Perchè Ordine e Progresso?

Il Blog prende il nome dal motto inscritto sulla bandiera del Brasile e mutuato da un'aforisma di Auguste Comte.
Questi, uno dei padri della Sociologia, era una convinto positivista, il che nel 1896 lo rendeva anche un progressista.
L'importante è , come infatti Comte mette al primo punto, che l'Amore sia sempre il principio cardine dell'Agire.


L'Amore per principio e l'Ordine per fondamento;il Progresso per fine

Auguste Comte ,1896

martedì 8 dicembre 2020

Sparagli ancora, Sam

 



Negli ultimi mesi, l'Iran è stato colpito dall'assassinio di due figure emblematiche: il Generale Soleimaini e lo Scienziato Nucleare Fakhrizadeh-Mahabadi. Sono notizie geopoliticamente rilevanti ma lasciano fredda l'opinione pubblica. In fondo, perchè noi europei dovremmo curarci dell'Iran? La storia è lunga, ma l'Italia vi ha rapporti economici da 70 anni tramite l'ENI e altre grandi imprese, la Francia è la nazione che ha ospitato Khomeini durante il suo esilio fino al '78, la Germania ha rapporti che datano sin dagli anni '20, e tutti sono interessati ai suoi immensi giacimenti di gas, vero motore dei prossimi anni. L'Iran è un osso duro, ha una storia di 5000 anni e un esercito ben equipaggiato. E' spalleggiato dalla Russia e dalla Cina, paese che ne importa la quasi totalità dei prodotti petroliferi. L'Iran è presente, per procura e direttamente, in Siria, Libano e Palestina. Ha accordi militari di vario grado anche con Turchia, India, e Pakistan. Ma non vi sono solo conflitti. L'interscambio commerciale nella sua area è in crescita, sebbene le sanzioni americane restringano parecchio il campo alle sue esportazioni. Da anni è impegnato in un duro confronto sul suo programma nucleare ed è obiettivo militare dichiarato di USA e Israele. E' una guerra dichiarata dai fatti, non sulla carta: non è infatti possibile uno scontro militare diretto tra i rispettivi eserciti, senza causare danni immensi a tutta l'area mediorientale e, di riflesso, a mezzo mondo. Da 40 anni verso l'Iran è stata quindi dichiarata una guerra fatta di sanzioni, attentati, terrorismo interno, rivolte colorate, sabotaggi e omicidi mirati. Ciò a cui ci stiamo abituando è che si possa colpire una Nazione sul suo territorio, o ucciderne un Generale in un attentato, e che ciò possa venir percepito come giusto in senso assoluto. Una qualsiasi rappresaglia scatena invece una vocale riprovazione generale. Siamo a volte ostaggi della nostra stessa propaganda, ma incoerenti rispetto ai nostri Valori tanto che non tentennerremmo, se fossimo noi i destinatari di quegli attacchi mirati, nel dichiarare realmente una guerra. Dovremmo ricordarci che "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te", è la regola aurea fondamento dell'etica di ogni cultura e che vale per tutti solo se vale con tutti. Sono certo che valga anche con gli iraniani.

domenica 6 dicembre 2020

Onda su Onda,

 



In tutto il mondo è ormai in corso da mesi la cosiddetta seconda ondata della pandemia, con il suo corollario di misure di emergenza, divieti e chiusure. Sebbene l'economia finanziaria non ne sembri toccata, quella reale, fatta di negozi ed attività produttive, sta soffrendo enormemente. I tanto agognati vaccini sembrerebbero ormai pronti a tempo di record e, se saranno realmente efficaci, questo triste periodo potrebbe vedere la fine entro la metà del prossimo anno. O almeno così si spera. Nascosto dietro l'angolo, pronto a colpire non appena avremo finito di festeggiare il ritorno alla normalità sanitaria, c'è però un pericolo che possiamo solo intravvedere: l'assenza di ripresa economica se non una decisa recessione. Tutte le nazioni hanno intrapreso programmi di stimolo monetario fondato su un forte aumento del debito pubblico, per dare sostegno alle tante attività in crisi, ma è certo che dopo un anno in cui gli introiti saranno stati appena il 30% rispetto all'anno precedente, molte imprese saranno costrette a chiudere. Quelle che riusciranno a mantenersi attive, subiranno forti perdite, eventualmente incrementando la quota di crediti inesigibili, o incagliati, in mano a molte banche. Queste ultime sono già alle prese con i postumi mai smaltiti della crisi del 2008 e con tassi reali negativi, che vanno ad erodere i loro margini di profitto. Meno margini significa poter disporre di meno capitale da poter impiegare nel credito ( le regole dettate dalla normativa Basilea 3, impongono di mantenere un'elevata quota di capitale a riserva per cautelarsi contro rischi di insolvenza), portando la situazione ad avvitarsi su sè stessa. Per quanto tempo, poi, gli Stati potranno continuare a mantenere debiti pubblici ben oltre il 100% (L'italia, entrata nella pandemia con il 143% di debito si stima ne uscirà con il 170%) senza far ricorso a tagli del welfare o all'aumento delle tasse? Se la base imponibile di ogni nazione si restringe a causa dell'assenza di reddito di larghe fasce di popolazione, queste tasse si riverserebbero su quella fascia, sempre più esigua, che ancora percepisce un reddito, portandola verosimilmente ad una contrazione delle spese. Nel frattempo, i miliardari globali continuano ad aumentare la propria ricchezza e nulla pare in grado di portare il dibattito pubblico ad orientarsi verso un aumento di tassazione a loro carico e ad un riequilibrio fiscale. Le società vedono aprirsi sempre più il divario tra il ceto più ricco e quello più povero, con un brusco assottigliarsi della classe media, il blocco sociale su cui storicamente si fondano le democrazie occidentali. Finita la pandemia, saremo in grado di trovare un vaccino alla deriva oligarchica intrapresa da molte società nel mondo? E' ora di iniziare a pensarci.

lunedì 19 ottobre 2020

Che fatica esser cristiani.



Che fatica esser cristiani.


La religione Cristiana si fonda sugli insegnamenti di Gesù, il Dio fattosi Uomo.


Detta così sembra un'affermazione banale, forse perché, dopo 2020 anni, diamo per scontata l'esistenza di atteggiamenti quali la compassione, l'amore verso il prossimo, la tolleranza e in generale di tutti quei valori considerati positivi e fondanti dalle società occidentali. Va da sè che questi valori esistano anche nelle altre civiltà, siano esse fondate su principi religiosi o meno, ma in alcune di esse valgono solo per gli aderenti a quelle stesse civiltà. Alcune di esse hanno in comune con il Cristianesimo la stessa radice, il monoteismo, altre sono politeiste, altre ancora sono apertamente atee.


Alla prima categoria appartengono ebraismo e Islam, al secondo l'induismo, al terzo le nazioni materialiste come la Cina. Solo il Cristianesimo, però, definisce sé stesso come Universale. Il messaggio di Cristo è destinato a tutti gli esseri umani, indistintamente, al di sopra di ogni credo specifico o orientamento politico. Non può dirsi lo stesso per tutte le altre religioni o per quelle civiltà che propugnano l'assenza tout-court di un Dio o la presenza di molteplici Dei.


Alcune di esse definiscono "infedeli" coloro i quali non vi appartengono, per altre non è possibile esserne parte se non per discendenza di sangue, alcune prevedono l'appartenenza ad un determinato gruppo etnico. Il cristianesimo professa la fratellanza di tutti, l'Amore incondizionato di Dio e la salvezza per tutti. Le sue regole sono meno stringenti di quelle delle altre religioni, non vi è ad esempio una stretta regola alimentare o un abbigliamento da tenere, e vige il principio ultimo del "libero arbitrio" a cui ognuno è sottoposto in piena coscienza di sé.


