L'Ordine Internazionale
sta cambiando, di giorno in giorno, davanti ai nostri occhi.
Nazioni prima considerate
del secondo o terzo mondo, come Russia, Cina o India, competono con
Europa e USA per l'egemonia mondiale. La prima delle due, è in preda
alle convulsioni generate dalle rivolte interne francesi, dalla
secessione inglese, dal “ribellismo” italiano e dal nazionalismo
delle Nazioni dell'est. La seconda ha deciso di cambiare tutte le
regole, e di stracciare quelle che non possono esserlo in maniera a
lei favorevole. America First è il motto del Presidente Trump, e si
staglia su ogni azione della sua amministrazione. Tutto questo, però,
porta con sé una serie di ricadute che investono la natura delle
società. I segni di un passaggio di stato nell'Ordine Internazionale
ci sono tutti, come fa notare Richard Haas su Foreign Policy del
gennaio 2019 1.
Il sistema internazionale
non è così “inevitabile” come una certa narrativa lo dipingeva
appena due anni fa. Anzi, è in continuo mutamento ed è per questo
che sono necessari aggiustamenti al sistema di regole che governano
il mondo dalla fine della II Guerra Mondiale prima, e della Guerra
Fredda poi. Anche se alcune tensioni, come quella coreana, sembrano
stemperarsi, altre si stagliano già all'orizzonte, come una crisi
sino-americana o russo-europea. Senza contare il calderone sempre
acceso del medioriente.
Il sistema in cui
attualmente viviamo è solo in seconda battuta figlio della seconda
guerra mondiale. Dopo quel tragico evento nacquero la CECA, primo
embrione dell'attuale UE, la NATO, la Banca Mondiale, Il Fondo
Mondiale Internazionale e il GATT, che diverrà in seguito WTO e la
trasformazione della Società delle Nazioni in ONU.
Questi organismi
sovranazionali hanno rappresentato il quadro giuridico, militare,
politico ed economico al quale le Nazioni, e quindi le politiche
nazionali, hanno dovuto conformarsi in questi 70 anni.
Il mondo, materiale e
immaginario, in cui viviamo è però, in prima istanza, conseguenza
di quanto avvenuto nei primi anni 70.
Il 15 Agosto del 1971,
l'allora Presidente americano Nixon, annunciò che avrebbe
“temporaneamente chiuso la finestra di convertibilità tra oro e
dollaro” ponendo fine alla parità aurea di 35 $ per un oncia di
oro, che era rimasta valida dagli accordi Bretton Woods in poi. Si
dava il via alla fase inflazionaria del dollaro2
e alla sua diffusione planetaria. La cosiddetta “dollarizzazione
dell'economia mondiale”
Il 21 Febbraio del 1972,
lo stesso Nixon si recò in visita in Cina.
Detta così, oggi, sembra
un'affermazione banale ma per il periodo fu un gesto epocale. Nel
pieno della Guerra Fredda, il Presidente americano si recava in
visita ufficiale nel più popoloso paese comunista, suo acerrimo
nemico ideologico e militare. Gli accordi che ne scaturirono
permisero alla Cina di uscire dall'abbraccio, troppo stretto, con
l'URSS e agli Stati Uniti di dividere un blocco che, unito
rappresentava i due terzi della massa terrestre.
I cinesi gradiscono
perseguire accordi in cui ognuno degli attori raggiunga un proprio
obiettivo, almeno subottimale. E' la strategia detta “win-win”.
Anche dal punto di vista
economico, cinesi e americani si accordarono per ottenere un
vantaggio reciproco. Il mercato statunitense. ed occidentale, si
sarebbe aperto alle merci cinesi, se il Paese di Mezzo avesse poi
reinvestito i capitali guadagnati, acquistando debito pubblico
americano. A giugno del 2018 il debito acquistato da Pechino ammonta
a 1200 miliardi di $3
ed è il maggiore tra i creditori degli USA.
Le ricadute per il mondo
hanno iniziato a vedersi a partire dal 1978 e poi con maggior slancio
dal 1992, con la nuova politica di Deng Xiao Ping, e il suo slogan:
“arricchirsi è glorioso”. Il Socialismo con caratteristiche
cinesi, immaginato da Deng, non disdegnava la crescita economica e
quella industriale. Da allora, migliaia di aziende da tutto il mondo
hanno realizzato propri impianti in Cina, realizzando quello che si
chiama “off-shoring”, chiudendo contemporaneamente le fabbriche
nei paesi d'origine.
