Perchè Ordine e Progresso?

Il Blog prende il nome dal motto inscritto sulla bandiera del Brasile e mutuato da un'aforisma di Auguste Comte.
Questi, uno dei padri della Sociologia, era una convinto positivista, il che nel 1896 lo rendeva anche un progressista.
L'importante è , come infatti Comte mette al primo punto, che l'Amore sia sempre il principio cardine dell'Agire.


L'Amore per principio e l'Ordine per fondamento;il Progresso per fine

Auguste Comte ,1896

domenica 16 dicembre 2018

L'età dell'oro.



L'Ordine Internazionale sta cambiando, di giorno in giorno, davanti ai nostri occhi.
Nazioni prima considerate del secondo o terzo mondo, come Russia, Cina o India, competono con Europa e USA per l'egemonia mondiale. La prima delle due, è in preda alle convulsioni generate dalle rivolte interne francesi, dalla secessione inglese, dal “ribellismo” italiano e dal nazionalismo delle Nazioni dell'est. La seconda ha deciso di cambiare tutte le regole, e di stracciare quelle che non possono esserlo in maniera a lei favorevole. America First è il motto del Presidente Trump, e si staglia su ogni azione della sua amministrazione. Tutto questo, però, porta con sé una serie di ricadute che investono la natura delle società. I segni di un passaggio di stato nell'Ordine Internazionale ci sono tutti, come fa notare Richard Haas su Foreign Policy del gennaio 2019 1.

Il sistema internazionale non è così “inevitabile” come una certa narrativa lo dipingeva appena due anni fa. Anzi, è in continuo mutamento ed è per questo che sono necessari aggiustamenti al sistema di regole che governano il mondo dalla fine della II Guerra Mondiale prima, e della Guerra Fredda poi. Anche se alcune tensioni, come quella coreana, sembrano stemperarsi, altre si stagliano già all'orizzonte, come una crisi sino-americana o russo-europea. Senza contare il calderone sempre acceso del medioriente.

Il sistema in cui attualmente viviamo è solo in seconda battuta figlio della seconda guerra mondiale. Dopo quel tragico evento nacquero la CECA, primo embrione dell'attuale UE, la NATO, la Banca Mondiale, Il Fondo Mondiale Internazionale e il GATT, che diverrà in seguito WTO e la trasformazione della Società delle Nazioni in ONU.
Questi organismi sovranazionali hanno rappresentato il quadro giuridico, militare, politico ed economico al quale le Nazioni, e quindi le politiche nazionali, hanno dovuto conformarsi in questi 70 anni.

Il mondo, materiale e immaginario, in cui viviamo è però, in prima istanza, conseguenza di quanto avvenuto nei primi anni 70.
Il 15 Agosto del 1971, l'allora Presidente americano Nixon, annunciò che avrebbe “temporaneamente chiuso la finestra di convertibilità tra oro e dollaro” ponendo fine alla parità aurea di 35 $ per un oncia di oro, che era rimasta valida dagli accordi Bretton Woods in poi. Si dava il via alla fase inflazionaria del dollaro2 e alla sua diffusione planetaria. La cosiddetta “dollarizzazione dell'economia mondiale”

Il 21 Febbraio del 1972, lo stesso Nixon si recò in visita in Cina.
Detta così, oggi, sembra un'affermazione banale ma per il periodo fu un gesto epocale. Nel pieno della Guerra Fredda, il Presidente americano si recava in visita ufficiale nel più popoloso paese comunista, suo acerrimo nemico ideologico e militare. Gli accordi che ne scaturirono permisero alla Cina di uscire dall'abbraccio, troppo stretto, con l'URSS e agli Stati Uniti di dividere un blocco che, unito rappresentava i due terzi della massa terrestre.
I cinesi gradiscono perseguire accordi in cui ognuno degli attori raggiunga un proprio obiettivo, almeno subottimale. E' la strategia detta “win-win”.

Anche dal punto di vista economico, cinesi e americani si accordarono per ottenere un vantaggio reciproco. Il mercato statunitense. ed occidentale, si sarebbe aperto alle merci cinesi, se il Paese di Mezzo avesse poi reinvestito i capitali guadagnati, acquistando debito pubblico americano. A giugno del 2018 il debito acquistato da Pechino ammonta a 1200 miliardi di $3 ed è il maggiore tra i creditori degli USA.

Le ricadute per il mondo hanno iniziato a vedersi a partire dal 1978 e poi con maggior slancio dal 1992, con la nuova politica di Deng Xiao Ping, e il suo slogan: “arricchirsi è glorioso”. Il Socialismo con caratteristiche cinesi, immaginato da Deng, non disdegnava la crescita economica e quella industriale. Da allora, migliaia di aziende da tutto il mondo hanno realizzato propri impianti in Cina, realizzando quello che si chiama “off-shoring”, chiudendo contemporaneamente le fabbriche nei paesi d'origine.
Ciò è avvenuto soprattutto negli USA che, a partire dagli anni 90, hanno ridotto la produzione industriale ed aumentato le importazioni dall'estero, soprattutto dalla Cina. Contemporaneamente si è verificata la forte finanziarizzazione dell'economia americana e il progressivo aumento del deficit commerciale con Pechino.

E' soprattutto accaduto che milioni di aziende cinesi siano entrate nel mercato globale. Il mix tra basso costo del lavoro, trasferimento di tecnologia, popolazione con elevati tassi di educazione universitaria, politiche dirigiste e porti naturali noti da secoli, sia stato letale per molte aziende occidentali.
Per fare un esempio, la quasi totalità della produzione di articoli elettronici quali televisori, radio, videoregistratori, DVD è stata monopolizzata da aziende cinesi, dapprima con marchi europei o giapponesi, e quindi con quelli propriamente cinesi. Ad oggi non esistono più produzioni di rilievo in Europa ed anche molti marchi storici sono stati acquistati da fondi finanziari asiatici.

Molte altre produzioni, in special modo quelle con basso valore aggiunto o con lavorazioni largamente manuali, sono state spostate in Cina prima e nel resto dell'Asia, poi.
L'abbassamento generalizzato dei costi di produzione ha stimolato l'offerta, che si è riversata sui mercati mondiali grazie alla crescita esponenziale della logistica marittima. Le grandi navi portacontainer hanno iniziato a solcare i mari in maniera sempre più copiosa e le grandi catene di distribuzione, con i loro ipermercati, hanno portato il “modello di consumo” americano in tutto il mondo. E' stata quella che abbiamo chiamato per più di dieci anni, “globalizzazione”, ed ha cambiato molti dei paradigmi economici e politici del mondo uscito dalla fine della Guerra Fredda.

Se è vero che in Cina è nata una enorme classe media, e addirittura una vasta platea di miliardari, in quest'ultimo quarto di secolo, in tutto l'occidente, si è verificato un abbassamento dei salari ed un aumento della disoccupazione. Il vasto credito concesso nei primi anni 2000, ha finanziato molti acquisti altrimenti impossibili, come l'auto o la casa e l'impoverimento è stato solo in parte compensato dall'abbondanza di merci a basso costo provenienti da tutto il mondo, ed in particolare dalla Cina. E' veramente raro, ad oggi, trovare in casa un prodotto che non sia marchiato “made in china”, indipendentemente che sia un costoso televisore 50 pollici o un economico portachiavi.

Tutte le Nazioni occidentali, nessuna esclusa, hanno un disavanzo commerciale con il paese del Dragone, e non tutte hanno esportazioni o partecipazioni in aziende cinesi, sufficienti a contrastare il fenomeno della “cinesizzazione”.
L'apparizione dei BRICS sulla scena mondiale è coinciso con la prepotente crescita della finanza internazionale. Strumenti sempre più sofisticati sono stati il sostegno della globalizzazione in tutti gli anni 90 e lo sono tutt'ora. Sebbene le crisi si siano avvicendate, a cicli quasi regolari, in tutti decenni e con effetti sempre maggiori, la finanza resta il principale collante del sistema internazionale, che piaccia o meno.

Senza i flussi di capitali che quotidianamente si spostano da un continente all'altro, non potrebbero muoversi neanche le merci che con quei capitali vengono prodotte ed acquistate.
A seguito della crisi del 2008, e negli anni seguenti, di fronte al porto di Singapore si ammassarono centinaia di navi portacontainer vuote. Il Baltic Dry Index, l'indicatore che segnala il costo di affitto di tali navi, era sceso a livelli talmente bassi che diverse navi furono demolite, poichè il costo dello stallo in porto non sarebbe stato ripagato dall'eventuale nolo.

Come detto, nel '71 Nixon ha messo fine al “gold standard” americano e ciò ha permesso la creazione quasi infinita di massa monetaria che si è riversata in tutte le attività industriali, commerciali, di ricerca, di comunicazione. Da quel giorno in poi, il mondo ha iniziato a navigare in un mare di credito denominato in dollari.
Con il credito arriva, però, anche il debito.
L'enorme balzo in avanti delle telecomunicazioni mondiali, è avvenuto a scapito di centinaia di migliaia di investitori. Alcuni di loro hanno perso denaro durante la bolla delle aziende di telecomunicazioni, e la corsa alla posa dei cavi di interconnessione transoceanica e internazionale. Altri li hanno persi nella successiva bolla delle “dot com”, le aziende di internet che appena nate si quotavano in borsa, e raggiungevano quotazioni stellari.