Si potrebbe continuare, in una sorta di analisi comparata tra le religioni (o le teorie che prevedono l'assenza di un Ente Supremo), ma in definitiva i principi del cristianesimo sono stati enunciati, tutti, nel famoso "discorso della montagna " di Gesù: misericordia, umiltà, compassione, capacità di perdono, amore verso il prossimo. Il cristianesimo e i suoi fedeli, sono sotto attacco da almeno un decennio, a volte in forme anche molto violente. Non è solo la presenza fisica dei cristiani ad essere osteggiata, ma la stessa dottrina: in alcuni paesi di quella che è stata l'area del mondo che né è stata per secoli il centro propulsivo, l'Europa, essa è ridotta a mera "convinzione personale" e non sembra più essere il fondamento dei Valori di quelle società.


In alcune di esse non è esercitata più dalla maggioranza della popolazione ed è, in alcuni casi, osteggiata tanto dalle entità statali che dai credenti delle religioni "importate". In Europa, ma non nelle aree in cui vige una diversa sensibilità religiosa come Arabia Saudita o Cina, vige oggi la spinta alla multiculturalità, e la sensazione che una religione come quella cristiana sia "scomoda" per chi gestisce il potere è forte.


La sua natura di religione del "Dio che si è fatto uomo" le impone di essere aperta a tutti. Il suo è un messaggio di una Pace disarmante, tra tutti e tutti.Il suo essere religione di mediazione tra l'uomo e Dio, la rende parte terza, con un'interpretazione diversa da quella delle altre religioni del libro che hanno con il Dio di Abramo, un rapporto univoco, più diretto. Il Cristianesimo è una religione che deve stare "tra": tra la gente, tra il Potere e le persone, tra Dio e l'Uomo.


In un mondo multiculturale, "liquido", interconnesso, competitivo, aperto, il Cristianesimo ed i cristiani sono sottoposti ad una forte tensione etica. L'Islam radicale e le sue manifestazioni a volte violente, la forte immigrazione, le teorie di genere, la sessualizzazione della società, la laicizzazione, pongono sfide immense all'applicazione pratica della dottrina cristiana proprio in virtù della sua stessa natura.


Come conciliare la propria pratica religiosa alle limitazioni poste dalla convivenza con altre forme religiose? Come comportarsi di fronte alla riduzione della visibilità e alla diffusione del messaggio cristiano poste dal principio di "laicità"? Come coniugare la tolleranza verso la diversità, specialmente sessuale, con i dettami del "Sacro Libro"?


In definitiva, è possibile per una religione che professa l'Universalità del proprio messaggio, sopravvivere all'applicazione pratica di quegli stessi principi,con la certezza che esso non sia strumentalizzato per portarlo alla sua scomparsa?


C'è il rischio che il Cristianesimo si dissolva nella "Società Liquida" e ne diventi una parte, idea tra le idee, patrimonio di alcuni, colore per molti, ma che ne sarà del suo Messaggio?


Siamo pronti a un Mondo interamente governato da Nazioni non Cristiane, come non è mai avvenuto dal 1492 in poi? Quale Messaggio porteranno con sé al Mondo?


La risposta non è formulabile in maniera semplice, ma forse è possibile partire dall'osservazione che il Mondo in cui viviamo è stato fortemente plasmato dal Messaggio e dalla pratica Cristiana e che quei "Diritti Umani" che oggi la maggior parte delle Nazioni si impegna a difendere derivano in ultima istanza da quelli enunciati da Cristo in quel celebre Sermone della montagna, quasi 2000 anni fa.


Dovremmo chiederci se il mondo in cui viviamo sarebbe lo stesso se quelle parole non fossero mai state pronunciate, se mai nessuno avesse lottato per promuoverle e diffonderle , anche a costo della propria vita, se non fosse mai esistita una comunità pronta a stringersi attorno ad esse per farne il cuore di civiltà fondate sulla quegli insegnamenti.


Il messaggio di Cristo passa necessariamente attraverso i Cristiani: esistere in quanto tali è già garanzia della continuità di quel messaggio, resistere mantiene accesa la fiamma di quel messaggio e della civiltà che esso ha creato, diffonderlo e praticarlo è il miglior mezzo per mantenerlo vivo.


immagine: https://st.depositphotos.com/1000874/3606/i/450/depositphotos_36062941-stock-photo-three-crosses-on-a-hill.jpg


30anni e non sentirli.

 


Il Nagorno-Karabakh (NK) è una sperduta regione del caucaso meridionale, ad ovest del mar Caspio, ed è contesa da 30 anni tra Armenia, paese senza accesso al mare e Cristiana e Azerbaijan affacciato sul Mar Caspio e Sciita. E' un caso curioso anche in politica internazionale in quanto emette francobolli e monete come un qualsiasi stato ma non è riconosciuto se non dall'Armenia, della quale è un'enclave nel territorio azero. La storia della rivalità è secolare, ma riemerge oggi, come altre sulla rotta dei gasdotti e petrodotti che dal caucaso, dalla Turchia,dall'Iran, dal'Azerbaijan partono e passano. Anche qui, come in Siria, si scontrano Russia, Turchia, Israele, emirati e Iran, con lealtà e accordi che altrove non funzionerebbero. L'Azerbaijian ha dalla sua Erdogan, Tel Aviv, e in maniera defilata e accorta, l'Iran, l'Armenia conta sulla sua ampia ed influente diaspora e sulla Russia, dalla quale acquista la magior parte del proprio armamento, così come l'Azerbaijian. Israele è interessata ai gasdotti che le arrivano dall'Azerbaijan e che non sono molto distanti dal NK. Siamo di nuovo di fronte a un puzzle geopolitico, dove gli interessi delle Nazioni sono posti al massimo interesse, travalicando anche la coerenza religiosa o politica. Se pare corretto che gli ortodossi russi parteggino per i cristiani armeni, che dei sunniti turchi e degli ebrei isrealiani spalleggino degli sciiti turcofoni confonde. Il punto è che quando si parla di rotte energetiche, si sta trattando della più pura lotta per la sopravvivenza delle Nazioni e nell'aree caucasica e mediterraneo-orientale, la quantità di giacimenti e gasdotti esistente e in realizzazione, è tale da scatenare lotte violente. Un'altra guerra in quell'area è inoltre è un buon modo per coinvolgere Mosca su un altro fronte e porla nelle condizioni di dover tornare a mediare tra Erevan e Baku, delle quali vorrebbe continuare ad essere buona amica. Potrebbe uscirne proponendo un referendum per l'autodeterminazione del NK, che probabilmente sceglierebbe l'Armenia (se non sè stesso), ponendo fine ad un secolo di lotte in un territorio in cui il 98% degli abitanti è di etnia armena, formalmente parte dell'Azeirbaijan ma autoproclamatosi indipendente dal 1988 con l'aiuto dell'Armenia, paese di cui usa moneta e lingua. I russi hanno fatto così per la Crimea e possono ripetersi. Erdogan non è d'accordo e lo ha già detto. Non c'è niente da fare, quello con Putin è proprio un rapporto tormentato.

 

Immagine:https://it.wikipedia.org/wiki/Nagorno_Karabakh#/media/File:Location_Nagorno-Karabakh2.png

domenica 4 ottobre 2020

Cara, mi si è ristretta la crescita.