Ciò è avvenuto
soprattutto negli USA che, a partire dagli anni 90, hanno ridotto la
produzione industriale ed aumentato le importazioni dall'estero,
soprattutto dalla Cina. Contemporaneamente si è verificata la forte
finanziarizzazione dell'economia americana e il progressivo aumento
del deficit commerciale con Pechino.
E' soprattutto accaduto
che milioni di aziende cinesi siano entrate nel mercato globale. Il
mix tra basso costo del lavoro, trasferimento di tecnologia,
popolazione con elevati tassi di educazione universitaria, politiche
dirigiste e porti naturali noti da secoli, sia stato letale per molte
aziende occidentali.
Per fare un esempio, la
quasi totalità della produzione di articoli elettronici quali
televisori, radio, videoregistratori, DVD è stata monopolizzata da
aziende cinesi, dapprima con marchi europei o giapponesi, e quindi
con quelli propriamente cinesi. Ad oggi non esistono più produzioni
di rilievo in Europa ed anche molti marchi storici sono stati
acquistati da fondi finanziari asiatici.
Molte altre produzioni,
in special modo quelle con basso valore aggiunto o con lavorazioni
largamente manuali, sono state spostate in Cina prima e nel resto
dell'Asia, poi.
L'abbassamento
generalizzato dei costi di produzione ha stimolato l'offerta, che si
è riversata sui mercati mondiali grazie alla crescita esponenziale
della logistica marittima. Le grandi navi portacontainer hanno
iniziato a solcare i mari in maniera sempre più copiosa e le grandi
catene di distribuzione, con i loro ipermercati, hanno portato il
“modello di consumo” americano in tutto il mondo. E' stata quella
che abbiamo chiamato per più di dieci anni, “globalizzazione”,
ed ha cambiato molti dei paradigmi economici e politici del mondo
uscito dalla fine della Guerra Fredda.
Se è vero che in Cina è
nata una enorme classe media, e addirittura una vasta platea di
miliardari, in quest'ultimo quarto di secolo, in tutto l'occidente,
si è verificato un abbassamento dei salari ed un aumento della
disoccupazione. Il vasto credito concesso nei primi anni 2000, ha
finanziato molti acquisti altrimenti impossibili, come l'auto o la
casa e l'impoverimento è stato solo in parte compensato
dall'abbondanza di merci a basso costo provenienti da tutto il mondo,
ed in particolare dalla Cina. E' veramente raro, ad oggi, trovare in
casa un prodotto che non sia marchiato “made in china”,
indipendentemente che sia un costoso televisore 50 pollici o un
economico portachiavi.
Tutte le Nazioni
occidentali, nessuna esclusa, hanno un disavanzo commerciale con il
paese del Dragone, e non tutte hanno esportazioni o partecipazioni in
aziende cinesi, sufficienti a contrastare il fenomeno della
“cinesizzazione”.
L'apparizione dei BRICS
sulla scena mondiale è coinciso con la prepotente crescita della
finanza internazionale. Strumenti sempre più sofisticati sono stati
il sostegno della globalizzazione in tutti gli anni 90 e lo sono
tutt'ora. Sebbene le crisi si siano avvicendate, a cicli quasi
regolari, in tutti decenni e con effetti sempre maggiori, la finanza
resta il principale collante del sistema internazionale, che piaccia
o meno.
Senza i flussi di
capitali che quotidianamente si spostano da un continente all'altro,
non potrebbero muoversi neanche le merci che con quei capitali
vengono prodotte ed acquistate.
A seguito della crisi del
2008, e negli anni seguenti, di fronte al porto di Singapore si
ammassarono centinaia di navi portacontainer vuote. Il Baltic Dry
Index, l'indicatore che segnala il costo di affitto di tali navi, era
sceso a livelli talmente bassi che diverse navi furono demolite,
poichè il costo dello stallo in porto non sarebbe stato ripagato
dall'eventuale nolo.
Come detto, nel '71 Nixon
ha messo fine al “gold standard” americano e ciò ha permesso la
creazione quasi infinita di massa monetaria che si è riversata in
tutte le attività industriali, commerciali, di ricerca, di
comunicazione. Da quel giorno in poi, il mondo ha iniziato a navigare
in un mare di credito denominato in dollari.
Con il credito arriva,
però, anche il debito.
L'enorme balzo in avanti
delle telecomunicazioni mondiali, è avvenuto a scapito di centinaia
di migliaia di investitori. Alcuni di loro hanno perso denaro durante
la bolla delle aziende di telecomunicazioni, e la corsa alla posa dei
cavi di interconnessione transoceanica e internazionale. Altri li
hanno persi nella successiva bolla delle “dot com”, le aziende di
internet che appena nate si quotavano in borsa, e raggiungevano
quotazioni stellari.
