato il modello liberale occidentale, integrandovisi4. La crisi politica negli USA, quella economica in EU e i successi del modello di capitalismo di stato cinese stanno sempre più creando un panorama nuovo. Kupchan rileva perciò la nascita di “versioni multiple della modernità in competizione tra loro nel mercato delle idee”5.


In occidente, la crisi economica ha anche portato con sé una diminuzione di attivismo verso l’estero ( in particolar modo in campo militare) e una richiesta da parte dell’opinione pubblica americana, di prestare più attenzioni alle questioni interne (come disoccupazione, servizi pubblici e infrastrutture) più che abbandonarsi a un continuo avventurismo in paesi lontani. Potrebbero essere segnali di una tendenza all'isolazionismo dell'opinione pubblica americana, già confusa sul ruolo della NATO dopo la fine dell'URSS. Sino ad oggi la pax americana si è potuta mantenere grazie alla capacità di Stati Uniti (e in maniera ridotta, dell’Europa) di fornire beni pubblici come l’equilibrio internazionale, la garanzia sull’apertura del commercio internazionale e della sua sicurezza, l'esistenza di mercati finanziari accessibili e mercati di consumatori benestanti.


Kupchan rileva come questi presupposti, nati con la fine della seconda guerra mondiale, non siano più validi. Per rivitalizzare l’occidente è necessario primariamente risollevarsi dalla crisi economica in atto dal 2008, (e a maggior ragione da quella creata dalla Pandemia, aggiungo io).In Usa ed Europa la classe media, fondamento delle democrazie liberali, si sta restringendo mentre aumentano le diseguaglianze di reddito tra i pochi miliardari e gli altri (il cosiddetto 99%). La disoccupazione giovanile, che cresce in tutta Europa, e la contemporanea crisi demografica, che rende la popolazione delle nazioni occidentali sempre più anziane, sono un problema di cui occuparsi subito. Europa e Stati Uniti, quindi, devono porsi l’obiettivo di riuscire a riportare lavoro e crescita in anche e soprattutto per rivitalizzare il modello politico liberale su cui esse si fondano insidiato da nuove forme di populismo e massimalismo6.


Gli ultimi 25 anni hanno visto la realizzazione di un sistema finanziario-industriale altamente integrato che permette ai grandi capitali finanziari di fluttuare da un circuito economico ad un altro, dalle obbligazioni statali alle borse valori, dai futures sulle merci a quelli sul petrolio in maniera pressoché immediata. Tutto ciò crea un ambiente nuovo su cui agire e permette a quei capitali di divenire una leva per influenzare nelle loro decisioni le nazioni in cui quei capitali si riversano. Quei capitali finanziano, ad esempio, la costruzione di condutture per il petrolio o per il gas che corrono attraverso diverse nazioni dal luogo di estrazione al mercato di utilizzo finale.


Pensiamo in primis al gasdotto North Stream 2, tra Russia e Germania, oggetto di tensioni diplomatiche tra quest'ultima e gli Stati Uniti. Inutile dire che queste infrastrutture creano legami geopolitici e sono oggetto di geopolitica dalla fase della loro ideazione fino alla loro realizzazione e messa in opera. Consideriamo poi i traffici commerciali su terra e via mare, che sono sviluppati come mai lo erano stati in precedenza. Le rotte commerciali che si dispiegano su tutti i mari hanno bisogno di una rete di sicurezza che impedisca loro di essere interrotte da guerre o pirateria. Questo viene garantito da un controllo internazionale sui punti nodali dei traffici come Suez, Malacca, Aden e il Mar Rosso o le coste sud dello Sri Lanka, controllo che è esercitato dalla marina americana e che vede la Cina solo parzialmente coinvolta, da cui la disputa sul Mare Cinese Meridionale. Anche qui il controllo delle linee commerciali è oggetto di geopolitica prova ne è, ad esempio, la fitta attività cinese per dotarsi di punti attracco e attraversamento alternativi al controllo americano come il porto di Gwadar in Pakistan o le trattative con la Thailandia per la realizzazione di un canale artificiale presso Kra che permetta di aggirare completamente Singapore e Malacca.


Che dire poi del sistema di produzione globalizzato che permette ad un prodotto ideato negli Stati Uniti di essere realizzato in Cina o in Vietnam per essere poi recapitato via mare ad un acquirente europeo? Quanto la geopolitica entra nelle considerazioni degli investitori internazionali per determinare la locazione di uno stabilimento o l'apertura di un nuovo mercato per loro prodotti? Non è certo materia di questo breve saggio, sviscerare completamente i rapporti che attraversano il sistema economico internazionale, ma è necessario chiarire che l'ambito geografico del termine geopolitica è attualmente solo in parte connotato da caratteristiche fisiche e lo è sempre più per via di elementi immateriali come gli scambi finanziari o il commercio elettronico. Si moltiplicano perciò gli ambiti in cui possono avvenire fatti geopolitici per cui si amplia la base sulla quale le teorie geopolitiche possono svilupparsi e mutare nei loro mezzi, se non nei loro fini.