Arriva l'autunno e puntualmente, come prevista mesi fa, anche la “seconda ondata”. Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Italia, segnalano un aumento dei contagi, sebbene con meno morti che a marzo. L'economia, già in debole ripresa, sta nuovamente scemando temendo la chiusura. Borse e materie prime crescono in USA e Cina, ma stentano in Europa. L'ultimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale segnala che nessun paese occidentale avrà un PIL positivo nel 2020, salvo rimbalzare del 50% nel 2021. L'unica nazione a non entrare in recessione è la Cina, che manterrà un saldo positivo in entrambi gli anni e tornerà a crescere dell'8% nel 21. Come è possibile? I cinesi si sono rivolti al proprio mercato interno, riversandovi le merci invendute all'estero. Il Partito Comunista Cinese, nel suo piano quinquennale, ha previsto un forte impulso al mercato interno e al raggiungimento della sicurezza alimentare. Negli ultimi mesi gli acquisti di soia e grano hanno fatto crescere il mercato, avvantaggiando anche USA e Brasile. Il PCC ha posto al 6% la soglia per evitare problemi sociali dovuti alla disoccupazione e sta cercando di distribuire in maniera più omogene a tanto la produzione interna che la popolazione, incentivata a restare nelle campagne e nelle provincie. I dazi USA ridurranno lo scambio di tecnologie avanzate e i cinesi stanno aumentando la propria capacità nella produzione di semiconduttori e software. I primi anni 20 vedranno una decisa regionalizzazione degli scambi, con sfere di influenza e forse anche aree monetarie chiuse. In Europa e USA potrebbero tornare produzioni ora in Asia puntando anche a un aumento degli scambi atlantici. Il commercio internazionale è stato trasformato dalla pandemia, bloccando tanto le linee dell'export est-ovest che quelle atlantiche. Le catene di fornitura mondiali si sono trovate di colpo troncate e ora corrono ai ripari “accorciandosi”, con le aziende cinesi a farne le spese e quelle dell'est europa a guadagnarci. Gli USA hanno ridotto le leloro importazioni dalla Cina del 20% e in generale stanno sostituendo i prodotti cinesi con quelli nazionali, dove possibile. Tra qualche anno quel che oggi compriamo “Made in China” sarà “Made in USA”. Chissà.

Mediterraneo, Mare Nostrum ma di chi?

 


Le acque del Mediterraneo orientale, tra Grecia, Turchia e Cipro, si stanno affollando di navi da guerra di diversi paesi. Anche gli aeroporti militari dei tre paesi si stanno riempiendo di aerei da caccia provenienti da diverse nazioni. A sostegno della Grecia sono Francia, Egitto, Israele ,Emirati Arabi Uniti (EAU) e Cipro, e negli ultimi giorni sono giunte anche navi russe. Il motivo è noto: in una zona di mare contesa da Ankara e Atene, i turchi hanno cominciato esplorazioni per verificare la presenza di giacimenti di gas, già peraltro scoperti al largo delle coste turche, sia sul Mediterraneo che sul Mar Nero. La Turchia punta a divenire un esportatore autonomo di gas e punto di snodo di molti dei traffici dell'area, in arrivo da Iran, Russia e Azerbaijian.Il problema è che i giacimenti sottomarini non rispettano le linee di demarcazione tra le nazioni disegnate sulle mappe e alcuni di queste tagliano immensi depositi che interessano tutta l'area. I russi non vogliono perdere il loro predominio sulla fornitura di gas all' Europa e alla stessa Turchia, specialmente in un momento in cui le sorti del gasdotto NorthStream2 sono in stallo, l'Iran, così come gli EAU, vogliono tenere aperti i corridoi per poter, un giorno, dirottare i propri immensi possedimenti verso la ricca Europa (attraverso il Libano e la Siria), impedendo la concorrenza turca. Israele, che ha scoperto anni fa un enorme giacimento al largo delle sue coste (e di quelle di Gaza), spera di poterlo sfruttare con l'aiuto americano e francese, passando per la Grecia. Il presidente Macron è arrivato a dire che "la Turchia non è più un partner", mettendo ancora più in crisi una NATO che non riesce a prendere posizione sulla vicenda. La guerra del gas interessa anche Italia e Germania: la prima è già punto di approdo di gasdotti in partenza da Algeria e Libia ed è al centro del progetto TAP, che parte dall'Azerbaijian e attraversa Turchia e Albania, la seconda è interessata al corridoio che parte dalla Turchia, attraversa i Balcani e arriva in Baviera attraverso l'Austria. Entrambe quindi sono interessate a mantenere buoni rapporti con Erdogan, ma sono anche impegnate, specie l'Italia, nell'intricata vicenda libica, nella quale i turchi stanno giocando un ruolo a noi non favorevole.Nel suo libro "Lo scontro di Civiltà", Samuel Huntington immaginava una NATO senza Grecia nè Turchia, per motivi di "disunità culturale" in quanto di religione ortodossa la prima e musulmana la seconda, in antitesi ad una preminenza culturale cristiana delle altre Nazioni componenti l'alleanza.Se fosse ancora vivo, la sua opinione su quanto sta accadendo sarebbe molto interessante.

La calma durante la tempesta.

 


 L'economia mondiale sta cercando di ritrovare spunti di normalità in questo periodo di emergenza sanitaria ma i segnali sono contrastanti. Se da un lato i dati sui contagi nel mondo trattengono l'economia reale dal ritornare a crescere come nei mesi antecedenti i lockdown, dall'altro le borse sono tornate al livello di marzo, con una ascesa di quasi il 40%. Il cielo non è però del tutto sereno nel mondo della finanza e a testimoniarlo è il prezzo dell'oro che ha raggiunto il massimo storico, avvicinandosi ai 2000 $ per oncia. Sembra quindi che gli operatori finanziari stiano affrontando simultaneamente due scommesse tra loro opposte: acquistare azioni per prepararsi ad un ritorno alla normalità e puntare sull'oro come copertura in caso lo scenario peggiori decisamente sino alla recessione globale. L'oro è da sempre un bene rifugio in contesti di incertezza economica o geopolitica ed in questo periodo, in cui entrambe sono ben presenti, ne risente positivamente. L'enorme massa di denaro creata dalle banche centrali crea infatti le condizioni per bassi tassi d'interesse che spingono ad indebitarsi per acquistare azioni ma, al contempo, genera timori di iper-inflazione che portano ad acquistare oro per proteggersi. Dal punto di vista geopolitico, i toni accesi tra Cina ed USA aprono scenari da guerra fredda e chiusura del mercato globale. Sembra quindi di trovarsi nel centro di un tornado dove, notoriamente, regna la calma mentre tutt'attorno è pioggia, vento e devastazione. In attesa quindi dell'autunno, che si annuncia difficile a causa della crisi dell'economia reale, che lascia presagire fallimenti, chiusure, riduzione di budget e licenziamenti, chi può specula mentre altri crecano di recuperare le perdite subite durante il picco di febbraio-marzo. Nel frattempo si attende di capire se i fondi stanziati da Bruxelles arriveranno in tempo, e in misura sufficiente, a frenare il crollo del PIL in tutta l'area europea ma il Presidente cinese Xi Jin Ping ha già detto chiaramente che per i prossimi anni sarà il mercato interno cinese al centro degli interessi di Pechino, ponendo dubbi sulla continuazione della globalizzazione e questo non giova alle economie del vecchio continente, molto, forse troppo, orientate all'export. L'inizio del terzo decennio del nuovo secolo si preannuncia tormentato come quello del secolo scorso.