Questo processo ha però
permesso sovracapacità di connessione, con la conseguente riduzione
dei costi, e un'ampia diffusione di internet tra la popolazione
mondiale per la successiva, attuale fase, in cui la rete è parte
integrante dell'economia reale di molte Nazioni. I magazzini di
Amazon impiegano centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo,
e l'indotto muove miliardi di dollari ogni anno.
L'alternarsi delle fasi
di “boom and bust”, crescita e crollo, dell'economia mondiale è
stato una costante degli ultimi decenni, a partire dal “lunedì
nero” del 1987 sino al fallimento di Lehman Brothers nel 2008.
Ognuna di esse ha portato ad un aumento del credito rilasciato dalle
banche centrali mondiali, a nuove regole emesse dalla Banca dei
Regolamenti Internazionali (le famose regole di Basilea) , a nuove
bolle e a nuove crisi.
Stiamo per raggiungere il
punto di questa digressione, sebbene la premessa sia stata piuttosto
elaborata.
Oggi tutte le materie
prime vengono scambiate in dollari, così come la maggior parte delle
transazioni economiche, monitorate attraverso il consorzio SWIFT,
attraverso il quale devono obbligatoriamente passare4.
Il sistema finanziario
internazionale è incardinato al dollaro e ne è suo ostaggio. Si
parla apertamente di “dollar weaponization”, un concetto che in
italiano si potrebbe tradurre con “usare il dollaro come un'arma”.
Le fluttuazioni della valuta americana sono decise dalla FED e dal
Ministero del Tesoro, ma influenzano i destini di tutto il mondo. Il
suo utilizzo negli scambi internazionali è condizionato alla volontà
di un solo paese, gli USA, ed esserne esclusi porta all'isolamento
internazionale. Inutile dire che ogni epoca ha avuto la sua moneta
preminente, e che l'enorme diffusione del dollaro ha creato le
condizioni per la nascita e la crescita del mercato internazionale,
ma la fase attuale è ampiamente multipolare e necessita regole
nuove.
Ed è un paradosso, se si
pensa che questo momento storico è proprio un effetto dell'enorme
crescita degli scambi internazionali, grazie a mercati regolamentati
e finanziariamente resi stabili dalle transazioni in dollari.
Lo squilibrio attuale è
l'effetto di quanto descritto nella premessa; dopo anni di
off-shoring, il consumatore americano non ha più un lavoro per
alimentare i propri consumi, o il proprio reddito non è sufficiente.
L'impegno di Trump a riportare aziende sul suolo americano è legato
alla perdita del tessuto industriale americano, che rende difficile
riequilibrare le esportazioni e con esse la bilancia commerciale.
Accordi in tal senso sono già stati imposti a Messico e Canada. Se
poi si considera che nell'acquistare prodotti cinesi gli americani
finanziano il proprio principale sfidante per l'egemonia mondiale, si
comprende l'enfasi che il presidente americano mette nelle trattative
sul commercio internazionale. Dall'altro lato dell'Atlantico, i
consumatori europei lottano da anni con la disoccupazione, che è in
media il doppio di quella americana, e vivono in Nazioni con tassi di
crescita molto bassi, se comparati a quelli di molti grandi
competitori esteri.
Le sollecitazioni
all'Europa a “prendersi maggiori responsabilità” nel campo della
difesa, che tradotto significa aumentare la propria contribuzione
nella NATO, sono anch'esse una scelta legata alla riduzione del
budget americano e a una ridefinizione delle priorità strategiche.
Le scelte politiche di
Trump, tese a ridurre le spese americane ed aumentare le entrate, non
sempre si conciliano con le decisioni della FED, che è propensa ad
imboccare la strada del lento, ma costante, rialzo dei tassi di
interesse. Ciò porta ad un apprezzamento del dollaro, che rende più
difficili le esportazioni e convenienti le importazioni, un effetto
che vanifica le scelte delle politiche presidenziali.
Come ben si comprende
“l'esorbitante privilegio”, come lo definì De Gaulle, di poter
essere al contempo utilizzatore ed emittente dell'unica valuta di
riserva, porta con sé oneri e onori.
Anche gli USA si stanno
rendendo conto che i primi stanno superando i secondi.
Molte Nazioni scambiano
ogni giorno miliardi di dollari per acquistare prodotti energetici.
Alcune di loro hanno creato programmi di “swap”, di scambio, di
rispettive valute per acquistare i prodotti reciproci e aggirare
l'egemonia del dollaro5.