Questo processo ha però permesso sovracapacità di connessione, con la conseguente riduzione dei costi, e un'ampia diffusione di internet tra la popolazione mondiale per la successiva, attuale fase, in cui la rete è parte integrante dell'economia reale di molte Nazioni. I magazzini di Amazon impiegano centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, e l'indotto muove miliardi di dollari ogni anno.
L'alternarsi delle fasi di “boom and bust”, crescita e crollo, dell'economia mondiale è stato una costante degli ultimi decenni, a partire dal “lunedì nero” del 1987 sino al fallimento di Lehman Brothers nel 2008. Ognuna di esse ha portato ad un aumento del credito rilasciato dalle banche centrali mondiali, a nuove regole emesse dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (le famose regole di Basilea) , a nuove bolle e a nuove crisi.
Stiamo per raggiungere il punto di questa digressione, sebbene la premessa sia stata piuttosto elaborata.

Oggi tutte le materie prime vengono scambiate in dollari, così come la maggior parte delle transazioni economiche, monitorate attraverso il consorzio SWIFT, attraverso il quale devono obbligatoriamente passare4.
Il sistema finanziario internazionale è incardinato al dollaro e ne è suo ostaggio. Si parla apertamente di “dollar weaponization”, un concetto che in italiano si potrebbe tradurre con “usare il dollaro come un'arma”. Le fluttuazioni della valuta americana sono decise dalla FED e dal Ministero del Tesoro, ma influenzano i destini di tutto il mondo. Il suo utilizzo negli scambi internazionali è condizionato alla volontà di un solo paese, gli USA, ed esserne esclusi porta all'isolamento internazionale. Inutile dire che ogni epoca ha avuto la sua moneta preminente, e che l'enorme diffusione del dollaro ha creato le condizioni per la nascita e la crescita del mercato internazionale, ma la fase attuale è ampiamente multipolare e necessita regole nuove.
Ed è un paradosso, se si pensa che questo momento storico è proprio un effetto dell'enorme crescita degli scambi internazionali, grazie a mercati regolamentati e finanziariamente resi stabili dalle transazioni in dollari.

Lo squilibrio attuale è l'effetto di quanto descritto nella premessa; dopo anni di off-shoring, il consumatore americano non ha più un lavoro per alimentare i propri consumi, o il proprio reddito non è sufficiente. L'impegno di Trump a riportare aziende sul suolo americano è legato alla perdita del tessuto industriale americano, che rende difficile riequilibrare le esportazioni e con esse la bilancia commerciale. Accordi in tal senso sono già stati imposti a Messico e Canada. Se poi si considera che nell'acquistare prodotti cinesi gli americani finanziano il proprio principale sfidante per l'egemonia mondiale, si comprende l'enfasi che il presidente americano mette nelle trattative sul commercio internazionale. Dall'altro lato dell'Atlantico, i consumatori europei lottano da anni con la disoccupazione, che è in media il doppio di quella americana, e vivono in Nazioni con tassi di crescita molto bassi, se comparati a quelli di molti grandi competitori esteri.

Le sollecitazioni all'Europa a “prendersi maggiori responsabilità” nel campo della difesa, che tradotto significa aumentare la propria contribuzione nella NATO, sono anch'esse una scelta legata alla riduzione del budget americano e a una ridefinizione delle priorità strategiche.
Le scelte politiche di Trump, tese a ridurre le spese americane ed aumentare le entrate, non sempre si conciliano con le decisioni della FED, che è propensa ad imboccare la strada del lento, ma costante, rialzo dei tassi di interesse. Ciò porta ad un apprezzamento del dollaro, che rende più difficili le esportazioni e convenienti le importazioni, un effetto che vanifica le scelte delle politiche presidenziali.

Come ben si comprende “l'esorbitante privilegio”, come lo definì De Gaulle, di poter essere al contempo utilizzatore ed emittente dell'unica valuta di riserva, porta con sé oneri e onori.
Anche gli USA si stanno rendendo conto che i primi stanno superando i secondi.
Molte Nazioni scambiano ogni giorno miliardi di dollari per acquistare prodotti energetici. Alcune di loro hanno creato programmi di “swap”, di scambio, di rispettive valute per acquistare i prodotti reciproci e aggirare l'egemonia del dollaro5. Per Nazioni come l'Iran, sotto sanzioni da più di 40 anni, vendere petrolio e gas in dollari è divenuto, nei fatti, impossibile. La Repubblica Islamica ha però in essere contratti miliardari con Russia e Cina in Rubli e Yuan e con altri paesi addirittura in oro.

La stessa Unione Europea, il più grande consumatore di energia del pianeta6, vuole mantenere i contratti nel settore energetico con l'Iran e sta predisponendo un veicolo finanziario in euro per aggirare le sanzioni americane. Il fondo sarebbe aperto ad altre Nazioni, e se si concretizzasse rappresenterebbe una modalità alternativa al pagamento in dollari.
L'Euro, per quanto contestato, è ormai la seconda valuta mondiale ed è pronto a sfidare il dollaro come moneta di riserva 7.

Anche i cinesi aspirano a rendere convertibile la loro valuta e così i russi. Questi ultimi hanno iniziato a vendere petrolio e gas in rubli attraverso contratti swap ed hanno ridotto a soli 15 miliardi di $ il loro portafoglio di titoli americani8. Ciò è in linea con le attese russe di potersi attendere di essere espulsi dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT, che non solo impedirebbe di recuperare quei crediti, ma escluderebbe la Russia dal commercio internazionale9.
Russia, Cina, Europa, India e molti altri paesi stanno da tempo pensando ad un sistema di pagamenti internazionale fondato su un paniere di valute, con un sistema valutario regolato, indipendente dalle volontà politica di una singola Nazione.
Si avverte l'esigenza di uno strumento politicamente neutro per gestire le transazioni economiche.

Quello strumento esiste già ed è sempre stato presente negli ultimi 5000 anni circa.
Si chiama oro.
Nel 2021 saranno passati 50 anni dall'annuncio di Nixon, e l'idea che possa riaprirsi quella finestra che “temporaneamente” chiuse svelerebbe scenari totalmente nuovi.
E' da ritenersi impossibile l'ipotesi di un ritorno ad un Gold Standard, almeno negli scambi internazionali?


Negli ultimi 15 anni la crescita del prezzo dell'oro è stata esponenziale, arrivando a toccare i 1800 $ nel 2012. E' ancora considerato moneta sonante in tutto il medioriente, in cui la finanza islamica lo usa attivamente nelle proprie transazioni, in Asia ed anche la Russia lo valuta un ottimo investimento10.

Il più grande produttore mondiale è la Cina, che però non lo commercia. Le stime sui lingotti di Pechino ufficiali si attestano sulle 1850 tonnellate, ma molti analisti stimano possano essere più del doppio. In questa particolare classifica sono primi gli Stati Uniti con 8130 tonnellate, seconda la Germania con 3370, terza l'Italia con 2450 poi la Francia con 243011.

Tutte le banche centrali hanno aumentato i propri possedimenti di oro fisico e il metallo giallo fa parte di panieri di investimento di grandi fondi ed è il collaterale di ETF e derivati. Una parte dell'oro di alcune Nazioni europee, è custodito a New York, presso la FED, e a Londra. In parte è la conseguenza della Guerra Fredda, per custodire l'oro europeo il più lontano possibile da Mosca, ma in qualche caso è servito da “garanzia” per prestiti particolarmente corposi. Negli ultimi anni è cominciato un movimento inverso, che ha riportato parte di quell'oro nei forzieri dei legittimi proprietari, e questo ha scatenato diverse illazioni. Nel mese di ottobre del 2018, l'Ungheria ha quasi decuplicato i propri possedimenti (31,5 tonnellate) seguendo quanto fatto negli anni precedenti da Polonia, Russia e Cina. Solo l'Inghilterra ha venduto quasi tutto il suo oro e per giunta ai prezzi più bassi del periodo, nel 2004.

Il problema principale dell'oro è al contempo la sua forza: la scarsità.
L'oro già estratto e raffinato, puro al 99% e vidimato è pari a 190000 tonnellate , se ne stima ne rimangano 54000 tonnellate12. Il valore totale di tutto l'oro estratto è , ai prezzi di dicembre 2018, pari a 7.1 triliardi di $.
Il valore totale dell'economia mondiale è stimato in 80 triliardi13; il rapporto è quindi di 11 volte. Ipoteticamente, quindi, il prezzo dell'oro dovrebbe aumentare di almeno quella cifra per assorbire l'intero valore dell'economia globale . Senza contare il valore attuale dei beni già esistenti.

Inoltre, l'economia mondiale è in larga parte è formata da strumenti finanziari fondati sul debito. Senza contare gli investimenti detti “a leva”, fatti cioè moltiplicando per un certo multiplo l'investimento iniziale (ma anche le perdite, nel caso contrario). L'oro non è moltiplicabile e, vista l'esigua quantità con la quale aumentano le riserve mondiali, è altamente stabile. Non è certamente lo strumento ideale per un mondo in cerca di continua crescita, ma può esserlo se l'obiettivo è la stabilità del sistema internazionale degli scambi, ma con regole nuove.