domenica 12 luglio 2020

Teheran tra Pechino e Washington



L'Iran è tornato sulle prime pagine dei quotidiani con notizie tra loro diverse ma collegate. Nelle ultime settimane, alcune esplosioni si sono verificate in vari siti militari, tra i quali la centrale nucleare di Natanz. Fonti occidentali hanno citato il servizio segreto israeliano, il Mossad, come autore delle azioni, sebbene il governo di Teheran abbia smentito si sia trattato di attentati definendoli solamente “incidenti”. Nel 2010 un virus informatico chiamato Stuxnet, sviluppato dal Mossad e dall'intelligence americana, infettò larga parte dei sistemi militari e civili iraniani mettendo fuori uso centinaia di centrifughe per l'arricchimento dell'uranio proprio a Natanz. Anche in questo caso gli iraniani sospettano un attacco informatico israeliano, ma Tel Aviv si dice estranea. La seconda notizia è la stipula di un accordo commerciale e militare tra Iran e Cina della durata di 25 anni con investimenti di Pechino per oltre 400 Mld $ in infrastrutture: porti, ferrovie ad Alta Velocità, autostrade e soprattutto impianti di raffinazione e trasformazione dell'immenso patrimonio petrolifero iraniano. L'accordo prevede anche la fornitura e lo sviluppo congiunto di armamenti tra cui missili (anche anti-portaerei), aerei e mezzi di terra; da anni Teheran acquista tecnologia militare cinese e russa per ammodernare i propri arsenali, di cui fanno parte ancora mezzi americani risalenti all'epoca pre rivoluzionaria. Questa seconda notizia è di particolare importanza, in quanto limita non poco le opzioni militari in mano agli USA che non potrebbero attaccare l'Iran senza entrare in un conflitto aperto anche con Pechino. L'Iran è l'ultima delle nazioni mediorientali rimaste indipendenti dal controllo americano ed è una spina nel fianco di Israele essendo il maggior supporter della resistenza siriana, libanese e irachena all'egemonia israeliana nella regione. Anche se a causa delle sanzioni USA le sue esportazioni petrolifere si sono ridotte, è ancora il primo fornitore di Pechino e anche l'Europa non vuole rinunciare alle enormi scorte, soprattutto di gas naturale, di cui Teheran dispone. Anche per mantenere aperto un canale commerciale, Bruxelles si è opposta all'abbandono del trattato del 2015 sul nucleare iraniano da parte degli USA. Leggenda vuole che gli iraniani abbiano inventato il gioco degli scacchi quasi 1400 anni fa, è quindi lecito aspettarsi che continueranno ad aggirare tentativi di “scacco matto” con continue “mosse del cavallo”.


The Show must go on



Lentamente, tutte le nazioni stanno uscendo dal lockdown interno, sebbene gli spostamenti internazionali siano ancora difficoltosi a causa delle frontiere chiuse. Anche i media iniziano ad offrire notizie diverse dalle statistiche e dalla cronaca sulla pandemia ed è così possibile leggere di importanti fatti geopolitici che il virus non ha fermato ma, semmai, creato o accelerato. La Russia ha inviato i propri cacciabombardieri in Libia, a sostegno delle truppe di Haftar, l'Iran ha inviato 5 petroliere per rifornire il Venezuela stremato dalla crisi e, non ultimo, Trump ha invitato al prossimo G7 anche Russia, Australia, India e Sud Corea. La prima notizia chiama in causa direttamente la posizione dell'Italia in Libia che, come noto, la vede a fianco del governo di Tripoli riconosciuto dall'ONU. I Russi cercano di contrastare la progressiva crescita di influenza dei Turchi, anch'essi al fianco di Sarraj, forse con il recondito obiettivo di creare un secondo fronte, dopo quello siriano, per l'esercito di Ankara. Anche la Francia sostiene Haftar e così l'alleanza stabilita a Bruxelles con Roma sul piano economico diventa contrasto sul terreno libico. Non c'è da stupirsi: la Geopolitica non è fatta di amicizie infrangibili e unidirezionali. L'Iran ha inviato in Venezuela 5 petroliere cariche di greggio e materiale per le vetuste raffinerie di Caracas, facendole transitare da Suez e Gibilterra, sotto il naso delle navi da guerra americane, che ben poco hanno potuto fare sapendo che qualsiasi contrasto avrebbe infranto le normative internazionali, alla stregua di un atto di guerra. In questi giorni queste navigano serene nei caraibi, nel "giardino di casa" statunitense, e così Teheran segna un punto nella lunga partita che da 40 anni la vede contrapposta a Washington. L'Ultima notizia è la più fragorosa: Trump invita Putin al G7, dopo che questi ne era stato escluso dal 2014. Considerati anche gli altri invitati, il sospetto è che si stia preparando un "cordone sanitario" attorno alla Cina, seguendo la postura da nuova Guerra Fredda che gli USA stanno perseguendo contro Pechino. I virus passano ma la Geopolitica resta. Che poi gli uni e l'altra siano legati è un altro discorso.


domenica 10 maggio 2020

Cosa resterà di questi 80 giorni.


Il 18 Maggio,saranno passati 80 giorni dall'inizio del lockdown italiano,anche se nazioni europee hanno chiuso tutto per qualche giorno in meno. Senza dubbio,oltre alle conseguenze sanitarie,sono state quelle economiche a creare il maggior danno. Se non si verificherà una seconda chiusura,le prime svaniranno col tempo ma le seconde resteranno con noi,portando con sè cambiamenti rilevanti alle nostre vite. Negli anni abbiamo vissuto altre situazioni critiche come la crisi del 2008 o l'ondata di terrorismo dal 2011 in poi,ma mentre la seconda è svanita senza quasi lasciar tracce visibili nelle nostre società (fatta eccezione per i controlli aeroportuali),la prima ha influito fortemente sul tessuto sociale di molte nazioni. Nei discorsi quotidiani non si ha più traccia delle paure suscitate dagli attentati,ma la caduta dell'economia dovuta alla crisi dei subprime ha indotto migliaia di aziende alla chiusura e ridotto di decine di punti l'occupazione in tutta Europa,creando situazioni di precarietà e nuove povertà. Allo stesso modo,quando tra qualche mese lo sgomento portato dai numeri del contagio e dei morti dovuti al virus si sarà affievolito,le difficoltà economiche da esso create saranno ancora lì. Le analisi economiche prevedono ristrutturazioni e chiusure in comparti come l'automotive,l'industria aeronautica,la ristorazione e il turismo. Si prevede una forte spinta all'automazione nelle fabbriche e la digitalizzazione di interi settori economici. Ciò porterà con sè la richiesta di nuove figure professionali specializzate e l'espulsione dal mondo del lavoro di persone con poca formazione. E' anche vero che l'allerta per la rottura delle catene di fornitura globali,riporterà in Europa e America diverse aziende ora localizzate in Asia,con un possibile aumento di posti di lavoro,ma ci vorrà tempo. Intanto,ovunque, tutti i bilanci pubblici sono stati stravolti dalle risorse richieste per contrastare gli effetti della pandemia e,ovunque,il rapporto tra debito e PIL è aumentato di decine di punti,essendo aumentato il primo e diminuito il secondo. Ci aspetta una decrescita che,forse,non sarà del tutto felice.


