Domenica 13
Dicembre, ad un mese esatto dagli attentati di Parigi, si è svolto
il ballottaggio per le elezioni regionali in Francia. Il Front
National (FN) di Marine Le Pen, sebbene fosse in vantaggio al primo
turno in 7 regioni, non ne ha conquistata nessuna. Ciò è accaduto
in quanto il Partito Socialista (PS) di Manuel Valls e il
centrodestra (Republicains-UMP) di Nicholas Sarkozy hanno messo in
pratica una desistenza reciproca mirata a conquistare la vittoria a
scapito del candidato del FN. In Italia lo chiameremmo un “biscotto”.
PS e UMP si sono suddivise quasi equamente le presidenze, 7 per l'UMP
e 5 per il PS , relegando ovunque il FN all'opposizione. Fin qui la
stretta cronaca.
Subito dopo
la fine dello spoglio dei voti sono partite però le analisi e le
dichiarazioni dei leader. Un po' come accadeva in Italia ai tempi del
sistema elettorale proporzionale, hanno vinto tutti. Ha vinto
Sarkozy, che può ora proporsi come l'anti Le Pen per far confluire
su di sé i voti degli elettori di destra meno estremi. Ha vinto la
Francia, ha vinto la Repubblica, secondo i titoli dei grandi giornali
francesi, in quanto la minaccia di un'ascesa lepenista è stata
fermata. Ha vinto anche il FN che continua la sua crescita e si
propone come il primo avversario del ballottaggio per l'Eliseo nel
2017. In merito Jacques Sapir scrive: “Queste elezioni sono solo in
apparenza una battuta d’arresto per il Front National. Di fatto
nasconde un reale successo. In numero di voti, fra il primo e il
secondo turno il Front National ha segnato un significativo
progresso. Ha superato il numero di suffragi espressi nelle elezioni
presidenziali del 2012, con un tasso di astensione che è aumentato.
Soprattutto ha decisamente aumentato il numero di consiglieri
regionali (oltre 350) beneficiando così della manna finanziaria
[finanziamento ai partiti, N.d.T.] e del radicamento che ne deriva.
Non è cosa da poco, e stupisce il fatto che molti opinionisti non ne
facciano cenno. ” 1.
Non ha perso il PS che però ha approfittato dell'ondata emotiva
seguita agli attentati di Parigi e all'aumento del gradimento per
Hollande. Indubbiamente la Politica Nazionale ed Internazionale hanno
avuto un grande peso nella campagna elettorale sebbene si trattasse
di elezioni Regionali.
L'alleanza,
tacita o meno, tra PS e UMP ha fatto dire a Marine Le Pen subito dopo
il voto: “Siamo la prima forza d’opposizione, in molte zone
abbiamo estirpato i socialisti, il tripartitismo è diventato
bipartitismo, i mondialisti contro noi patrioti. [...]”2.
La Le Pen ha quindi identificato il blocco elettorale tra PS e UMP
come un'unione di forze mondialiste (quindi, in potenza,
antifrancesi) coalizzate fra loro per scongiurare la vittoria dei
Veri Francesi, dei Patrioti, del Front National. Al primo turno aveva
esclamato “E' la rivolta del Popolo contro le Elite”3.
Il copione è lo stesso ma l'esito non è stato quello sperato. Al
di là del risultato, il punto è che lo slogan della deputata
francese corrisponde ad un modello interpretativo che nel tempo ha
dato vita a nuove formazioni politiche in altre nazioni come la
Spagna con Podemos e Ciudadanos, in Germania con Alternative Fur
Deutschland, in Finlandia con i True Finnish e in Italia con il
Movimento 5 Stelle.