Sarà forse necessaria una cancellazione, magari un dimezzamento, del debito di tutte le Nazioni mondiali, per permettere all'oro di essere effettivamente un asset nel valutare le finanze nazionali. E' anche probabile che parte della “finanza creativa” che ha dominato il settore economico degli anni 2000, e che ha già portato alla crisi del 2008, dovrà aver fine. Un mondo in cui torni un “nuovo Gold Standard” sarà fondato sulla produzione di valore reale e sul suo scambio per un certo controvalore di metallo (con adeguati strumenti economici). La finitezza dell'oro e la sua tangibilità, lo rendono poco utilizzabile per prodotti altamente speculativi con rendimenti a doppia cifra. Già ora, nell'ambito della finanza islamica, i prestiti in oro non pagano interesse, e prestatore e contraente si impegnano in una partecipazione paritetica nell'investimento.



Questa ovviamente non è che una suggestione, ma quell'annuncio di Nixon e quel suo riferimento alla temporaneità dell'intervento lasciano aperti diversi interrogativi. Gli accordi internazionali hanno spesso durate predefinite, e queste sono di solito multipli di 5 anni sino ad arrivare a 100.
50 anni è un anniversario evocativo, e se si presenta in un periodo di tempeste valutarie, borse in discesa, tassi di interesse in crescita, bilanci nazionali che scricchiolano, tensioni geopolitiche, pensare che abbia una parte in tutto ciò non è irrealistico.

Così come 50 anni fa, cinesi e americani si trovano nella condizione di poter raggiungere un accordo win-win giocando, come allora, una partita di ping pong tra dazi e tariffe, svalutazioni e tassi di interesse.
Gli USA vogliono partecipare al ricco mercato cinese delle importazioni ma non vogliono subire le importazioni spinte dalle svalutazioni artificiali dello yuan. I cinesi vogliono continuare a mantenere aperto il commercio internazionale e , possibilmente, riprendersi parte di quei 1,2 trilioni di dollari che hanno prestato a Washington. Il tutto sull'orlo di un confronto militare diretto nel Mar Cinese Meridionale, o per procura, in Korea.

Anche oggi, come allora, a Pechino siede un “Grande Timoniere”, eletto a vita, e a Washington un Repubblicano, sebbene atipico e forse “antipatico” almeno quanto Nixon.
Anche oggi la Russia ha un ruolo di primo piano su tutti gli scenari mondiali, ed è straordinariamente vicina a Pechino su molti fronti.
L'Europa è in tutt'altre faccende affaccendata.
Le condizioni per un accodo epocale ci sono tutte.







1https://www.foreignaffairs.com/articles/2018-12-11/how-world-order-ends
2https://www.businessinsider.com/what-didnt-change-when-nixon-cut-the-gold-link-2011-7?IR=T
3https://www.bloomberg.com/news/articles/2018-06-15/china-s-holdings-of-u-s-treasuries-fell-5-8-billion-in-april
4https://www.swift.com/
5https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-01-15/la-bundesbank-acquista-yuan-che-sale-massimi-due-anni-115017.shtml?uuid=AEFj4niD
6https://temi.camera.it/leg17/temi/l_unione_dell_energia_e_la_lotta_ai_cambiamenti_climatici_
7https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-12-05/commissione-ue-denominare-euro-contratti-petrolio-e-gas-125721.shtml?uuid=AExMzWtG&fromSearch
8https://www.businessinsider.com/russia-sells-us-treasuries-debt-2018-7?IR=T
9https://www.cnbc.com/2018/05/23/russias-central-bank-governor-touts-moscow-alternative-to-swift-transfer-system-as-protection-from-us-sanctions.html
10https://www.gold.org/goldhub/research/relevance-gold-strategic-asset
11https://www.gold.org/goldhub/data/monthly-central-bank-statistics
12https://www.gold.org/goldhub/data/above-ground-stocks
13https://www.visualcapitalist.com/80-trillion-world-economy-one-chart/

giovedì 25 ottobre 2018

La Storia non è ancora finita, Francis!



30 anni fa , anno più anno meno ,in una calda giornata d'estate si dissolveva l'Unione Sovietica.

Oltre Settant'anni di rivalità tra due blocchi che erano diversi in tutto ed in tutto contrapposti terminava e lasciava un solo sistema di valori vincitore sul campo:il modello occidentale.

Capitalista,progressista,per lo più cristiano e democratico; abbiamo vissuto in questo sistema per molta parte della nostra vita ormai, e le generazioni che definiamo "giovani" non hanno conosciuto che questo.

In questi trent'anni quasi ogni indicatore è cresciuto,perché indipendentemente dai crolli di borsa o dalle crisi economiche , oggi stiamo meglio in tutti gli ambiti della nostra vita.L'aspettativa di vita si sta alzando a livello globale, mangiamo di più, anzi troppo, vi sono più automobili e le nostre case sono piene di apparecchi elettronici che trent'anni fa ,ma anche solo dieci, non esistevano o erano agli albori.

Va tutto bene allora? No di certo.

Quella che stiamo vivendo e che definiamo "crisi" nei discorsi quotidiani è in realtà l'ultima fase di un processo cominciato quasi trent'anni fa, con la firma del trattato di Maastricht (1992).In quel momento non nasceva solo l'Euro ed attraverso esso l'Europa ,ma prendeva forma un assetto del potere globale diverso da tutti quelli precedenti.Ora tre dei componenti del G7, il club dei grandi paesi, organo non ufficiale ma diventato nel tempo sempre più abituale quale consesso internazionale, hanno la stessa moneta e la stessa bandiera, quella europea.

E' quasi un G6.

Quella moneta è oggi la moneta più forte, e compete ogni giorno con il dollaro per divenire moneta di riserva.Quello che abbiamo di fronte, in televisione, ogni giorno, è il resoconto dettagliato, quasi una telecronaca sportiva, di un'altra svolta della Storia come quella avvenuta trent'anni fa.

L'era del Dollaro,la moneta più moneta delle altre,sta giungendo a conclusione e gli americani dovranno saper fare di necessità virtù per poter mantenere in piedi un sistema per nulla attento alle differenze sociali,alle ineguaglianze,alla compassione.

Se l'Europa invece riuscirà a salvarsi dagli attacchi internazionali e dalle spinte centrifughe, che sembrano ogni giorno di più effetti delle forze di reazione a questo cambiamento, guadagnerà probabilmente il suo diritto al monetarismo espansivo, se lo vorrà usare.

Oppure potrà essere l'azionista di maggioranza di un paniere di valute mondiali affidabili finanziariamente e contagiare con il suo sistema di regole anche gli altri sistemi economici.

Perché questa digressione economica? Perché ridurre più di quattro lustri di Storia ad una mera operazione finanziaria?

La fine dell'URSS ha messo fine ad una alternativa che era Sociale,Politica ed Economica insieme.

Gli ideali che si stavano spegnendo,quelli del Socialismo e del Comunismo, avevano orientato l'azione degli Uomini per centocinquant'anni. Valori,abitudini, comportamenti e logiche che avevano dettato gli orientamenti di tante persone, ad un tratto non servivano più, anzi divenivano disfunzionali.

Quelle dottrine avevano impedito al capitalismo ultra liberale degli anni venti di divenire un Moloch planetario imponendo però al mondo un freno alle possibilità espressive dell'umanità;in un piano quinquennale c'è davvero pochissimo spazio per i colpi di genio e le virate gestionali a cui ci hanno abituato persone come Elon Musk o lo scomparso Steve Jobs.

In Europa, Italia a parte,i principali partiti comunisti sono svaniti entro pochi anni dalla fine dell'URSS e ciò ha lasciato spazio ad un'unica ottica, un'unica, possibile, ottica per tutti i sistemi politici. La presa dei concetti propri della sinistra in tutti i paesi si è affievolita ed il mercatismo è divenuto padrone della scena politica.

Tutto per il mercato, tutto attraverso il mercato.

Il liberismo di stampo anglosassone fatto di Stato ridotto al minimo e mercati liberalizzati è diventato presto l'unico fine di tutti i sistemi politici occidentali ormai liberi dalle dicotomie Mercato/Comunità, Capitalismo/Economia Pianificata imposte dall'ingombrante presenza ideologica di Mosca.

In questa situazione la Politica si è trovata a dover svolgere esclusivamente un opera di amministrazione e risoluzione delle istanze portate dal Mercato.

La Società, in questo processo, si è dovuta adattare.

Le privatizzazioni, le liberalizzazioni di interi comparti economici,la spinta decisa sulla competizione e sull'export,determinano infatti un clima nuovo e nuovi rapporti sociali.

L'ottica cliente-fornitore diviene abituale ,una forma mentis necessaria ad interpretare i nuovi fenomeni sociali.

Facciamo un esempio:

Se una grande azienda ,prima di proprietà dello Stato viene venduta in una fase di privatizzazioni,a grandi fondi transnazionali che mirano al massimo profitto ,potremo immaginare che questi spezzetteranno la società,chiuderanno i reparti improduttivi,estrometteranno personale delocalizzando alcune linee e terziarizzando lavorazioni interne tramite lo spin-off di rami d'azienda che andranno a formare nuove, piccole e medie imprese.

Nel giro di pochissimi anni,la realtà sociale dei cittadini lavoratori di quell'azienda cambia radicalmente;ora sono parte di un processo economico, prima tutto interno all'azienda , che è anche in parte esterno e coinvolge altri operatori economici.Il rapporto con il lavoro si modifica e con esso lo stile di vita.