A quando la liberazione


Lo stato emergenziale è in atto ormai da 2 mesi e gli effetti negativi sull'economia si stanno acuendo. Da molti fronti, in tutto il mondo, si chiede la fine del lockdown e negli USA, diverse grandi aziende, tra le quali tutte le compagnie aeree e la Boeing, hanno chiesto allo Stato aiuti immediati o saranno costrette alla bancarotta. Altre sono già fallite, specialmente nel campo della ristorazione e della grande distribuzione. Nel frattempo, però, il settore del commercio on-line sta crescendo e attività che prima non lo prevedevano si stanno adeguando. L'economia mondiale verrà probabilmente trasformata radicalmente da questa crisi, e la Cina potrebbe subirne i maggiori contraccolpi. Anche dal punto di vista geopolitico, i cinesi sono sotto attacco americano, con l'accusa di aver provocato la pandemia ritardando l'allarme se non addirittura di aver deliberatamente creato il virus in laboratorio. Queste accuse peseranno molto sul rapporto USA-Cina, e non è semplice capire se sia solo una strategia utilizzata da Trump per distanziare da sè le possibili critiche nell'anno delle elezioni. In America, infatti, la situazione sociale in alcune città si sta facendo problematica, con le fasce più deboli della popolazione ad esser le più colpite sia dalla chiusura delle attività economiche, sia dal doversi recare comunque al lavoro senza adeguate protezioni. Trump ha chiesto ai governatori degli Stati di tornare alla normalità al più presto, scaricando su di essi il malcontento popolare. In Europa, invece, la situazione varia dai bassi numeri di mortalità della Germania a quelli elevatissimi di Spagna e GB. In Svezia non c'è stato alcun lockdown e in Danimarca le scuole sono state riaperte. In Italia il numero di contagiati e di decessi scende lentamente, ma alcune regioni chiedono di riaprire le attività economiche, invocando regole nuove e un concetto diverso di "normalità". Il tutto mentre si attendono le decisioni dell'eurogruppo sui miliardi di aiuti economici ormai invocati da tutte le nazioni europee. Sperando di non cadere dalla padella nella brace.


L'età dell'oro



L'Ordine Internazionale sta cambiando, di giorno in giorno, inesorabilmente, davanti ai nostri occhi.
Nazioni prima considerate del secondo o terzo mondo, come Russia, Cina o India, competono con Europa e USA per l'egemonia mondiale. La prima delle due, è in preda alle convulsioni generate dalle rivolte interne francesi, dalla secessione inglese, dal “ribellismo” italiano e dal nazionalismo delle Nazioni dell'est. La seconda ha deciso di cambiare tutte le regole, e di stracciare quelle che non possono esserlo in maniera a lei favorevole. America First è il motto del Presidente Trump, e si staglia su ogni azione della sua amministrazione. Tutto questo, però, porta con sé una serie di ricadute che investono la natura delle società. I segni di un passaggio di stato nell'Ordine Internazionale ci sono tutti, come fa notare Richard Haas su Foreign Policy del gennaio 2019 1.

Il sistema internazionale non è così “inevitabile” come una certa narrativa lo dipingeva appena due anni fa. Anzi, è in continuo mutamento ed è per questo che sono necessari aggiustamenti al sistema di regole che governano il mondo dalla fine della II Guerra Mondiale prima, e della Guerra Fredda poi. Anche se alcune tensioni, come quella coreana, sembrano stemperarsi, altre si stagliano già all'orizzonte, come una crisi sino-americana o russo-europea. Senza contare il calderone sempre acceso del medioriente.

Il sistema in cui attualmente viviamo è solo in seconda battuta figlio della seconda guerra mondiale. Dopo quel tragico evento nacquero la CECA, primo embrione dell'attuale UE, la NATO, la Banca Mondiale, Il Fondo Mondiale Internazionale e il GATT, che diverrà in seguito WTO e la trasformazione della Società delle Nazioni in ONU.
Questi organismi sovranazionali hanno rappresentato il quadro giuridico, militare, politico ed economico al quale le Nazioni, e quindi le politiche nazionali, hanno dovuto conformarsi in questi 70 anni.

Il mondo, materiale e immaginario, in cui viviamo è però, in prima istanza, conseguenza di quanto avvenuto nei primi anni 70.
Il 15 Agosto del 1971, l'allora Presidente americano Nixon, annunciò che avrebbe “temporaneamente chiuso la finestra di convertibilità tra oro e dollaro” ponendo fine alla parità aurea di 35 $ per un oncia di oro, che era rimasta valida dagli accordi Bretton Woods in poi. Si dava il via alla fase inflazionaria del dollaro2 e alla sua diffusione planetaria. La cosiddetta “dollarizzazione dell'economia mondiale”

Il 21 Febbraio del 1972, lo stesso Nixon si recò in visita in Cina.
Detta così, oggi, sembra un'affermazione banale ma per il periodo fu un gesto epocale. Nel pieno della Guerra Fredda, il Presidente americano si recava in visita ufficiale nel più popoloso paese comunista, suo acerrimo nemico ideologico e militare. Gli accordi che ne scaturirono permisero alla Cina di uscire dall'abbraccio, troppo stretto, con l'URSS e agli Stati Uniti di dividere un blocco che, unito rappresentava i due terzi della massa terrestre.
I cinesi gradiscono perseguire accordi in cui ognuno degli attori raggiunga un proprio obiettivo, almeno subottimale. E' la strategia detta “win-win”.

Anche dal punto di vista economico, cinesi e americani si accordarono per ottenere un vantaggio reciproco. Il mercato statunitense. ed occidentale, si sarebbe aperto alle merci cinesi, se il Paese di Mezzo avesse poi reinvestito i capitali guadagnati, acquistando debito pubblico americano. A giugno del 2018 il debito acquistato da Pechino ammonta a 1200 miliardi di $3 ed è il maggiore tra i creditori degli USA.

Le ricadute per il mondo hanno iniziato a vedersi a partire dal 1978 e poi con maggior slancio dal 1992, con la nuova politica di Deng Xiao Ping, e il suo slogan: “arricchirsi è glorioso”. Il Socialismo con caratteristiche cinesi, immaginato da Deng, non disdegnava la crescita economica e quella industriale. Da allora, migliaia di aziende da tutto il mondo hanno realizzato propri impianti in Cina, realizzando quello che si chiama “off-shoring”, chiudendo contemporaneamente le fabbriche nei paesi d'origine.
Ciò è avvenuto soprattutto negli USA che, a partire dagli anni 90, hanno ridotto la produzione industriale ed aumentato le importazioni dall'estero, soprattutto dalla Cina. Contemporaneamente si è verificata la forte finanziarizzazione dell'economia americana e il progressivo aumento del deficit commerciale con Pechino.

E' soprattutto accaduto che milioni di aziende cinesi siano entrate nel mercato globale. Il mix tra basso costo del lavoro, trasferimento di tecnologia, popolazione con elevati tassi di educazione universitaria, politiche dirigiste e porti naturali noti da secoli, sia stato letale per molte aziende occidentali.
Per fare un esempio, la quasi totalità della produzione di articoli elettronici quali televisori, radio, videoregistratori, DVD è stata monopolizzata da aziende cinesi, dapprima con marchi europei o giapponesi, e quindi con quelli propriamente cinesi. Ad oggi non esistono più produzioni di rilievo in Europa ed anche molti marchi storici sono stati acquistati da fondi finanziari asiatici.

Molte altre produzioni, in special modo quelle con basso valore aggiunto o con lavorazioni largamente manuali, sono state spostate in Cina prima e nel resto dell'Asia, poi.
L'abbassamento generalizzato dei costi di produzione ha stimolato l'offerta, che si è riversata sui mercati mondiali grazie alla crescita esponenziale della logistica marittima. Le grandi navi portacontainer hanno iniziato a solcare i mari in maniera sempre più copiosa e le grandi catene di distribuzione, con i loro ipermercati, hanno portato il “modello di consumo” americano in tutto il mondo. E' stata quella che abbiamo chiamato per più di dieci anni, “globalizzazione”, ed ha cambiato molti dei paradigmi economici e politici del mondo uscito dalla fine della Guerra Fredda.

Se è vero che in Cina è nata una enorme classe media, e addirittura una vasta platea di miliardari, in quest'ultimo quarto di secolo, in tutto l'occidente, si è verificato un abbassamento dei salari ed un aumento della disoccupazione. Il vasto credito concesso nei primi anni 2000, ha finanziato molti acquisti altrimenti impossibili, come l'auto o la casa e l'impoverimento è stato solo in parte compensato dall'abbondanza di merci a basso costo provenienti da tutto il mondo, ed in particolare dalla Cina. E' veramente raro, ad oggi, trovare in casa un prodotto che non sia marchiato “made in china”, indipendentemente che sia un costoso televisore 50 pollici o un economico portachiavi.