Tutti questi
movimenti hanno in comune tra loro l'opposizione ad una classe
politica e burocratica nazionale percepita come una “casta”,
l'opposizione all'Euro e a tutto ciò che l'appartenenza alla moneta
unica porta con sé, l'accusa al capitalismo bancario di servire
interessi di pochi a scapito della società nel suo complesso e il
tentativo di fermare la deriva neoliberista delle società
occidentali sebbene rispetto a tutti questi il FN sia ancora venato
di un forte nazionalismo. Marine Le Pen aderisce a questa visione e,
dopo aver sfrondato la sua ala estrema, rimasta con il fondatore
Jean-Marie Le Pen, oggi si propone come la paladina delle classi
medie impaurite e impoverite e dei francesi che vedono sparire il
lavoro.
La
contrapposizione Destra-Sinistra in tutta Europa sta lasciando il
campo ad una nuova forma, se vogliamo “neoclassista”, della
contrapposizione politico-sociale in cui la dicotomia è oggi
rappresentata da una classe mondialista e cosmopolita composta da
imprenditori, finanzieri, politici, corporations, fondi sovrani,
conti alle Cayman, ecc da una parte e il resto della popolazione
dall'altra. Se proprio non è il 99% contro l'1% non vi si discosta
molto. Una tale rappresentazione del conflitto politico-sociale
ricalca in parte quella esposta da Alexander Dugin4
nel 2012 nel saggio “La Quarta Teoria Politica”. Il politologo,
filosofo, geopolitico russo ha dato strutturazione filosofica a
questo processo che nel corso degli anni 2000 aveva già descritto
come rappresentazione della strenua lotta dei popoli per contrastare
la spinta omologatrice del “progresso liberista” e del suo
pensiero unico.
Peraltro
alcuni notisti politici5
hanno anche fatto notare la vicinanza “ideologica” tra la Russia
di Putin e il FN in Francia o il tono benevolo di alcuni post sul
blog di Beppe Grillo in merito alle azioni russe in Siria. Dugin non
è anti democratico ma fortemente anti liberale. Egli sin dalle prime
battute afferma che il liberalismo abbia fatto di tutto per
assicurare il collasso della politica6.
In quanto dottrina politica il liberalismo è passato dal livello di
idea, programma politico e dichiarazioni ad un livello di realtà
infusa dei suoi principi, scansando tutte le possibili alternative e
rendendosi di fatto l'unico ordine di cose possibili 7.
Avendo
sconfitto tutte le altre dottrine politiche come il comunismo, il
fascismo ed il nazionalismo il liberalismo si pone oggi come uno
stile di vita; la politica diventa così bio-politica agendo a
livello individuale e sub-individuale 8.
Secondo l'autore non c'è che un modo per reagire a questa deriva,
ovvero rigettare le teorie politiche classiche, sconfitte dalla
Storia, e fondarne una nuova che integri il meglio da esse proposto
ed elimini gli aspetti devianti che le hanno portato alla disfatta.
Pertanto per giungere alla formulazione di una Quarta Teoria Politica
che superi le prime tre, liberalismo, comunismo e fascismo è
necessario9
riconsiderare la storia politica dei secoli recenti a partire da una
nuova posizione che superi gli schemi propri delle vecchie ideologie
e prendere coscienza dell'attuale struttura della società globale
che va emergendo.
Decifrando
correttamente il paradigma della post-modernità si dovrà imparare
ad opporre non tanto le idee politiche, i programmi o le strategie
quanto la obiettiva realtà dell'attuale frammentata e apolitica
post-società globale. Infine, quindi, costruire un modello politico
che offra una nuova visione del mondo.
Secondo
Dugin, la “Fine della Storia” prospettata da Fukuyama è giunta,
l'economia ha sostituito la politica sotto forma di mercato
capitalista globalizzato e gli stati si stanno dissolvendo nel
“meltin' pot” della globalizzazione10.
Il liberalismo diviene allora post-liberalismo. Senza una dimensione
politica esso cessa di essere una libera alternativa ma diviene una
sorta di destino storicamente deterministico (economics as destiny)11.
Politicamente
non è possibile determinare una destra ed una sinistra all'interno
del panorama post-liberale. Dugin afferma che esistano solamente due
posizioni: il centro (compiacenza) e la periferia (dissenso) entrambe
applicabili a livello globale12.
