E infine ha vinto Donald
Trump.
Dopo un anno di campagna
pro Clinton su tutti i media americani ed internazionali, molti si
sono fatti convincere dalla loro stessa propaganda ed ora si dicono
stupiti. In Italia, ad esempio, nella lunga notte elettorale, tutti i
canali erano in collegamento satellitare solamente con il comitato
elettorale di Hillary Clinton snobbando quello di Trump. Ovvio il
"buco" mediatico derivante dall'inattesa vittoria del
candidato Repubblicano.
Ma è stata realmente tale o si poteva prevedere con un buon grado di approssimazione?
Credo sia sufficiente
osservare la distribuzione del voto popolare e dei delegati
conquistati da Trump in questa elezione per comprendere la distanza
tra l'elettorato americano reale e la campagna mediatica imbastita
dalla candidata democratica.
Ha votato per Trump tutta
la "rust belt", la cintura arrugginita , fatta di fabbriche
chiuse e attività dismesse. Un tempo patria del "Made in USA"
è oggi il cuore degradato di un'America industriale depredata
dall'outsourcing verso il sudest asiatico. E' da questa parte
d'America che viene il malcontento verso i trattati internazionali
TPP e TTIP, visti come una cessione alla grande finanza
internazionale ma senza ricadute per le classi medie e proletarie.
Inoltre è un'area a maggioranza bianca e tradizionalista, zoccolo
duro dell'elettorato repubblicano. Non ultimo, rappresenta il blocco
agricolo della nazione, storicamente conservatore ed isolazionista.
Per la Clinton hanno invece votato gli stati che si affacciano sulle
coste est ed ovest, sede dei più importanti comparti economici
americano, finanza e tecnologia, in cui si concentrano la maggior
parte dell ricchezza e del potere degli USA.
Clinton ha fatto appello
alla popolazione cosmopolita e progressista, lottando con Sanders per
raggiungere le fasce più basse della popolazione ma senza riuscirvi.
Una volta pubblicati, saranno analizzabili i dati dei flussi
elettorali che ci diranno dove sono andati i voti ispanici,
afroamericani e quelli religiosi o dei giovani. Ma una vittoria così
netta contiene i germi di un cambio di paradigma E' lo stesso
fenomeno già osservato nelle elezioni nazionali francesi, nel
referendum sulla Brexit, nell'ascesa impetuosa del Movimento 5 Stelle
in Italia o nelle affermazioni elettorali di AFD in Germania.
I cittadini stanno
interpretando la realtà alla luce della loro esperienza quotidiana,
mediandola con la rappresentazione che di questa danno i media ormai
onnipresenti. La crescente consapevolezza nei cittadini delle ampie
contraddizioni del sistema, di una propaganda spinta al parossismo
che, ingenerando la reazione opposta, si tramuta in rifiuto, nella
sensazione di manipolazione ed il forte contrasto tra il mondo
idealizzato e le necessità reali, hanno portato ovunque nel mondo a
risultati elettorali "inattesi". Il realismo delle classi
lavoratrici ha vinto sull'idealismo paternalista delle classi
dirigenti al governo. Ora quel realismo si sposa a quello di un
presidente che ha fatto più di una dichiarazione clamorosa su tutti
i temi di politica estera in un mondo che non vede più gli USA come
il dominus incontrastabile delle relazioni internazionali.
Queste
sono ormai dominate dal ritorno di un'ottica realista in cui ognuno
cerca di garantire i propri interessi.
Questa svolta sta
avvenendo sotto i nostri occhi e ne sono un ulteriore indizio
l'assertività di Erdogan in Turchia, l'interventismo russo in Siria
ed Ucraina, le rivendicazioni cinesi sul Mar Cinese Meridionale e le
dichiarazioni antiamericane del Presidente filippino Dutarte. In
Europa diversi governi non stanno ratificando le disposizioni in
arrivo dalla UE in merito alle direttive in tema di migranti e fiscal
compact. L'Inghilterra esce dall'Unione Europea e altri paesi
rallentano il loro ingresso. Gli Stati Uniti arrivano buoni ultimi su
questa scena ma, visto il peso, determineranno senz'altro nuovi
equilibri.