Tutte le Nazioni occidentali, nessuna esclusa, hanno un disavanzo commerciale con il paese del Dragone, e non tutte hanno esportazioni o partecipazioni in aziende cinesi, sufficienti a contrastare il fenomeno della “cinesizzazione”.
L'apparizione dei BRICS sulla scena mondiale è coinciso con la prepotente crescita della finanza internazionale. Strumenti sempre più sofisticati sono stati il sostegno della globalizzazione in tutti gli anni 90 e lo sono tutt'ora. Sebbene le crisi si siano avvicendate, a cicli quasi regolari, in tutti decenni e con effetti sempre maggiori, la finanza resta il principale collante del sistema internazionale, che piaccia o meno.

Senza i flussi di capitali che quotidianamente si spostano da un continente all'altro, non potrebbero muoversi neanche le merci che con quei capitali vengono prodotte ed acquistate.
A seguito della crisi del 2008, e negli anni seguenti, di fronte al porto di Singapore si ammassarono centinaia di navi portacontainer vuote. Il Baltic Dry Index, l'indicatore che segnala il costo di affitto di tali navi, era sceso a livelli talmente bassi che diverse navi furono demolite, poichè il costo dello stallo in porto non sarebbe stato ripagato dall'eventuale nolo.

Come detto, nel '71 Nixon ha messo fine al “gold standard” americano e ciò ha permesso la creazione quasi infinita di massa monetaria che si è riversata in tutte le attività industriali, commerciali, di ricerca, di comunicazione. Da quel giorno in poi, il mondo ha iniziato a navigare in un mare di credito denominato in dollari.
Con il credito arriva, però, anche il debito.
L'enorme balzo in avanti delle telecomunicazioni mondiali, è avvenuto a scapito di centinaia di migliaia di investitori. Alcuni di loro hanno perso denaro durante la bolla delle aziende di telecomunicazioni, e la corsa alla posa dei cavi di interconnessione transoceanica e internazionale. Altri li hanno persi nella successiva bolla delle “dot com”, le aziende di internet che appena nate si quotavano in borsa, e raggiungevano quotazioni stellari.

Questo processo ha però permesso sovracapacità di connessione, con la conseguente riduzione dei costi, e un'ampia diffusione di internet tra la popolazione mondiale per la successiva, attuale fase, in cui la rete è parte integrante dell'economia reale di molte Nazioni. I magazzini di Amazon impiegano centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, e l'indotto muove miliardi di dollari ogni anno.
L'alternarsi delle fasi di “boom and bust”, crescita e crollo, dell'economia mondiale è stato una costante degli ultimi decenni, a partire dal “lunedì nero” del 1987 sino al fallimento di Lehman Brothers nel 2008. Ognuna di esse ha portato ad un aumento del credito rilasciato dalle banche centrali mondiali, a nuove regole emesse dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (le famose regole di Basilea) , a nuove bolle e a nuove crisi.
Stiamo per raggiungere il punto di questa digressione, sebbene la premessa sia stata piuttosto elaborata.

Oggi tutte le materie prime vengono scambiate in dollari, così come la maggior parte delle transazioni economiche, monitorate attraverso il consorzio SWIFT, attraverso il quale devono obbligatoriamente passare4.
Il sistema finanziario internazionale è incardinato al dollaro e ne è suo ostaggio. Le sanzioni americane sono temute come le scomuniche della Chiesa del 1200, e si parla apertamente di “dollar weaponization”, un concetto che in italiano si potrebbe tradurre con “usare il dollaro come un'arma”. Le fluttuazioni della valuta americana sono decise dalla FED e dal Ministero del Tesoro, ma influenzano i destini di tutto il mondo. Il suo utilizzo negli scambi internazionali è condizionato alla volontà di un solo paese, gli USA, ed esserne esclusi porta all'isolamento internazionale. Inutile dire che ogni epoca ha avuto la sua moneta preminente, e che l'enorme diffusione del dollaro ha creato le condizioni per la nascita e la crescita del mercato internazionale, ma la fase attuale è ampiamente multipolare e necessita regole nuove.
Ed è un paradosso, se si pensa che questo momento storico è proprio un effetto dell'enorme crescita degli scambi internazionali, grazie a mercati regolamentati e finanziariamente resi stabili dalle transazioni in dollari.

Lo squilibrio attuale è l'effetto di quanto descritto nella premessa; dopo anni di off-shoring, il consumatore americano non ha più un lavoro per alimentare i propri consumi, o il proprio reddito non è sufficiente. L'impegno di Trump a riportare aziende sul suolo americano è legato alla perdita del tessuto industriale americano, che rende difficile riequilibrare le esportazioni e con esse la bilancia commerciale. Accordi in tal senso sono già stati imposti a Messico e Canada. Se poi si considera che nell'acquistare prodotti cinesi gli americani finanziano il proprio principale sfidante per l'egemonia mondiale, si comprende l'enfasi che il presidente americano mette nelle trattative sul commercio internazionale. Dall'altro lato dell'Atlantico, i consumatori europei lottano da anni con la disoccupazione, che è in media il doppio di quella americana, e vivono in Nazioni con tassi di crescita molto bassi, se comparati a quelli di molti grandi competitori esteri.

Le sollecitazioni all'Europa a “prendersi maggiori responsabilità” nel campo della difesa, che tradotto significa aumentare la propria contribuzione nella NATO, sono anch'esse una scelta legata alla riduzione del budget americano e a una ridefinizione delle priorità strategiche.
Le scelte politiche di Trump, tese a ridurre le spese americane ed aumentare le entrate, non sempre si conciliano con le decisioni della FED, che è propensa ad imboccare la strada del lento, ma costante, rialzo dei tassi di interesse. Ciò porta ad un apprezzamento del dollaro, che rende più difficili le esportazioni e convenienti le importazioni, un effetto che vanifica le scelte delle politiche presidenziali.

Come ben si comprende “l'esorbitante privilegio”, come lo definì De Gaulle, di poter essere al contempo utilizzatore ed emittente dell'unica valuta di riserva, porta con sé oneri e onori.
Anche gli USA si stanno rendendo conto che i primi stanno superando i secondi.
Molte Nazioni scambiano ogni giorno miliardi di dollari per acquistare prodotti energetici. Alcune di loro hanno creato programmi di “swap”, di scambio, di rispettive valute per acquistare i prodotti reciproci e aggirare l'egemonia del dollaro5. Per Nazioni come l'Iran, sotto sanzioni da più di 40 anni, vendere petrolio e gas in dollari è divenuto, nei fatti, impossibile. La Repubblica Islamica ha però in essere contratti miliardari con Russia e Cina in Rubli e Yuan e con altri paesi addirittura in oro.

La stessa Unione Europea, il più grande consumatore di energia del pianeta6, vuole mantenere i contratti nel settore energetico con l'Iran e sta predisponendo un veicolo finanziario in euro per aggirare le sanzioni americane. Il fondo sarebbe aperto ad altre Nazioni, e se si concretizzasse rappresenterebbe una modalità alternativa al pagamento in dollari.
L'Euro, per quanto contestato, è ormai la seconda valuta mondiale ed è pronto a sfidare il dollaro come moneta di riserva 7.