La suddivisione interna tra partiti di centrosinistra o centrodestra
è perciò fittizia e funzionale a mantenere sotto controllo l'azione
dei governi verso il fine mondialista. Politicamente,
quindi, è necessario formare un fronte comune tra sinistrorsi,
seguaci della nuova destra, movimenti religiosi ed altri movimenti
anti-modernisti come ad esempio gli ecologisti o i verdi.
In
definitiva Dugin definisce il liberalismo nella sua forma attuale
“una forma di dittatura globale, incarnata da una potenza, gli
Stati Uniti, che pretende di decidere chi è nel giusto e chi non lo
è e perciò chi dovrebbe essere punito per questo”13.
I valori occidentali fungono da termine di paragone e pretendono di
essere universali ma sono in realtà una forma di aggressione
ideologica contro la molteplicità di culture e tradizioni ancora
esistenti nel mondo. In definitiva Dugin non costruisce la sua teoria
in maniera positiva ma negando quegli elementi delle tre precedenti
teorie che si sono dimostrate fallimentari e ne hanno determinato la
sconfitta storica: “La Quarta Teoria Politica non indica cosa essa
sia ma cosa in realtà non sia”14.
Le elezioni
appena svolte hanno dimostrato che il FN non può vincere al secondo
turno perchè non ha possibilità di allearsi con nessuno e che deve
fare di tutto per conquistare il 50,1% al primo. I prossimi due anni
ci diranno se le operazioni di “erosione” del voto di destra da
parte di Sarkozy, o chi per esso a destra, avranno avuto successo e
se il PS troverà un candidato forte e credibile per la successione
ad Hollande (sarà dura risalire dall'attuale 20% di gradimento in
due anni per ottenere l'investitura alle presidenziali come candidato
socialista). Politicamente potrebbe essere maggiormente danneggiato
da Sarkozy ma la gestione delle crisi internazionali, attualmente in
mano ad Hollande, può influire sulla “narrativa” che la Le Pen
potrà mettere in campo.
Al momento,
nell'ottica di Dugin, la Compiacenza vanta il 70% dei consensi contro
il 30% del dissenso. Ancora altri due anni di questa crisi infinita e
di attentati suicidi potrebbero invertire quelle percentuali.
E se la
Francia cambia rotta, ça va sans dire, lo fa anche l'Europa.
Note:
1http://russeurope.hypotheses.org/4557
in
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15992
2http://www.lastampa.it/2015/12/14/esteri/nel-suo-feudo-al-nord-marine-prepara-la-riscossa-sabotati-ci-rifaremo-HPr2kSKxSGhrM9balY9N2O/pagina.html
3http://www.affaritaliani.it/esteri/francia-le-pen-rivolta-del-popolo-contro-le-elite-i-socialisti-ritirano-i-candidati-396572.html
4Alexander
Dugin è nato a Mosca nel 1962. Laureato in filosofia, è stato
giornalista durante gli anni di Breznev e co-fondatore nel 1993 del
Partito Nazional Bolscevico insieme al politologo Eduard Limonov. In
seguito è stato animatore e finanziatore del Partito Eurasia (poi
Movimento Eurasiatista) nei primi anni del 2000. La geopolitica è
il suo principale interesse e in questo campo egli diverrà un
influente consigliere del Presidente russo Vladimir Putin durante
gli anni della sua prima presidenza. Il suo saggio del 1997 Le basi
della Geopolitica è stato anche adottato come libro di testo
dall'Accademia Militare Russa
5http://www.iltempo.it/esteri/2015/12/09/marine-e-putin-uniti-contro-le-elite-1.1487597
6Alexander
Dugin, La
Quarta Teoria Politica, Arktos Media,
2012, p.12
7
Ibidem.
8Ivi
p.13.
9Ivi
p. 14
10
Ivi p. 19
11
Ivi p. 19
12
Ivi p. 22
13
Ivi p. 193 . In più di un'occasione i presidenti
americani Reagan, Bush e Obama hanno accusato la Russia di essere
“dalla parte sbagliata della Storia”
14
Ivi p. 196
Nessun commento:
Posta un commento