Durante la campagna
elettorale una delle accuse ricorrenti a Trump è stata la sua
intenzione di riavvicinare Russia e USA verso una cooperazione di
sicurezza ed è stato perciò tacciato di "intelligenza con il
nemico" e di essere amico di Putin. Dal punto di vista della
scuola Realista delle relazioni internazionali è invece un
comportamento assolutamente razionale. Trump, d'altronde, è tutto
fuorché un idealista kantiano. La scuola di pensiero realista
afferma infatti che è molto più probabile che attori internazionali
egualmente forti come Russia ed USA scelgano di accordarsi tra loro
tanto in virtù del costo che entrambi pagherebbero in caso di
guerra sia in quella della stabilità più ampia del sistema che
implica meno costi per mantenere l'ordine tra le potenze emergenti.
Un accordo tra Russia ed
USA sulla Siria e sullo status della Repubblica del Donbass, in
Ucraina, sono risultati che si possono raggiungere per via
diplomatica. Gli USA non hanno, al momento, la forza di contrastare
la crescita di Cina e Russia se non intaccandone la sfera economica.
Una guerra convenzionale con uno di questi due opponenti sarebbe
improponibile. Se uno dei pilastri della scuola realista è che i
rapporti internazionali devono fondarsi sulle effettive capacità
(industriali, militari, economiche) degli Stati e non sulle loro
intenzioni (ovvero quelle del governo pro-tempore), il secondo è che
non è importante qual'è la forma dei governi che raggiungono un
accordo tra loro ma il contenuto di esso e gli interessi dei
contraenti. E' stata questa l'ottica con la quale USA e Cina si sono
riavvicinate negli anni '70, e dello straordinario successo di
entrambi negli ultimi 20 anni. E' questo il motivo della solida
alleanza tra la democrazia americana e la teocrazia saudita o il
ristabilimento delle relazioni con Cuba. Cosa ci dobbiamo quindi
attendere dal nuovo Presidente americano? Trump è un realista e le
sue scelte saranno prese, se possibile ancor più, nell'esclusiva
ottica di perseguire gli interessi americani. Questi attraversano il
versante politico, economico e militare ed hanno impatto su tutte le
nazioni, sebbene in maniera differente.
Nel suo programma
elettorale ci sono elementi di forte protezionismo e di
unilateralismo che avranno un forte impatto sull'economia mondiale,
se messi in atto. Il rimpatrio di attività industriali sul suolo
americano è già in atto (si chiama in-shoring) ma Trump potrebbe
accellerarlo con una politica di sgravi fiscali che favoriscano
l'impiego di una vasta manodopera locale la cui paga oraria media è
comunque inferiore a quella europea. Anche senza l'approvazione del
TTIP i mercati europei potrebbero veder arrivare nuovi concorrenti
americani, meno competitivi dei cinesi in termini di prezzo ma più
concorrenziali in termini di qualità, tecnologia e certezza del
sistema di regole. Un eventuale rialzo, già a dicembre, dei tassi
d'interesse da parte della Federal Reserve, potrebbe far partire poi
la corsa al titoli di stato americani ed al conseguente calo del
Dollaro nei confronti dell'Euro, ma anche dello Yuan. Ciò porterebbe
le merci americane in una posizione di vantaggio in termini di export
verso l'Europa e di minori importazioni dalla Cina. Quest'ultima
vedrebbe crescere il suo vantaggio di cambio nei confronti dell'Euro
e se, malauguratamente per l'Europa, lo status della Cina divenisse
quello di "Economia di Mercato", il vecchio continente
verrebbe invaso da fiumi di export cinese, capace di distruggere
qualsiasi sistema industriale europeo. Più lavoro negli Stati Uniti
e rendimenti crescenti nelle obbligazioni significano riduzione dei
capitali all'estero, con conseguente arretramento dei valori azionari
e minori investimenti industriali.