E' l'intera società che ormai vive in un'ottica di interdipendenza funzionale sempre più stretta e complessa.

In questi trent'anni sono cambiati gli imperativi che guidano le nostre azioni,le nostre chiavi interpretative,le nostre aspettative.Siamo cambiati noi.

L'ottica è sempre più di breve periodo ,nuove necessità nascono da stimoli sempre più intensi.

Le mode si succedono sempre più rapide e influenzano sempre più le abitudini.L'esistenza è divenuta quotidianità.

Manca un fine.

La crisi economica nella misura in cui l'economia si è sostituita alla politica come mezzo per la realizzazione delle nostre aspirazioni è anche crisi esistenziale.

Ma l'economia non ha altri fini che la continuazione di se stessa,non può proporre traguardi ideali che possano portare un individuo a crearsi un orizzonte d'azione che non sia meramente lavorativo.

Più lavori più guadagni.

Più lavori,meno tempo hai per tutto il resto.

La politica invece ha uno spettro più ampio,coinvolge molteplici aspetti dell'intera nostra vita,deve avere un orizzonte stabile per fornire una cornice anch'essa stabile all'esistenza degli individui.

Nascere,Crescere,avere dei figli,morire dignitosamente non sono fini ultimi dell'economia, sia essa industriale o finanziaria, ma devono esserlo per la Politica che è fatta dagli uomini per gli uomini e non dai numeri per il profitto.

Se lasciamo che la politica sia indotta nelle sue scelte solamente da principi di natura economica senza che siano chiari i fini socialmente espressi ed i valori che supporteranno l'azione,allora avremo vinto la battaglia contro i Piani Quinquennali per perdere la guerra contro le Relazioni Trimestrali.

giovedì 9 agosto 2018

Dazi miei, problemi tuoi


A furia di dazi e sanzioni, l'aggressiva politica economica di Trump sta scuotendo le fondamenta del mondo geo-economico. Juncker è volato a Washington per scongiurare tariffe più elevate sulle auto e sui prodotti europei mentre i cinesi hanno mostrato il loro disappunto ai 200 mld $ di dazi sui loro prodotti da parte degli USA. Quindi, a loro volta, hanno fatto altrettanto. Per avere una carota da offrire mentre agita il bastone dei dazi, Trump ha rinnovato all'Europa la proposta del TTIP (meno tariffe e barriere non tariffarie), senza però darle un nome. La strategia di Trump è di tagliare il deficit con tutte le nazioni estere e, di riflesso, stimolare l'industria nazionale a sopperire con nuovi impianti produttivi in USA. In tutto ciò, l'Italia ha molto da perdere in quanto secondo esportatore europeo verso gli USA, in surplus di 1 mld $, ma anche per i mancati introiti dovuti alle sanzioni alla Russia. Questa, nel frattempo, ha ormai metabolizzato le sanzioni, sfruttando questo periodo per diversificare le proprie importazioni e sganciarsi dal sistema del dollaro. Allo stesso modo, l'Iran, sotto sanzioni dal 2004, ha rivolto la propria economia verso la Cina e la Russia, esterne all'area del dollaro, utilizzando l'oro o le rispettive valute. Oggi gli USA, in quanto "iperpotenza", possono imporre sanzioni extraterritoriali, giuridicamente invalide, e applicare dazi all'import di determinate classi di prodotti, in maniera del tutto legale. L'impatto, in entrambi i casi, è globale e causa reazioni a catena. Meno importazioni americane si riflettono sull'export dei paesi asiatici, europei o sudamericani che entrano in crisi. Rispetto al dollaro, molte valute sono scese negli ultimi mesi ed in Cina si stanno verificando scioperi come mai prima d'ora. Il consumatore americano, primo anello della catena del consumo globale, ha deciso di produrre da sè e gli esportatori mondiali devono riorganizzarsi. Di norma l'export di un paese è sempre l'import di qualcun altro.

lunedì 16 luglio 2018

Russia campione nel mondo.


Questo weekend di metà luglio sarà ricordato per la vittoria francese ai Mondiali in Russia. Qualcosa di ben più importante è però accaduto ma ne avremo contezza solo tra qualche mese. Durante il summit NATO dell'11 Luglio, durante la visita di Trump in Inghilterra ed al successivo , storico, incontro fra il presidente americano e Putin, si è parlato dell'assetto dell'ordine mondiale dei prossimi decenni, un ordine molto diverso da quello attuale. Per cominciare, gli USA hanno chiarito che l'Europa è un “nemico” al pari della Cina, e per lo stesso motivo: esporta troppo in USA e importa troppo poco. Di contro la Russia deve essere riaccolta nel novero dei “buoni”, poiché senza di essa non può esservi l'equilibrio di forze necessario a mantenere in pace il mondo. Più realisticamente, Trump, ha capito che la Russia è ormai il dominus ovunque sia presente, Europa, Medioriente, Asia e Sud America e che è il solo attore capace di poter frapporsi tra la Cina e l'Europa e scongiurare i peggiori incubi americani. L'attuale alleanza tra Cina e Russia è infatti solo tattica poiché gli obiettivi di lungo periodo dei due giganti non collimano. Trump sta usando la stessa tattica che Nixon utilizzò nel '72 quando riallacciò i rapporti con la Cina di Mao in funzione antisovietica, stringendo Mosca fra Pechino e l'Europa. Oggi, è la Russia a dover dividere l'Europa, o meglio la Germania, dal paese con il mercato potenziale più vasto del mondo. Il presidente USA sta creando le condizioni per l'uscita di scena della sua nazione dal ruolo di iperpotenza negoziando con chi quel ruolo lo assumerà a breve: Russia e Europa. Ma mentre la Russia è indivisibile, l'Europa deve essere scorporata dalla sua parte più preziosa, la Germania e i suoi satelliti mitteleuropei. La “questione migranti” sta riuscendo nel suo scopo di dividere le nazioni europee e riorientare le lealtà internazionali. La Francia, un giorno, non dovrà ringraziare la Russia solamente per una coppa vinta giocando a calcio.

La Disunione Europea


Il vertice europeo del 28 e 29 giugno non sarà ricordato solo per aver affrontato il tema delle migrazioni dall'Africa. Infatti, al di là della discussione su chi abbia “vinto”, resta la forte impressione di un'ampia divisione tra l'Europa occidentale e quella dell'est, a partire dal “gruppo di Visegrad (Cechia, Slovacchia, Polonia e Ungheria) al quale si è aggiunta l'Austria. Se consideriamo che a seguito del vertice, il leader della CSU (Cristiano-sociali) della Baviera, Seehofer, ha minacciato le proprie dimissioni da ministro degli interni, aprendo una grave crisi nel governo tedesco, il quadro è completo. Basta guardare una mappa dell'Europa per comprendere come tutti i paesi facenti parte della sfera d'influenza tedesca, possano unirsi apparentemente per contrastare l'immigrazione, ma più realisticamente per creare un blocco politico-economico separato rispetto all'Europa comunitaria. Altre potrebbero essere le Nazioni interessate a questa nuova entità geopolitica, come la Croazia, la Slovenia e la Serbia, ma anche Bulgaria e Romania. Tra tutte queste solo alcune adottano l'Euro ma tutte sono parte del sistema industriale tedesco, in qualità di subfornitori o di mercato di sbocco dei suoi prodotti finiti. Quasi tutte loro fanno parte della NATO, e della CEE,ma alcune hanno in questi anni mostrato insofferenza verso le imposizioni di Bruxelles. La retorica anti tedesca di Trump, i dazi sulle esportazioni tedesche in USA e la continua minaccia di riformare la NATO, negandole parte degli investimenti, stanno delineando uno scenario simile a quello antecedente la Prima Guerra Mondiale. Anche l'annuncio del Presidente americano di voler incontrare Putin il prossimo 15 luglio, ventilando la possibilità di riconoscere l'annessione russa della Crimea si inscrive in questo quadro: l'accerchiamento di un temibile concorrente economico e, potenzialmente, di un futuro opponente geopolitico e forse anche militare. Sembra fantascienza, ma l'impero può tornare a colpire in futuro.

mercoledì 20 giugno 2018

L'Europa in cerca di identità


L'Europa è sempre più divisa ma non è l'Euro la causa; la linea di separazione è rappresentata dall'atteggiamento delle Nazioni verso l'immigrazione extraeuropea. Tralasciando l'aspetto etico verso il fenomeno, che coinvolge ciascuno di noi, è l'effetto sulle dinamiche elettorali a determinare gli assetti politici europei. Il tema è stato al centro delle campagne elettorali di tutti i paesi negli ultimi anni: in Francia tra Macron e Le Pen, in Inghilterra ha determinato la “Brexit”, in Polonia, Ungheria e non ultimo in Italia ha portato al governo partiti che si oppongono all'immigrazione di massa dal sud del mediterraneo. A partire dalla caduta di Gheddafi nel 2011, si aperta una via marittima verso l'Italia e, a seguito della guerra in Siria, anche una di terra attraverso la cosiddetta “rotta balcanica”. Questa si è interrotta bruscamente con la chiusura delle frontiere da parte di Ungheria, Serbia, Croazia e infine dell'Austria. A seguito di ciò, la Grecia si è ritrovata ad essere il capolinea dei flussi provenienti da Siria e Asia centrale aggravando un contesto sociale già difficile a causa della crisi economica. L'Italia si è invece trovata stretta tra gli obblighi dettati dalle norme sull'assistenza marittima e la chiusura delle frontiere, in maniera anche tragica, da parte di Francia e Austria. La Spagna ha innalzato una barriera difensiva per difendere le sue exclave di Ceuta e Melilla, in territorio marocchino, e anche la Germania, dopo le parole di accoglienza della 2015, ha dovuto ridimensionare le proprie intenzioni. La crescita di AFD e le minacce di rottura con la CDU, espresse dal ministro degli interni, Seehofer, leader della CSU Bavarese hanno imposto uno stop alle aperture fatte dalla Merkel. Il rischio concreto è la chiusura definitiva delle frontiere, l'abbandono del trattato di Schengen e con esso la fine dei libero commercio in Europa. La solidarietà intraeuropea che ha generato l'UE post Guerra Fredda, vacilla. La realtà sta tornando sovrana.