Per Nazioni come l'Iran, sotto sanzioni da più di 40 anni, vendere
petrolio e gas in dollari è divenuto, nei fatti, impossibile. La
Repubblica Islamica ha però in essere contratti miliardari con
Russia e Cina in Rubli e Yuan e con altri paesi addirittura in oro.
La stessa Unione Europea,
il più grande consumatore di energia del pianeta6,
vuole mantenere i contratti nel settore energetico con l'Iran e sta
predisponendo un veicolo finanziario in euro per aggirare le sanzioni
americane. Il fondo sarebbe aperto ad altre Nazioni, e se si
concretizzasse rappresenterebbe una modalità alternativa al
pagamento in dollari.
L'Euro, per quanto
contestato, è ormai la seconda valuta mondiale ed è pronto a
sfidare il dollaro come moneta di riserva 7.
Anche i cinesi aspirano a
rendere convertibile la loro valuta e così i russi. Questi ultimi
hanno iniziato a vendere petrolio e gas in rubli attraverso contratti
swap ed hanno ridotto a soli 15 miliardi di $ il loro portafoglio di
titoli americani8.
Ciò è in linea con le attese russe di potersi attendere di essere
espulsi dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT, che non solo
impedirebbe di recuperare quei crediti, ma escluderebbe la Russia dal
commercio internazionale9.
Russia, Cina, Europa,
India e molti altri paesi stanno da tempo pensando ad un sistema di
pagamenti internazionale fondato su un paniere di valute, con un
sistema valutario regolato, indipendente dalle volontà politica di
una singola Nazione.
Si avverte l'esigenza di
uno strumento politicamente neutro per gestire le transazioni
economiche.
Quello strumento esiste
già ed è sempre stato presente negli ultimi 5000 anni circa.
Si chiama oro.
Nel 2021 saranno passati
50 anni dall'annuncio di Nixon, e l'idea che possa riaprirsi quella
finestra che “temporaneamente” chiuse svelerebbe scenari
totalmente nuovi.
E' da ritenersi
impossibile l'ipotesi di un ritorno ad un Gold Standard, almeno negli
scambi internazionali?
Negli ultimi 15 anni la
crescita del prezzo dell'oro è stata esponenziale, arrivando a
toccare i 1800 $ nel 2012. E' ancora considerato moneta sonante in
tutto il medioriente, in cui la finanza islamica lo usa attivamente
nelle proprie transazioni, in Asia ed anche la Russia lo valuta un
ottimo investimento10.
Il più grande produttore
mondiale è la Cina, che però non lo commercia. Le stime sui
lingotti di Pechino ufficiali si attestano sulle 1850 tonnellate, ma
molti analisti stimano possano essere più del doppio. In questa
particolare classifica sono primi gli Stati Uniti con 8130
tonnellate, seconda la Germania con 3370, terza l'Italia con 2450 poi
la Francia con 243011.
Tutte le banche centrali
hanno aumentato i propri possedimenti di oro fisico e il metallo
giallo fa parte di panieri di investimento di grandi fondi ed è il
collaterale di ETF e derivati. Una parte dell'oro di alcune Nazioni
europee, è custodito a New York, presso la FED, e a Londra. In parte
è la conseguenza della Guerra Fredda, per custodire l'oro europeo il
più lontano possibile da Mosca, ma in qualche caso è servito da
“garanzia” per prestiti particolarmente corposi. Negli ultimi
anni è cominciato un movimento inverso, che ha riportato parte di
quell'oro nei forzieri dei legittimi proprietari, e questo ha
scatenato diverse illazioni. Nel mese di ottobre del 2018, l'Ungheria
ha quasi decuplicato i propri possedimenti (31,5 tonnellate) seguendo
quanto fatto negli anni precedenti da Polonia, Russia e Cina. Solo
l'Inghilterra ha venduto quasi tutto il suo oro e per giunta ai
prezzi più bassi del periodo, nel 2004.
Il problema principale
dell'oro è al contempo la sua forza: la scarsità.
L'oro già estratto e
raffinato, puro al 99% e vidimato è pari a 190000 tonnellate , se ne
stima ne rimangano 54000 tonnellate12.
Il valore totale di tutto l'oro estratto è , ai prezzi di dicembre
2018, pari a 7.1 triliardi di $.
Il valore totale
dell'economia mondiale è stimato in 80 triliardi13;
il rapporto è quindi di 11 volte. Ipoteticamente, quindi, il prezzo
dell'oro dovrebbe aumentare di almeno quella cifra per assorbire
l'intero valore dell'economia globale . Senza contare il valore
attuale dei beni già esistenti.