Oltre a questo, il rialzo dei
tassi americani porterebbe con sé anche quelli europei con l'incubo
di poter rivivere il quadriennio 2008/2012 che ha sterminato il 25%
della produzione industriale italiana e ha intaccato seriamente
quella europea. D'altra parte un'apertura di Trump verso la Russia
potrebbe portare con sé l'abolizione del regime di sanzioni verso
quest'ultima permettendo alle aziende europee di poter tornare a fare
affari con Mosca. Trump si è già detto contrario al TTIP, in quanto
verrebbe limitato nelle sue scelte politiche da un accordo
sovranazionale e potrebbe rimettere in discussione il TPP per quanto
detto prima in merito alle importazioni dall'Asia. In termini
politici la sua ascesa avrà influenza in seno alla commissione
europea sul panorama delle alleanze in Europa in quanto i
repubblicani (che hanno vinto anche Senato e Camera dei
Rappresentanti), tradizionalmente associati ai partiti di
centrodestra , avranno come controparte governi europei ad essi
inclini, a parte la Francia di Hollande e l'Italia di Renzi. Con i
socialisti francesi che quasi certamente perderanno le presidenziali
del 2017 e l'Italia del PD a rischio se al prossimo referendum
dovesse vincere il NO, Trump troverà entro l'anno prossimo un Europa
a maggioranza di centro-destra e con partiti anti sistema in
crescita. Non è un segreto che in entrambi questi schieramenti vi
siano simpatizzanti delle politiche messe in atto dal Presidente
Putin.
Questo scenario potrebbe semplificare un riavvicinamento tra
Russia ed USA anche sulla questione della ragione d'essere della NATO
che è stato un altro tema molto controverso della campagna di Trump,
e che ha generato molti timori negli atlantisti dell'establishment
americano. La NATO ha continuato ad espandersi dal 1989 ad oggi sino
a lambire direttamente i confini della Russia. Il confronto di nervi
tra le due entità militari non ha tardato a manifestarsi, con la
disposizione di truppe nelle repubbliche baltiche in ottica anti
russa o il presidio dei cieli del baltico e delle coste del Mar Nero
da parte della marina russa per ribadire la propria presenza alle
sempre più frequenti navi americane in quelle aree. In Siria russi
ed americani si combattono silenziosamente sebbene i secondi si
celino dietro a milizie islamiche finanziate con fondi forniti dai
sauditi e dalle petro-monarchie del golfo. Anche queste ultime sono
parte del riassetto dell'ordine internazionale. Se Trump rispetterà
gli accordi con l'Iran, l'influenza dell'islam sunnita intransigente
di matrice wahabita si ridurrà, e con essa la forza di ISIS e al
Qaeda in tutto il medioriente. E' pur vero che i sauditi sono
comunque intenzionati ad armarsi per contrastare proprio l'Iran
sciita ed i loro acquisti sono storicamente rivolti agli Stati Uniti.
La Siria è una partita delicatissima che vede al tavolo USA, Russia,
Iran, Assad e la Turchia ma di riflesso anche Cina ed EU. Le mosse di
Trump in questa vicenda nei prossimi sei mesi saranno molto
indicative.
Il nuovo Presidente ha
davanti a sé, a partire da gennaio 2017, quattro anni intensi. E'
presto per fare ipotesi ma dovrà soddisfare prima di tutto le
richieste degli americani perché è da questi che è stato eletto. I
primi mesi di governo lo vedranno impegnato su questo fronte e sugli
incontri con gli altri capi di Stato e di Governo. Il riflesso di ciò
che deciderà per gli USA si riverbererà su tutto il globo dando
forse vita ad una nuova era geopolitica. Lo sapremo all'inizio del
suo secondo mandato.
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