Italia, perno d'Europa.


Durante gli ultimi giorni di formazione del nuovo governo, il tema della partecipazione dell'Italia all'Euro è stato determinante. Per giorni, quello che è sembrato essere un veto posto da Bruxelles sul nome del Ministro dell'Economia, ha messo in forse la nascita del nuovo esecutivo. Il famigerato "spread" è tornato a far capolino, antichi rancori anti-tedeschi e nuovi sentimenti anti-europei hanno agitato la politica italiana aprendo un aspro scontro sulla permanenza della nostra Nazione all'Unione Monetaria. Ma veramente l'Italia vuole, o rischia, l'uscita dall'Euro? Il tema è molto serio e coinvolge sia la sfera economica che quella geopolitica: l'enorme debito pubblico italiano, cresciuto molto negli ultimi anni, è un ostacolo alla nostra crescita, poichè ci costringe ad una continua emissione di titoli di Stato. Comprensibilmente, gli investitori esteri temono la nostra possibile insolvenza e i rischi per la stessa esistenza dell'Euro, ma è vero che l'enorme quota di interessi pagati dagli italiani rende ogni manovra finanziaria una caccia a nuove risorse, non reperibili attraverso nuova tassazione, già troppo elevata. Ogni più piccolo aumento dei tassi ci costringe a pagare di più, sottraendo denaro a scelte economiche orientate alla crescita. E se uscissimo dall'Euro? La nostra è un'economia di trasformazione e se la forza di questa moneta ci permette di pagare meno le materie prime, è vero che il prezzo delle nostre merci ci penalizza verso produttori più a buon mercato. E poi c'è l'aspetto geopolitico:dal punto di vista geografico, senza l'Italia, l'Europa sarebbe solo una piccola propaggine della massa asiatica. Dal punto di vista politico, la nostra presenza permette la proiezione europea verso il Medioriente.Culturalmente, le nostre radici cristiane ci rendono l'interlocutore privilegiato verso le comunità ortodosse dell'est europeo. La Storia sta per giungere a un nuovo bivio e anche l'Italia dovrà scegliere la sua via verso il futuro. E con essa l'intera Europa.




martedì 22 maggio 2018

La Geopolitica del Tutto.


In questi primi 6 mesi del 2018 abbiamo assistito ad una successione di eventi e colpi di scena sulla scena internazionale: prima la quasi-crisi tra USA e Corea del Nord seguita dal repentino cambio di rotta di Kim Jong Un e le trattative di pace con il Sud. Poi l'abbandono di Trump dal trattato nucleare con l'Iran e le sanzioni USA a Russia e, incredibilmente, all'UE. La Turchia che prima abbatte una caccia russo e poi firma con Iran e Russia un patto sulla Siria. Ognuno di essi sembra un evento a sé, ma è in realtà parte di un continuo ridisegno dell'architettura delle relazioni internazionali. Viviamo tempi confusi. Secondo le dottrine classiche, il primo dovere di ogni Nazione è difendersi poiché ogni altra tende naturalmente a questo principio. La difesa è attiva anche quando è passiva, poiché la presenza di un esercito adeguato è sempre accompagnato da un'adeguata diplomazia e servizi segreti efficaci. I rapporti si fondano sull'effettiva capacità, militare o economica, del contraente e non dal consenso sulla propria relativa forma di governo. Questo punto è fondante per l'Unione Europea, in cui tutti i membri sono democrazie, ma non è vincolante per creare un'alleanza. Anche il rapporto fra USA ed EU poggia sul loro comune fondamento democratico, ma le sanzioni poste da Trump rispondono all'adagio per cui “gli USA non hanno amici ma solo alleati”. Questi, sempre secondo la teoria classica, sono tali solo se ricevono benefici reciproci, e Trump ha messo in luce che così non è. L'UE spende troppo poco per la sua difesa e importa troppo poco dagli USA, che sono in deficit cronico. Nel frattempo l'EU difende l'accordo con l'Iran contraddicendo gli USA, i quali dimostrano di applicare due pesi e due misure con Corea e Iran. Questo, per almeno 20 anni, ha scambiato petrolio per progetti missilistici e nucleari con la Corea del Nord, della quale è l'unico fornitore di energia insieme alla Cina, sospettosamente silente. Il sistema multipolare lancia i primi vagiti.

La Guerra tiepida


Quello che tutti i giornali chiamano ormai “il caso Scripal” è sfociato in un'espulsione di massa di diplomatici russi dalle ambasciate occidentali: 30 sono stati “allontanati” dall'Europa, 60 dagli USA. La Russia promette un'eguale ritorsione e gli USA hanno già pronte nuove sanzioni. Siamo ripiombati nella Guerra Fredda? In realtà è già più che tiepida, visto che è nata nel 2007, dopo il celebre discorso di Putin alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, in cui denunciava il continuo avanzare della NATO verso i confini russi a dispetto degli accordi. In effetti, ad oggi l'unico paese del patto di Varsavia non ancora nella NATO è la Bielorussia. Da anni, poi, è in atto una strenua attività di demonizzazione ed accuse che spaziano dal doping olimpico agli Hacker, dal Russiagate, all'intervento in Siria, dagli sconfinamenti dei jet russi, sino appunto all'avvelenamento di ex agenti del KGB. Gli USA hanno già elevato sanzioni alla Russia per i fatti d'Ucraina, senza peraltro vi fosse un chiaro mandato dell'ONU in materia, e anche l'Europa ha elevato le proprie , anche se alcuni paesi come l'Italia e la Germania hanno provato più volte a non rinnovarle. Il rapporto tra USA e Russia e, obtorto collo, Europa, è già caldo da tempo e pare continuare a scaldarsi. Le due potenze si stanno già confrontando in Siria e Ucraina, sebbene sotto mentite spoglie, e hanno già mostrato i loro rispettivi muscoli nucleari più di una volta. In situazioni come questa, basta un incidente diplomatico o un avvenimento mal interpretato, per far cadere il mondo in una spirale di terrore totale. Quindi, al di là che si parteggi per gli uni o per gli altri, è necessario che le prove siano circostanziate, come pare non siano in questo caso, e come non lo sono state in un altro celebre caso di sostanze chimiche: quello dell'antrace che Powell agitò all'ONU come prova per trascinare gli USA alla guerra in Iraq. La prova era falsa, ma oggi milioni di iracheni non possono essere qui a rallegrarsene.

Verso l'Armageddon?


Il 9 Maggio Trump ha deciso di ritirarsi dall'accordo firmato nel 2013 con l'Iran sul suo programma nucleare. Stipulato anche da Cina, Francia, Germania, Cina, Russia, Inghilterra ed UE, esso prevede una drastica riduzione delle attività iraniane in campo nucleare per una durata complessiva di 13 anni ed è supervisionato dall'Ente Internazionale per l'Energia Atomica dell'ONU. Francia, Inghilterra ed UE si sono dette contrarie, temendo che ciò possa portare l'Iran a riprendere il programma e che ciò possa addirittura sfociare in una guerra con Israele e USA. Il tema è delicato, poiché formalmente l'Iran sta rispettando il Trattato di Non Proliferazione Nucleare in vigore dal 1970, ma Israele continua a dirsi dubbiosa delle reali intenzioni iraniane. I due paesi sono già venuti in contatto, sebbene non ufficialmente, in Siria, nella quale operano sia le truppe d'elite iraniane, spalleggiate dagli sciiti libanesi di Hezbollah, sia i servizi segreti militari israeliani e americani. La presenza iraniana in Siria, Libano e sud Iraq è un incubo geopolitico per Tel Aviv, che vede in essa la possibilità che tutta l'area che va dal Golfo Persico al Mediterraneo possa entrare definitivamente nella sfera di influenza di Teheran e permettere un giorno il transito del gas iraniano verso l'Europa. Ciò porterebbe a una progressiva perdita d'influenza di Israele nella regione e minaccerebbe, così si sostiene, la sua stessa esistenza. Nethanyau si è detto pronto ad attaccare tanto le truppe iraniane in Siria quanto lo stesso Iran, il quale è un avversario ostico. Esso ha 80 milioni di abitanti, in maggioranza giovani, e la sua cultura millenaria si irradia dal mediterraneo all'Asia centrale. Il suo esercito è il terzo, se non il secondo, nell'area dopo appunto Israele e Turchia, con la quale l'Iran ha da anni ottimi rapporti. Un conflitto chiamerebbe anche in causa l'Arabia Saudita, e forse Russia e Turchia, con esiti catastrofici. La terza guerra mondiale non è mai stata così vicina.

lunedì 2 aprile 2018

Una proposta che non si può rifiutare...