Anche i cinesi aspirano a rendere convertibile la loro valuta e così i russi. Questi ultimi hanno iniziato a vendere petrolio e gas in rubli attraverso contratti swap ed hanno ridotto a soli 15 miliardi di $ il loro portafoglio di titoli americani8. Ciò è in linea con le attese russe di potersi attendere di essere espulsi dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT, che non solo impedirebbe di recuperare quei crediti, ma escluderebbe la Russia dal commercio internazionale9.
Russia, Cina, Europa, India e molti altri paesi stanno da tempo pensando ad un sistema di pagamenti internazionale fondato su un paniere di valute, con un sistema valutario regolato, indipendente dalle volontà politica di una singola Nazione.
Si avverte l'esigenza di uno strumento politicamente neutro per gestire le transazioni economiche.

Quello strumento esiste già ed è sempre stato presente negli ultimi 5000 anni circa.
Si chiama oro.
Nel 2021 saranno passati 50 anni dall'annuncio di Nixon, e l'idea che possa riaprirsi quella finestra che “temporaneamente” chiuse svelerebbe scenari totalmente nuovi.
E' da ritenersi impossibile l'ipotesi di un ritorno ad un Gold Standard, almeno negli scambi internazionali?

Negli ultimi 15 anni la crescita del prezzo dell'oro è stata esponenziale, arrivando a toccare i 1800 $ nel 2012. E' ancora considerato moneta sonante in tutto il medioriente, in cui la finanza islamica lo usa attivamente nelle proprie transazioni, in Asia ed anche la Russia lo valuta un ottimo investimento10.

Il più grande produttore mondiale è la Cina, che però non lo commercia. Le stime sui lingotti di Pechino ufficiali si attestano sulle 1850 tonnellate, ma molti analisti stimano possano essere più del doppio. In questa particolare classifica sono primi gli Stati Uniti con 8130 tonnellate, seconda la Germania con 3370, terza l'Italia con 2450 poi la Francia con 243011.

Tutte le banche centrali hanno aumentato i propri possedimenti di oro fisico e il metallo giallo fa parte di panieri di investimento di grandi fondi ed è il collaterale di ETF e derivati. Una parte dell'oro di alcune Nazioni europee, è custodito a New York, presso la FED, e a Londra. In parte è la conseguenza della Guerra Fredda, per custodire l'oro europeo il più lontano possibile da Mosca, ma in qualche caso è servito da “garanzia” per prestiti particolarmente corposi. Negli ultimi anni è cominciato un movimento inverso, che ha riportato parte di quell'oro nei forzieri dei legittimi proprietari, e questo ha scatenato diverse illazioni. Nel mese di ottobre del 2018, l'Ungheria ha quasi decuplicato i propri possedimenti (31,5 tonnellate) seguendo quanto fatto negli anni precedenti da Polonia, Russia e Cina. Solo l'Inghilterra ha venduto quasi tutto il suo oro e per giunta ai prezzi più bassi del periodo, nel 2004.

Il problema principale dell'oro è al contempo la sua forza: la scarsità.
L'oro già estratto e raffinato, puro al 99% e vidimato è pari a 190000 tonnellate , se ne stima ne rimangano 54000 tonnellate12. Il valore totale di tutto l'oro estratto è , ai prezzi di dicembre 2018, pari a 7.1 triliardi di $.
Il valore totale dell'economia mondiale è stimato in 80 triliardi13; il rapporto è quindi di 11 volte. Ipoteticamente, quindi, il prezzo dell'oro dovrebbe aumentare di almeno quella cifra per assorbire l'intero valore dell'economia globale . Senza contare il valore attuale dei beni già esistenti.

Inoltre, l'economia mondiale è in larga parte è formata da strumenti finanziari fondati sul debito. Senza contare gli investimenti detti “a leva”, fatti cioè moltiplicando per un certo multiplo l'investimento iniziale (ma anche le perdite, nel caso contrario). L'oro non è moltiplicabile e, vista l'esigua quantità con la quale aumentano le riserve mondiali, è altamente stabile. Non è certamente lo strumento ideale per un mondo in cerca di continua crescita, ma può esserlo se l'obiettivo è la stabilità del sistema internazionale degli scambi, ma con regole nuove.

Sarà forse necessaria una cancellazione, magari un dimezzamento, del debito di tutte le Nazioni mondiali, per permettere all'oro di essere effettivamente un asset nel valutare le finanze nazionali. E' anche probabile che parte della “finanza creativa” che ha dominato il settore economico degli anni 2000, e che ha già portato alla crisi del 2008, dovrà aver fine. Un mondo in cui torni un “nuovo Gold Standard” sarà fondato sulla produzione di valore reale e sul suo scambio per un certo controvalore di metallo (con adeguati strumenti economici). La finitezza dell'oro e la sua tangibilità, lo rendono poco utilizzabile per prodotti altamente speculativi con rendimenti a doppia cifra. Già ora, nell'ambito della finanza islamica, i prestiti in oro non pagano interesse, e prestatore e contraente si impegnano in una partecipazione paritetica nell'investimento.

Questa ovviamente non è che una suggestione, ma quell'annuncio di Nixon e quel suo riferimento alla temporaneità dell'intervento lasciano aperti diversi interrogativi. Gli accordi internazionali hanno spesso durate predefinite, e queste sono di solito multipli di 5 anni sino ad arrivare a 100.
50 anni è un anniversario evocativo, e se si presenta in un periodo di tempeste valutarie, borse in discesa, tassi di interesse in crescita, bilanci nazionali che scricchiolano, tensioni geopolitiche, pensare che abbia una parte in tutto ciò non è irrealistico.

Così come 50 anni fa, cinesi e americani si trovano nella condizione di poter raggiungere un accordo win-win giocando, come allora, una partita di ping pong tra dazi e tariffe, svalutazioni e tassi di interesse.
Gli USA vogliono partecipare al ricco mercato cinese delle importazioni ma non vogliono subire le importazioni spinte dalle svalutazioni artificiali dello yuan. I cinesi vogliono continuare a mantenere aperto il commercio internazionale e , possibilmente, riprendersi parte di quei 1,2 trilioni di dollari che hanno prestato a Washington. Il tutto sull'orlo di un confronto militare diretto nel Mar Cinese Meridionale, o per procura, in Korea.

Anche oggi, come allora, a Pechino siede un “Grande Timoniere”, eletto a vita, e a Washington un Repubblicano, sebbene atipico e forse “antipatico” almeno quanto Nixon.
Anche oggi la Russia ha un ruolo di primo piano su tutti gli scenari mondiali, ed è straordinariamente vicina a Pechino su molti fronti.
L'Europa è in tutt'altre faccende affaccendata.
Le condizioni per un accodo epocale ci sono tutte.


Uno starnuto ci seppellirà


La settimana scorsa l'OMS ha dichiarato ufficialmente lo stato di pandemia per il virus COVID-19 ed ormai tutte le nazioni hanno preso gli stessi provvedimenti attuati da Cina ed Italia, ovvero chiudere le frontiere e obbligare i propri cittadini a non uscire di casa.

L'economia sta soffrendo molto e la settimana scorsa le borse mondiali sono arrivate a perdere più del 20% del proprio valore, ma a Milano si è arrivati al 30%, con una caduta del 17% in una sola seduta. Tutte le classi di investimento, azioni, obbligazioni societarie, petrolio e addirittura l'oro, hanno perso notevolmente valore, portando l'economia mondiale verso la strada della recessione. Le azioni intraprese per limitare l'espansione del contagio stanno fermando sia la produzione quanto i consumi e tutte le nazioni vedranno il proprio PIL ridursi nell'anno in corso. La domanda che tutti si pongono ora è: quando potremo dire che l'epidemia è finita o perlomeno sotto controllo?