Sebbene la conflittualità internazionale sia stata fino a 25 anni fa governata da considerazioni politiche e ideologiche, le guerre attuali sono prevalentemente combattute per il possesso e il controllo di beni economici vitali, di risorse necessarie per il funzionamento delle moderne società industriali e per la conquista di mercati di sbocco stabili e regolamentati. Non necessariamente il conflitto si espliciterà in forma armata ma sarà implicito nella stipula di trattati commerciali internazionali che vincoleranno le nazioni all'appartenenza a sistemi economici esclusivi, anche se potrebbero altresì essere oggetto di scontro i territori soggetti al transito delle linee energetiche e logistiche con conseguenti ripercussioni in termini politici, sociali ed economici.


Negli ultimi anni la proliferazione di accordi economici multi e bilaterali e la perdita di efficacia, forse temporanea, di WTO e ONU, sono stati causa ed effetto di un processo di progressiva regionalizzazione del sistema internazionale. NAFTA, EEU, APEC, MERCOSUR, CSTO, SCO o ASEAN sono solo alcuni esempi di raggruppamenti regionali i cui partecipanti si associano per perseguire un fine specifico, sia esso economico o di difesa, e secondo presupposti che possono o meno essere fondati su un'identità condivisa. Ciò avviene senza che però venga messo in discussione il principio di sovranità di ogni singolo partecipante. Gli accordi vengono stipulati dagli Stati, che pertanto mantengono un ruolo centrale nel sistema internazionale. L'Europa ha invece scelto una via di consolidamento delle nazioni partecipanti di tipo economico e, attraverso la NATO, anche militare. Il NAFTA, stipulato tra USA, Canada e Messico è rimasto al contrario un accordo di libero scambio di natura commerciale.


Barry Buzan fa notare come gli Stati Uniti abbiano adottato una strategia di tipo “swing power”, rendendosi contemporaneamente membri di tre macroregioni, Asia-Pacifico, Nord-Atlantico, Emisfero Occidentale 7. Attraverso accordi sovranazionali o la partecipazione a progetti regionali, gli USA impediscono il consolidamento delle regioni Asiatiche, europee e latino-americane e la crescita di potenze rivali 8. Russia e Cina sono già partner nell'alleanza militare denominata SCO in cui partecipano tutte le repubbliche centro asiatiche, e alla quale anche India e Pakistan aderiranno dal 2016. Inoltre Cina e Russia hanno stipulato diversi trattati economici bilaterali in campo energetico e logistico, partecipano sia alla banca dei BRICS che alla neonata AIIB e il loro interscambio commerciale è in forte crescita.


La Belt and Road Initiative (BRI) o “Nuova Via della Seta, vede nella Russia e nelle repubbliche centro-asiatiche, un corridoio ideale per recapitare le proprie merci direttamente in Europa, aggirando il più possibile il controllo americano sui mari. Considerando che il Brasile, India e Sudafrica partecipano anch'esse alle due banche di sviluppo, e hanno intensi rapporti commerciali denominati in yuan o rubli con Cina e Russia, ci sono gli elementi per ipotizzare un nuovo assetto bipolare? Oppure si tratta dell'inizio di un assetto multipolare, regionalizzato al quale prima o poi anche gli Stati Uniti dovranno partecipare? Oggi gli USA stanno cercando un nuovo posizionamento sulla scena globale, per mantenersi indispensabili in un ambiente in cui operano grandi potenze in forte crescita.


Sempre secondo Buzan, la persistenza degli Stati Uniti come superpotenza e la contemporanea crescita di nazioni come Russia, Cina, Brasile e India crea una configurazione delle relazioni internazionali di tipo 1+n Grandi Potenze9. Un nuovo “Patto delle Democrazie Liberali”, tutto interno alla NATO, ma pronto a inglobare un giorno chissà quali altre Nazioni, sulla scorta di chissà quale nuova minaccia o pericolo, possiede gli elementi per consolidare il ruolo di superpotenza nella formula di Buzan permettendo a Stati Uniti ed Europa di mantenere riservato a sé stesse l'area del mondo più ricca, difendendola dall'attacco delle merci, dei capitali e dalla geopolitica cinese e russa.



NOTE:


Charles Kupchan The geopolitical implications of TTIP, Transatlantic Academy Paper Series, Giugno 2014, p.2


 Ibidem


 Ibidem


 Ivi p.3


 Ibidem.


 Ivi p.4


 B.Buzan, Il Gioco delle Potenze, EGEA Università Bocconi, Milano,2008 p.156


 Ibidem.


 B.Buzan, Il Gioco delle Potenze, EGEA Università Bocconi, Milano, 2008 p.155