A distanza di poco più di un anno dal suo insediamento, Donald Trump ha dato il via al programma protezionista in ambito economico che ha caratterizzato la sua campagna elettorale.
Nei primi giorni della sua presidenza era già ricorso ai poteri presidenziali per ritirare gli USA dal TPP, il trattato trans-pacifico, affermando che non era vantaggioso per gli Stati Uniti. Lo stesso argomento è stato invocato in merito al commercio estero, con l'Unione Europea e diverse nazioni asiatiche, per prodotti quali pannelli solari, elettrodomestici, acciaio, alluminio ed altre decine di categorie di prodotti.

Difficile non chiamarla "guerra commerciale" poichè ne ha la forma e la sua sostanza si manifesterà nei contraccolpi che causerà in Europa, se realmente si verificherà. L'obiettivo principale, a detta del presidente americano, è la Cina, accusata di pratiche commerciali scorrette (dumping salariale, aiuti di stato, furto di brevetti, ecc) ma le ricadute sul rapporto con l'Europa sono evidenti. Le eventuali sanzioni decise da Trump non avranno lo stesso impatto su ciascuna delle nazioni che compongono l'Unione Europea. Alcune di esse come l'Italia, la Francia e la Germania, hanno un apparato industriale che per dimensione aggregata e specializzazioni si mette in diretta concorrenza con quello americano. In particolare la Germania è il quinto esportatore a livello mondiale verso gli USA con l'8,1 %, mentre importa a sua volta il 5,5 % dagli Stati Uniti.
L'Italia esporta il 7,8% ed importa il 3,3 dagli USA1.

Trump ha affermato che i dazi nei confronti dell'UE sono "sospesi" sino al 1° maggio, ma la Commissione Europea ha, giustamente, respinto un ultimatum così imperativo invocando il dialogo.
In effetti quello di Trump sembra il bluff di un giocatore di poker poichè, se è vero che i dazi danneggeranno i paesi che più esportano in USA, è anche vero che i consumatori americani, complessivamente, importano quasi 500 miliardi di $ di merci dall'Europa e quasi 1000 miliardi dalla Cina , su un import complessivo di 2,21 trilioni di $2.
Sostituire quei prodotti con gli omologhi americani sarebbe, nel breve e medio periodo, più costoso per i consumatori americani e comunque per alcuni prodotti, potrebbero non esserci alternative praticabili (basti pensare alle automobili).

Ma i dazi non sono il punto principale del contenzioso con l'Europa. Lo sono invece principi come quello di precauzione adottato nella Comunità o le normative europee sulle importazioni di certe categorie di prodotti americani come la carne di manzo e il pollame, i cereali OGM, farmaci ed automobili. Queste norme, a detta degli americani, impedendo l'esportazione dei loro prodotti verso il Vecchio Continente, causano l'attuale squilibrio della bilancia commerciale americana, e sono state oggetto di contenzioso anche in seno al WTO.
All'inizio di questo articolo abbiamo citato il TPP, il trattato commerciale tra 11 nazioni che si affacciano sul Pacifico, voluto da Obama e osteggiato da Trump. Quel trattato ha un gemello, diciamo "dormiente", tra gli USA e l'altra sponda atlantica, l'Unione Europea, e cioè il TTIP.

Il Trattato di Partnership Commerciale Transatlantica, che ha visto Stati Uniti ed Unione Europea confrontarsi per 15 round prima di interrompersi bruscamente, mira a realizzare un mercato privo di dazi e barriere doganali tra le due sponde dell'Atlantico. Il trattato inoltre definisce anche un'armonizzazione degli standard produttivi e legislativi su diverse materie, le cosiddette Barriere Non Tariffarie (BNT). Possiamo definirlo "dormiente" poichè non vi è stato alcun pronunciamento ufficiale sull'interruzione dei negoziati nè da parte dell'UE, nè dagli USA.

Attualment tariffe e dazi doganali nel commercio transatlantico sono già piuttosto ridotte (5,2% per l'UE e 3,5% per gli Stati Uniti, dati 2015). Notevoli sono invece le differenze regolamentari, legislative e normative tra le due sponde dell'Oceano. Si pensi solamente alla differenza tra le unità di misura (gli USA non adottano il sistema metrico decimale), ai diversi formati e tensione delle prese di corrente (220 volt in Europa, 120 volt in USA) o alle norme sull'import-export dei prodotti agricoli. Il trattato punta quindi a ridurre le BNT, ovvero all'eliminazione o armonizzazione di tutte quelle norme che rendono costoso il commercio di una stessa categoria di prodotti tra Europa e USA3.

Il TTIP è stato combattuto aspramente da movimenti e partiti in tutta Europa. Anche governi, come quello francese di Hollande e quello tedesco della Merkel hanno sollevato dubbi su alcuni suoi punti. Quello che Stati Uniti ed Europa stavano contrattando era un accordo tra pari, ma Trump ha svelato l'inganno gettando sul tavolo i numeri dell'export tedesco (116 mld $, dati 20164), italiano (47 mld $) e francese (48 mld $) in America e di quello americano in Europa (307 mld $ ).

Trump ha dichiarato più di una volta di voler ricostruire la base industriale degli Stati Uniti e per farlo ha già messo in atto, oltre ai dazi su diversi prodotti, anche incentivi fiscali al rientro di attività dall'estero e riduzione delle tasse per le imprese. Il mercato americano è ampio e ricco, ma a guadagnare da esso non sono i lavoratori americani ma le sole , grandi , corporations. Paradossalmente, più le grandi corporations macinano profitti, producendo in paesi in via di sviluppo e rivendendo in America, più gli Stati Uniti si indebitano. I numeri dicono che i cittadini americani non hanno però il lavoro sufficiente per pagare i prodotti in vendita. Solo nel 2017 hanno chiuso più di 5000 centri commerciali 5 e con i consumatori se ne sono andati via anche i lavoratori.

E le fabbriche avevano già chiuso anni fa. Dopo aver subito l'offensiva giapponese negli anni '80, specialmente in campo automobilistico e nell'elettronica, oggi è il tempo delle aziende cinesi. Marchi come Huawei, Lenovo, Cosco, Haier, Great Wall e stanno rapidamente sostituendo tanto i giapponesi quanto gli americani sul mercato nordamericano.
Gli USA importano ulteriori 580 mld $ di merci da Canada e Mexico, gli altri due aderenti del NAFTA, anch'esso molto osteggiato da Trump. Anche con questi due paesi la bilancia commerciale è negativa, poichè gli USA vi esportano solo 497 mld $ di beni, ed è sicuramente per questo che il presidente americano vuole ridefinire i termini dell'accordo nordamericano.
Non possiamo dimenticare che Trump si è detto anche molto critico del WTO e che la sua politica estera , in tema di commercio estero, prevede esclusivamente accordi bilaterali 6.

In definitiva i dazi di Trump hanno un duplice scopo: in primo luogo ridurre le importazioni dalla Cina stimolando il ritorno di attività produttive negli Stati Uniti, il cosiddetto "in-shoring"7.
In secondo luogo, riportare l'Unione Europea al tavolo delle trattative sul commercio atlantico in una posizione di forza e contrattare un accordo bilaterale, un TTIP "light", che metta d'accordo la forte vocazione esportatrice delle aziende europee, soprattutto tedesche, e americane senza intaccare i rispettivi campi di eccellenza. Come detto, il rapporto tra Cina e Germania sta crescendo rapidamente in forza e intensità e questo può minacciare lo status economico globale degli USA. La relazioni tra le due nazioni può rafforzarsi attraverso i collegamenti ferroviari attraverso la Russia, tagliando fuori gli Stati Uniti dalle rotte del commercio globale.
Trump, insomma, cerca di indebolire entrambe e contemporaneamente provare a rafforzare il rapporto con quella che Brzezinski definì "la testa di ponte democratica sulla massa continentale", ovvero l'Europa.
Questo è un imperativo geopolitico pressante per evitare di essere tagliati fuori da un commercio globale che vede sempre più la logistica via mare soccombere su quella via terra, rendendo vana la supervisione militare delle vie marittime da parte degli USA, rendendoli così meno "necessari".
Lo scontro immaginato chiaramente da Sir Harford Mackinder, più di cento anni fa, tra le potenze di mare e quelle di terra, non si è ancora concluso. Si è solo spostato nel campo economico. E speriamo ci resti.