Inoltre, l'economia
mondiale è in larga parte è formata da strumenti finanziari fondati
sul debito. Senza contare gli investimenti detti “a leva”, fatti
cioè moltiplicando per un certo multiplo l'investimento iniziale (ma
anche le perdite, nel caso contrario). L'oro non è moltiplicabile e,
vista l'esigua quantità con la quale aumentano le riserve mondiali,
è altamente stabile. Non è certamente lo strumento ideale per un
mondo in cerca di continua crescita, ma può esserlo se l'obiettivo è
la stabilità del sistema internazionale degli scambi, ma con regole
nuove.
Sarà forse necessaria
una cancellazione, magari un dimezzamento, del debito di tutte le
Nazioni mondiali, per permettere all'oro di essere effettivamente un
asset nel valutare le finanze nazionali. E' anche probabile che parte
della “finanza creativa” che ha dominato il settore economico
degli anni 2000, e che ha già portato alla crisi del 2008, dovrà
aver fine. Un mondo in cui torni un “nuovo Gold Standard” sarà
fondato sulla produzione di valore reale e sul suo scambio per un
certo controvalore di metallo (con adeguati strumenti economici). La
finitezza dell'oro e la sua tangibilità, lo rendono poco
utilizzabile per prodotti altamente speculativi con rendimenti a
doppia cifra. Già ora, nell'ambito della finanza islamica, i
prestiti in oro non pagano interesse, e prestatore e contraente si
impegnano in una partecipazione paritetica nell'investimento.
Questa ovviamente non è
che una suggestione, ma quell'annuncio di Nixon e quel suo
riferimento alla temporaneità dell'intervento lasciano aperti
diversi interrogativi. Gli accordi internazionali hanno spesso durate
predefinite, e queste sono di solito multipli di 5 anni sino ad
arrivare a 100.
50 anni è un
anniversario evocativo, e se si presenta in un periodo di tempeste
valutarie, borse in discesa, tassi di interesse in crescita, bilanci
nazionali che scricchiolano, tensioni geopolitiche, pensare che abbia
una parte in tutto ciò non è irrealistico.
Così come 50 anni fa,
cinesi e americani si trovano nella condizione di poter raggiungere
un accordo win-win giocando, come allora, una partita di ping pong
tra dazi e tariffe, svalutazioni e tassi di interesse.
Gli USA vogliono
partecipare al ricco mercato cinese delle importazioni ma non
vogliono subire le importazioni spinte dalle svalutazioni artificiali
dello yuan. I cinesi vogliono continuare a mantenere aperto il
commercio internazionale e , possibilmente, riprendersi parte di quei
1,2 trilioni di dollari che hanno prestato a Washington. Il tutto
sull'orlo di un confronto militare diretto nel Mar Cinese
Meridionale, o per procura, in Korea.
Anche oggi, come allora,
a Pechino siede un “Grande Timoniere”, eletto a vita, e a
Washington un Repubblicano, sebbene atipico e forse “antipatico”
almeno quanto Nixon.
Anche oggi la Russia ha
un ruolo di primo piano su tutti gli scenari mondiali, ed è
straordinariamente vicina a Pechino su molti fronti.
L'Europa è in tutt'altre
faccende affaccendata.
Le condizioni per un
accodo epocale ci sono tutte.
1https://www.foreignaffairs.com/articles/2018-12-11/how-world-order-ends
2https://www.businessinsider.com/what-didnt-change-when-nixon-cut-the-gold-link-2011-7?IR=T
3https://www.bloomberg.com/news/articles/2018-06-15/china-s-holdings-of-u-s-treasuries-fell-5-8-billion-in-april
4https://www.swift.com/
5https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-01-15/la-bundesbank-acquista-yuan-che-sale-massimi-due-anni-115017.shtml?uuid=AEFj4niD
6https://temi.camera.it/leg17/temi/l_unione_dell_energia_e_la_lotta_ai_cambiamenti_climatici_
7https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-12-05/commissione-ue-denominare-euro-contratti-petrolio-e-gas-125721.shtml?uuid=AExMzWtG&fromSearch
8https://www.businessinsider.com/russia-sells-us-treasuries-debt-2018-7?IR=T
9https://www.cnbc.com/2018/05/23/russias-central-bank-governor-touts-moscow-alternative-to-swift-transfer-system-as-protection-from-us-sanctions.html
10https://www.gold.org/goldhub/research/relevance-gold-strategic-asset
11https://www.gold.org/goldhub/data/monthly-central-bank-statistics
12https://www.gold.org/goldhub/data/above-ground-stocks
13https://www.visualcapitalist.com/80-trillion-world-economy-one-chart/