La settimana scorsa l'OMS ha dichiarato ufficialmente lo stato di pandemia per il virus COVID-19 ed ormai tutte le nazioni hanno preso gli stessi provvedimenti attuati da Cina ed Italia, ovvero chiudere le frontiere e obbligare i propri cittadini a non uscire di casa.
L'economia sta soffrendo molto e la settimana scorsa le borse mondiali sono arrivate a perdere più del 20% del proprio valore, ma a Milano si è arrivati al 30%, con una caduta del 17% in una sola seduta. Tutte le classi di investimento, azioni, obbligazioni societarie, petrolio e addirittura l'oro, hanno perso notevolmente valore, portando l'economia mondiale verso la strada della recessione. Le azioni intraprese per limitare l'espansione del contagio stanno fermando sia la produzione quanto i consumi e tutte le nazioni vedranno il proprio PIL ridursi nell'anno in corso. La domanda che tutti si pongono ora è: quando potremo dire che l'epidemia è finita o perlomeno sotto controllo?
Arriverà il momento in cui, nell'impossibilità di poter dire che l'epidemia è finita, si dovrà permettere un ritorno alla normalità e accettare una certa percentuale di rischio. Nel frattempo, quante attività commerciali ed industriali avranno chiuso i battenti per assenza di ricavi, pur in presenza di costi (bollette, personale, ammortamenti, ecc)? Quante persone avranno perso il lavoro o i propri risparmi, nella caduta senza fine dei corsi economici? E' necessario, ora, decidere quale sarà il limite di questa situazione e quando potremo dire di essere tornati, più o meno, alla normalità. Immaginare di chiudere in casa l'intera popolazione mondiale per tutto l'anno non è una scelta razionale e, d'altronde, in un mondo orientato alla produzione e al consumo, vorrebbe dire distruggere le società così come le conosciamo. Sebbene per anni ci sia stato detto che l'economia si stava digitalizzando, ciò è vero solo in parte e beni fisici e alimentari devono essere prodotti e distribuiti; la loro assenza dai nostri scaffali è compatibile solo con una futura, permanente, fase di stagnazione con conseguente riduzione di salari e consumi. “Casa dolce casa” si, ma non per sempre.
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