1F. Bertolami, TTIP La NATO Economica? Il Partenariato Transatlantico per gli Scambi e gli Investimenti nella geopolitica del XXI secolo. Experiences Edizioni, Messina, 2016 pag 140
2https://atlas.media.mit.edu/en/visualize/tree_map/hs92/import/usa/show/all/2016/
3F. Bertolami, TTIP La NATO Economica? Il Partenariato Transatlantico per gli Scambi e gli Investimenti nella geopolitica del XXI secolo. Experiences Edizioni, Messina, 2016 pag 115
4https://atlas.media.mit.edu/en/visualize/tree_map/hs92/import/usa/show/all/2016/
5https://clark.com/shopping-retail/major-retailers-closing-2017/
6http://www.bbc.com/news/world-us-canada-41529550
7In-shoring è il processo di rimpatrio delle aziende americane, un tempo trasferitesi all'estero per godere di costi del lavoro e più bassi e normative meno restrittive.

venerdì 16 marzo 2018

Fratelli Coltelli


Il 1° Marzo il presidente Trump ha deciso di introdurre nuovi dazi sull'importazione di alluminio (10%) e acciaio (25%). Ciò fa seguito ad una decisione simile su elettrodomestici e pannelli solari. Quella ha fatto reagire cinesi e coreani, questa ha messo in allarme l'Europa, che è la prima esportatrice di acciaio negli USA. Bruxelles ha risposto minacciando dazi sulle importazione di alcuni prodotti americani (jeans, moto, liquori) e a loro volta gli americani hanno controminacciato alte tasse sulle auto europee. Non c'è niente da dire, è una guerra commerciale in piena regola. Ma perchè far guerra ad un alleato come l'Europa? Gli USA esportano molto poco della produzione ed importano moltissimo, soprattutto da Cina e Germania, temibili concorrenti economici e geopolitici. Il mondo sta cambiando e gli USA non ne sono più l'unico perno: la Cina sta costituendo un proprio enorme mercato interno e ciò sta creando le condizioni per la nascita di una "sfera di influenza" cinese in tutta l'Asia. La Germania l'ha già creata nell'est Europa, grazie alla rete di subforniture per l'industria tedesca in tutti quei paesi, dall'Estonia a nord sino alla Bulgaria a sud. Trump sa che la ricchezza americana viene trasferita, tramite il commercio, a nazioni che potrebbero minare un giorno lo status degli USA. Germania e Cina stanno diventando rapidamente partner commerciali molto stretti, ed in futuro questo legame potrebbe rafforzarsi grazie alla nuova "via della Seta" di cui la ferrovia Duisburg-Qongqing è il primo passo. L'accordo tra USA ed EU mostra segni di crepe quando si parla di rapporti con la Russia, di nucleare iraniano, dello status di Gerusalemme, di commercio internazionale, e ormai una NATO senza gli USA non è più un'eresia per entrambi. Trump, in fondo, sta solo mettendo in pratica un vecchio adagio della politica americana: "Gli Stati Uniti non hanno amici ma solo alleati" e questi lo sono sino a che sono utili o non diventano ingombranti. Proprio come la Germania.

Tregua olimpica in Corea


Le olimipiadi di Pyongchang, saranno ricordate per la partecipazione delle due Coree con un'unica squadra nazionale e per la storica visita al sud di una delegazione di alto livello nord coreana, a partire dalla sorella del leader Kim Jong Un. E' veramente un segnale di distensione foriero di una pace futura, o solo un bel gesto dettato dallo spirito olimpico? Il nodo coreano è intricato e vede agire USA, Cina e Russia, ognuna con i propri obiettivi. La Corea del Nord ha un patto di mutuo soccorso con la Cina ed ha con essa scambi commerciali vitali. Un crollo del regime coreano riverserebbe milioni di profughi nella Cina del sud, e porterebbe un caos pericoloso ai suoi confini. Pechino sta cercando di gestire la situazione a suo favore con due obiettivi: evitare la riunificazione nord-sud, che porterebbe le forze americane troppo vicine a essa, ed ergersi a arbitro delle dispute geopolitiche asiatiche, estromettendo gradualmente proprio gli USA. In Asia è in corso una spietata corsa per far parte del mercato tramite l'arma del basso costo del lavoro. Già oggi, per alcune lavorazioni meno pregiate, le aziende cinesi si rivolgono a aziende vietnamite, o birmane. Una Corea del Nord più aperta, rappresenterebbe, è vero, il nuovo livello inferiore di questa corsa, in primis per le aziende sud coreane e quelle cinesi, ma anche una possibilità di gestire progressivamente un ricambio politico pacifico. Gli USA si giocano la posizione di arbitro in Asia e nel Pacifico, poichè una pax cinese in Corea farebbe tirare un sospiro di sollievo anche a Tokyo, e potrebbe far diminuire la necessità di una così ampia presenza militare americana in Giappone. La Russia procede nel suo disegno a due dimensioni: la prima è affermarsi come garante del diritto internazionale in tutte le dispute mondiali, la seconda è rafforzare la cooperazione con la Cina e le altre nazioni euroasiatiche per creare un'area alternativa agli USA, commercialmente e militarmente. Per ora, godiamoci i giochi.
(22 febbraio 2018)

Trump si sta chiudendo fuori?


La decisione di Trump di imporre dazi ad alcune categorie di prodotti importati dall'asia ha riaperto il tema del protezionismo. La decisione del presidente USA risponde in parte alla necessità di mantenere le promesse fatte ai suoi elettori, in maggioranza operai e colletti bianchi, sulla protezione dell'industria americana, ma può essere anche interpretata come una mossa per ridurre il volume delle importazioni da Cina e Corea, con le quali gli USA hanno un enorme deficit commerciale. Il paradosso è infatti che ad ogni ripresa dell'economia americana, aumenta il disavanzo verso i paesi esteri, poichè gli Stati Uniti importano una larga parte di ciò che consumano. In definitiva, i soldi in più, portati dalla ripresa, passano dalle tasche dei cittadini americani a quelle delle aziende cinesi, giapponesi e tedesche. Non è un caso, infatti, che a Davos sia stata proprio la Merkel ad esser la più contraria ad ipotesi di protezionismo americano. Molte aziende tedesche hanno fabbriche in USA, per aggirare dazi e ridurre i rischi del cambio euro/dollaro. La stessa cosa faranno i cinesi per i pannelli solari e i coreani per le lavatrici, e ciò riporterà posti di lavoro in america e ridurrà il deficit con l'estero. Questo sul lungo periodo. Dall'inizio dell'anno il dollaro ha perso valore sulle principali valute mondiali e questo ha già ridotto il volume delle importazioni americane, ma non ha migliorato le esportazioni. Si diceva, tempo fa, che gli Stati Uniti fossero la locomotiva del mondo, ma ora non più. Sono ancora il mercato regolamentato più ampio, insieme all'Unione Europea, ma dai dati del WTO, nel complesso, emerge che è proprio quest'ultima l'area economica più ricca del pianeta e quella più interessata a mantenere aperto il commercio globale.La Cina non sta a guardare e sta creando la sua nuova "Via della Seta", con nuove ferrovie, autostrade e vie marittime, tessendo molteplici accordi bilaterali, ma gli USA non vi partecipano. Trump si sta chiudendo fuori?

Germania, anche i ricchi piangono.


La Germania nel 2017 ha realizzato il più alto surplus di bilancio tra tutte le nazioni: +287 mld €. La Cina, seconda, ha fatto +135. Al momento, però, questo gigante economico non ha un governo da 4 mesi, un fatto unico nella politica tedesca. Fallito un primo tentativo con Verdi e FDP, la CDU della Merkel ha ripiegato sulla SPD di Schulz che, seppur con difficoltà ha detto si. Anche questo tentativo è fallito, a causa delle quote sugli immigrati chieste dalla CDU della Baviera (CSU) e del no a nuove tasse rifiutato dalla Merkel a Schulz. Il prossimo round di colloqui sarà l'ultimo e potrebbe portare a nuove elezioni in caso di fallimento. Possiamo dire che il sistema elettorale tedesco funziona egregiamente. Non è un'affermazione peregrina, poiché in tutto questo fluire di sigle ne manca una che alle elezioni di settembre 2017 ha preso il 12,6%, ed ha eroso il voto ai due maggiori partiti: Alternative fur Deutschland. Ormai ago della bilancia, ha intercettato il voto dei delusi da CDU e SPD con proposte fondate su nazionalismo e orgoglio tedesco. Il timore che possa crescere è il motivo per cui il presidente tedesco spinge i due partiti a trovare un accordo, ricordando che in Germania, un “governo del Presidente” non c'è mai stato. Ma le tensioni politiche tedesche sono lo specchio di quelle sociali. L'immigrazione, i salari bassi, la proletarizzazione del ceto medio, stanno facendo crescere un risentimento che non è intercettato dal SPD, troppo istituzionale, e si sposta a destra. In questo la Germania è simile all'Austria, ma anche a Ungheria, Polonia,Slovacchia e R. Ceca (i 4 di Visegrad). Tutti questi paesi sono attraversati dalle stesse tensioni e la soluzione sembra essere la stessa, il nazionalismo. Si dice che l'Euro sia una creatura francese nata per legare la Germania all'Europa ed impedire la rinascita di una sfera di influenza tedesca da Tallinn ad Atene sino a Kiev, più vicina Mosca che a Parigi e Washington. Macron saprà ammaliare anche Afd?

(25/ gennaio 2018)

giovedì 25 gennaio 2018

Senta, dica, scusi....