Arriverà il momento in cui, nell'impossibilità di poter dire che l'epidemia è finita, si dovrà permettere un ritorno alla normalità e accettare una certa percentuale di rischio. Nel frattempo, quante attività commerciali ed industriali avranno chiuso i battenti per assenza di ricavi, pur in presenza di costi (bollette, personale, ammortamenti, ecc)? Quante persone avranno perso il lavoro o i propri risparmi, nella caduta senza fine dei corsi economici? E' necessario, ora, decidere quale sarà il limite di questa situazione e quando potremo dire di essere tornati, più o meno, alla normalità. Immaginare di chiudere in casa l'intera popolazione mondiale per tutto l'anno non è una scelta razionale e, d'altronde, in un mondo orientato alla produzione e al consumo, vorrebbe dire distruggere le società così come le conosciamo. Sebbene per anni ci sia stato detto che l'economia si stava digitalizzando, ciò è vero solo in parte e beni fisici e alimentari devono essere prodotti e distribuiti; la loro assenza dai nostri scaffali è compatibile solo con una futura, permanente, fase di stagnazione con conseguente riduzione di salari e consumi. “Casa dolce casa” si, ma non per sempre.


E' arrivata la bufera

Il Corona virus è arrivato in Italia e si è diffuso rapidamente,
causando situazioni di “coprifuoco” già viste a Wuhan. Così come in
Cina, la socialità verrà ridotta e con essa anche alcune attività
lavorative, causando ulteriori problemi alla situazione economica. Il
resto d'Europa, Francia e Germania a parte, non è ancora stato toccato
dal virus, ma vista la sua alta contagiosità, potrebbe avvenire a breve;
intanto i francesi sono pronti a chiudere le frontiere con l'italia.
Una
cosa è certa: l'impatto del virus si sta rivelando più ampio del
previsto e tutti, dal governo cinese all'oms, hanno sbagliato
approccio.
In Asia, il covid-19, sta mietendo vittime in Korea e Iran, ma
potenzialmente sono a rischio tutti i paesi che hanno stretti rapporti
commerciali con la Cina. La via della seta è la prima vittima del virus
e la Cina ha già chiarito che gli obiettivi economici di quest'anno non
saranno centrati. La reazione Xi Jinping verso i vertici
dell’amministrazione sanitaria è stata durissima. Si diffondono le
teorie, più o meno complottiste, sull'origine del virus e su chi ne
stia
traendo giovamento; a prima vista sembrerebbero gli americani, ma i 200
mld di $ di merci che trump si aspettava che i cinesi acquistassero, non
arriveranno. Anche il commercio elettronico, di cui Amazon è re, né esce
colpito, senza parlare di Apple che ha dovuto spostare la produzione di
iPhone a Taiwan, riducendo i volumi. Chiaramente, in un mondo
interconnesso e in cui un paese sostiene il 30% del commercio mondiale,
una pandemia virale che colpisce l'intero globo, ne evidenzia le
fragilità. Si attende un vaccino, che non arriverà a breve, e si spera
che il caldo primaverile aiuti a debellare il virus ma nel frattempo le
borse scendono, le fabbriche sono ferme e i consumatori rinunciano agli
acquisti. Non che i morti a causa dell'epidemia non siano importanti,
ma
il loro numero è molto inferiore agli effetti causati al sistema
internazionale. Solo le vendite di termometri continuano impetuose


domenica 16 febbraio 2020

il canarino è morto.





Spesso ci si riferisce a un avvenimento come al classico canarino che si portava in miniera per capire se vi erano fughe di gas. La sua morte segnava il momento di risalire in fretta. Il caso è il virus “cinese”, il canarino è morto insieme a 1000 persone, e il commercio internazionale scappa in ordine sparso. Come prevedibile, le misure di profilassi messe in atto da tutti i governi, hanno provocato un rallentamento degli scambi e messo in luce almeno tre debolezze cinesi e non. La prima è di ordine igienico, in quanto per la terza volta la Cina è il focolare di un virus potenzialmente pandemico. Ciò a causa del suo vetusto sistema di conservazione e macellazione degli animali che nulla ha a che vedere con il sistema di profilassi europeo. E' ora che i cinesi rivedano i loro protocolli zoosanitari. La seconda debolezza è di ordine infrastrutturale; al netto dei ritardi nell'affrontare il caso, non scordiamoci che parliamo di una provincia che ha lo stesso numero di abitanti dell'Italia. In un'area di 56 milioni di abitanti, si è dovuti ricorrere alla costruzione di un ospedale nuovo per diecimila infetti. Forse la sanità è sottodimensionata per un paese che vuole crescere sano e dominare il mondo. Ed infine la terza debolezza, quella della globalizzazione nel suo insieme, che manda in crash le borse mondiali per “un raffreddore” in un paese di un miliardo e mezzo di persone. Se oggi si ferma la Cina, si ferma il 30% del commercio mondiale, quasi tutto con USA ed UE. Il caso “Corona-virus” è il canarino, l'allarme, che potrebbe portare le aziende europee e americane a ripensare la propria lista di fornitori, e non potendo più fidarsi di catene così “lunghe”, a ri-orientare le proprie scelte verso la periferia europea o Latino Americana. E' un faro acceso su un sistema, quello cinese, ancora molto vasto e non innervato dei mille controlli e disciplinari a cui è sottoposto un produttore alimentare italiano o europeo. E' una sponda a un rinnovamento del legame economico e degli scambi transatlantici e, non a caso, si torna a parlare di TTIP. E' una risposta all'annosa domanda: ma le mollette da bucato le dobbiamo proprio far fare a Shenzen?

Allacciare le cinture, forti turbolenze in vista.




L’epidemia scoppiata in Cina, a causa di un virus che ricorda la famigerata SARS, rischia di essere il detonatore di una nuova crisi economica globale. La preoccupazione per il diffondersi del virus, infatti, ha già provocato un rallentamento delle borse mondiali e le misure di prevenzione messe in atto da alcuni governi potrebbero incidere sull’esportazione di alcune categorie di prodotti cinesi e sulle attività economiche in generale. L’Europa potrebbe subire i maggiori contraccolpi da questa situazione, poiché la Cina rappresenta una grande quota del suo export ma anche a causa dell’impossibilità di commerciare con la Russia e perché sottoposta alla politica dei dazi intrapresa da Trump. Il mancato sviluppo di un forte mercato intraeuropeo rischia di aggravare il rallentamento di tutte le economie continentali, in una fase di deflazione conclamata e di tassi negativi. La pressione posta sull'Europa dalle sanzioni di Trump, impegnato a riequilibrare la bilancia commerciale americana dopo aver raggiunto un accordo con i cinesi, fa parte di una strategia di lungo periodo che mira a rafforzare l'industria americana a scapito di tutte le altre. L'unione europea si sta rivelando sempre più una mera alleanza a geometria variabile, in cui le nazioni cercano di massimizzare i propri benefici , siano essi geopolitici (come in Libia o nei confronti dell'iran) o economici. A parte l’euro, non sembra più esserci alcun collante, considerate anche le recenti spallate francesi alla NATO e la prossima Brexit. Anche i miliardi promessi dalla Von der Leyen per il “Green new Deal” non saranno ripartiti equamente ma si riverseranno maggiormente nel nord e nell'est Europa, delineando un nuovo trasferimento di risorse dai paesi debitori a quelli creditori. Nel frattempo l'oro è al suo massimo storico nei confronti dell'euro, testimoniando una forte fuga di capitali europei, e il petrolio non cresce dai minimi del decennio, segnalando la debolezza della domanda di aziende e consumatori. La situazione rischia di avvitarsi su sé stessa portando a nuove riduzioni di spesa e a disinvestimenti in vista di nuovi scossoni. Nulla pare poter ridurre le turbolenze, è ora di allacciare le cinture e prepararsi per un atterraggio accidentato.