Sabato 14 un attacco portato da droni
ha danneggiato due grandi impianti petroliferi sauditi. Il Segretario
di Stato USA, Pompeo, ha subito accusato l'Iran, sebbene sia giunta
immediata la rivendicazione pa parte delle guerriglie Huthi dello
Yemen.
La situazione è complessa e molti
attori partecipano agli avvenimenti in corso in quell'area. L'attacco
è giunto alla vigilia delle elezioni israeliane e a due giorni dal
licenziamento del consigliere Bolton, fieramente anti Iran, da parte
del presidente americano.
Aggiungiamo che a giugno erano state
colpite due petroliere al largo di Hormuz e una rappresaglia
americana è stata fermata da Trump in persona, che al recente
vertice del G7 in Francia ha partecpato anche il ministro degli
esteri iraniano Zarif e che nei giorni scorsi Trump si è detto
pronto ad aprire il dialogo con l'Iran, offrendo una linea di credito
di 15 miliardi. Tutti questi fatti sono strettamente connessi tra
loro. Bolton era fautore della linea dura con l'Iran con lo scopo di
arrivare ad un cambio di regime in quel paese, o addirittura ad una
guerra, ma Trump è contrario. Egli sa che sarebbe un evento
catastrofico, senza alcuna certezza di vittoria. Vi è una lotta
strenua nell'amministrazione tra il Presidente e alcune figure di
spicco della burocrazia nominata negli anni precedenti, che spinge
per una guerra all'Iran. Bolton rappresentava quest'ultima ed era
appoggiato sia dai sauditi che dal Premier israeliano Nethanyau.
Senza voler essere complottisti, è da notare come ogni volta che
Trump fa un passo verso l'Iran, qualcosa accade per riportare la
tensione tra i due Stati. Bisogna aggiungere che l'Iran è il primo
fornitore di petrolio alla Cina e che la Russia ha con esso stretti
legami economici e militari. Una guerra chiamerebbe in causa
direttamente entrambi i paesi e sarebbe una catastrofe. L'Europa
cerca di far da paciere ma ogni giorno accade qualcosa che annulla
gli sforzi verso un accordo. Oggi è il petrolio a scorrere,
preghiamo perchè domani non sia il sangue.
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