Qual è il termine più corretto per definire chi è altro da noi, chi è straniero per nazionalità, etnia, religione e cultura, in tempi di “politicamente corretto”?
La definizione di straniero alla quale mi riferisco, non include i popoli dell'Europa occidentale, poiché da decenni non pongono sfide alla società italiana, ma solo quelli dell'area extra-europea, che progressivamente hanno permeato la società italiana.
Sul tema di come trattare l'alterità rispetto alle persone appartenenti ad altre etnie, culture e religioni, forse non tutti siamo consci di quanto le nostre coscienze in questi decenni siano state influenzate dai “maestri del discorso”, per dirla con un'espressione molto in voga.
I termini che utilizziamo per definire oggetti e concetti astratti, influenzano essi stessi il nostro modo di pensare, in una sorta di retroazione che può essere negativa o positiva. Questa diviene positiva se permette , conoscendo più termini, di articolare un pensiero complesso e definire in maniera più precisa l'oggetto di una discussione o di una dimostrazione. Diviene invece negativa quando la ripetizione continua di determinati termini, modi di dire, stereotipi e slogan, impedisce la ricerca della sfumatura e prende il posto di intere categorie di pensiero,scalzando le altre e relegandole nell'oblio.
Parlando di immigrazione, e soprattutto di immigrati, è sorto il problema di come definire lessicalmente, univocamente, tutti i “tipi di straniero” presenti in Italia.
Ciò è avvenuto attraverso una articolata, ma continua, riscrittura dei codici lessicali, semantici e, di riflesso, sociali. I media sono stati il principale veicolo di questo cambiamento, e la popolazione ha assunto a volte il ruolo di precursore ed altre quello di assimilatore passivo.
Facciamo una brevissima cronistoria dei termini utilizzati in questi ultimi 50 anni.
Negli anni 60 l'immigrazione era l'ultima delle preoccupazioni dell'Italia del boom. Gli stranieri erano pochi e concentrati in piccole comunità coese, come nel caso di etiopi e somali a Roma o tunisini in Sicilia. Non esisteva un termine comune per indicarli se non appunto “straniero”. Diversamente, venivano indicati per nazionalità.
Negli anni 70, poi, l'epiteto con cui venivano tacciati gli stranieri, non europei, divenne “marocchino”. In quel periodo l'immigrazione straniera era un fenomeno molto controllato. La comunità più ampia era quella nordafricana, maghrebina in particolare, ma nelle città la sua visibilità era limitata. La distribuzione era concentrata particolarmente nei grandi centri del nord, nella capitale e al sud. L'immagine più rappresentata al tempo era quella del venditore di tappeti e carabattole, ai mercati o in strada, ai semafori.
Negli anni 80 l'immigrazione nordafricana aumenta costantemente, e gradualmente vi si aggiunge quella subsahariana, specialmente al sud, attirata e sfruttata dal lavoro agricolo.
Il nome che viene dato agli stranieri diviene “vuccumprà” , tormentone ripetuto all'eccesso e ispirato ai venditori ambulanti, senegalesi o marocchini, sulle spiagge italiane.
Negli anni 90 è l'ora dell'immigrazione dall'est Europa, Albania ed ex Jugoslavia in primis, ma anche Russia e Polonia. Abbiamo ancora negli occhi le navi cariche dei profughi in arrivo dalla costa albanese, e i profughi bosniaci in fuga, e la loro successiva redistribuzione nelle città italiane. Il termine usato per indicare uno straniero diviene ora “extra-comunitario”. L'ingresso dell'Italia nell'Europa ha imposto una sorta di neutralità lessicale alla condizione di straniero in Italia, includendo tutte le nazionalità nel frattempo arrivate in Italia. L'Italia si popola delle etnie più varie e in maniera pressoché omogenea. Queste si distribuiscono lungo lo stivale in maniera piuttosto uniforme, concentrandosi nei centri manifatturieri. Nasce una seconda, e in alcuni casi terza, generazione di immigrati-italiani, ma iniziano a nascere anche formazioni politiche, specialmente al nord, dichiaratamente xenofobe.
Il tema dell'immigrazione attraversa tutti gli anni 90 e viene rappresentato dai media in tutte le sue forme, tanto positive quanto negative; la raccolta dei pomodori al sud, lo spaccio nelle grandi città, le rapine in villa nel nordest, le moschee nei garage e via discorrendo. Gli stranieri diventano un tema stabile del dibattito politico ed il punto sull'immigrazione diventa dirimente nel programma di tutti i partiti. L'Italia scopre di essere diventato un paese di immigrazione e si accorge di non avere una legge adeguata in materia. Tra applausi e fischi nasce la Bossi-Fini. Lo straniero diventa “clandestino” nella vulgata comune, ma il termine “extra-comunitario” permane. Lo scontro ideologico, residuo della guerra fredda mentale che tarda a svanire, diventa lessicale. A destra si usa il primo termine, a sinistra il secondo, ma anche “immigrato”o , ancora timidamente, “profugo”.
Gli anni 2000 sono quelli del terrorismo spietato ed assassino, del jihadista armato di AK47 che spara tra la folla o si fa esplodere. I media hanno fatto ampio ricorso a questa immagine e così anche qualche governo, radicalizzandola e fissandola Lo straniero di fede islamica viene ora identificato spregiativamente come “terrorista”, o anche solo come “talebano”. Bulgaria, Croazia, Slovenia e Romania entrano nell'UE, i loro cittadini hanno libero accesso in Italia e il loro numero aumenta. Per molti, e per i media in primis , diventano gli “Slavi” o i “Rom”, andando a completare un vocabolario sempre più ampio di termini con cui poter definire la propria relazione con un altro di un etnia o cultura differente.
La morte di Gheddafi e la conseguente dissoluzione della Libia prima e la guerra in Siria poi, hanno dato il via alla stagione dei “migranti”. Questo periodo ha visto il fiorire di nuovi termini, nuove immagini mentali da associare allo straniero; “rifugiato”, “profugo”, “migrante economico”, ”richiedente asilo”.
Ognuno di questi termini è nato grazie ai media, e da questi è stato fortemente veicolato. Ciò ha disegnato negli anni gli scenari dell'immaginario collettivo sul tema dell'immigrazione e degli immigrati in particolare. Oggi pare si voglia porre un freno a questo proliferare di immagini mentali create dalle parole, utilizzando tecniche di Programmazione Neuro Linguistica che sfiorano la demonizzazione e la censura. Una sorta di reset lessicale, che faccia svanire d'incanto ogni accezione negativa, discriminatoria, allusiva, stigmatizzante da un termine universale per definire un “altro non italiano/europeo”. La distinzione bianco/nero è fumo negli occhi ed anche riduttiva. Anche l'identificazione con l'etnia, molto utilizzata dai media nei casi di cronaca, è tacciata di “razzismo”. Se volessimo poi aprire una parentesi sullo stesso termine “razzismo”, non potremmo non partire dal chiederci se lo stiamo utilizzando in maniera corretta o non sia invece diventato, anch'esso, un termine onnicomprensivo, una facile etichetta con cui identificare tutto ciò che non si dovrebbe fare o dire nei confronti dell'altro. Ad un certo punto della riflessione dovremmo, inderogabilmente, scontrarci con i limiti da imporre a questo termine e qui sorgerebbero problemi di ogni natura. Non dobbiamo dimenticare di possedere un “etnocentrismo” innato che è radicato nel profondo di tutti noi e che ci rende familiare e interpretabile l'ambiente in cui viviamo. Detto in parole povere, un tedesco pensa primariamente come un tedesco, un italiano come un italiano ed entrambi si vedono come europei nei confronti di un americano. Per ognuno di essi gli altri sono stranieri, agiscono, pensano, mangiano e vivono in un modo differente, ma sono tutti occidentali di fronte ad un giapponese. In ognuna di queste nazioni, vige una cultura prevalente che è frutto dei secoli e che ha lasciato dietro di sé diverse “interpretazioni del mondo” e di chi, storicamente, non era membro della propria comunità. La nostra, ad esempio, si porta dietro una stratificazione storica, sociale, culturale, etnica e linguistica di tre millenni. Anche nei paesi più giovani come i liberali, ed etnicamente variegati, Stati Uniti, l'uso di epiteti negativi per riferirsi agli stranieri è molto diffuso. Gli stessi neri americani si offendono tra di loro chiamandosi “Nigga”, negro, come il termine dato loro all'epoca delle piantagioni e dello schiavismo.
E' quindi realmente possibile eliminare del tutto una caratterizzazione di qualsiasi natura da un termine per indicare l'altro? Lo stesso termine “straniero” non è sufficiente? E' esso stesso un termine da cancellare? Ogni nazione è dotata di leggi che definiscono chi ne è cittadino, sulla scorta dell'esperienza storica, dei confini politici, della cultura. Queste leggi , però, quasi mai definiscono come debbano essere chiamati quelli che non sono cittadini di quella nazione. Dobbiamo venire a patti con il fatto che la diversità esiste e va indicata in qualche modo, e che questo modo è influenzato da una cultura sottostante che non è possibile trascurare. L'elemento identitario si manifesta in ogni organizzazione sociale e stabilisce, de facto, un dentro e un fuori, un “noi” e un “loro”. Un termine per definire chi quel noi non identifica, nasce spontaneo. Dobbiamo evitare gli eccessi verbali, violenti e discriminatori per definire l'altro, ma non possiamo svuotare le parole del loro significato. Non possiamo identificare un mondo vario e sfumato come il nostro con alcune semplici paroline neutre e con ambiti semantici sterminati. Deve essere permesso un limite massimo ed uno minimo oltre il quale ricadere nell'accusa di “imprecisione lessicale e semiologica nei confronti di un individuo altro”. L'etichettatura sembra, come detto, un po' la cifra del momento. Semplifica, velocizza, minimizza il numero di parole ed amplifica l'ambito di riferimento. A livello verbale rappresenta ciò che è un emoticon su un cellulare. Ce l'abbiamo una faccina per indicare uno straniero “politicamente corretto?